Commento alla Parola nella XVIII Domenica del Tempo Ordinario /B – 4 agosto 2024

Il tema della Domenica

Il tema del pane – iniziato la settimana scorsa con la lettura del cap. 6 del Vangelo di Giovanni – continua ad accompagnarci ancora per altre domeniche. Tema importante, scrivevo nella 15a Domenica, perché il pane unisce e divide, crea comunione e rivalità, a seconda che sia un pane condiviso oppure accumulato e/o espropriato. L’evangelista Giovanni sottolinea tutta l’ambiguità della ricerca del pane e di chi cerca l’altro/a solo nella speranza di averne un guadagno. Spesso anche Dio viene cercato così, come un tappabuchi, per avere una qualche risposta ai propri problemi di vita. Il Vangelo è chiaro: alla gente che – dopo il prodigio del pane – pensa di aver trovato finalmente la soluzione ai suoi tormenti, Gesù risponde con la fuga: sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo. Dio si ritrae di fronte alle attese di uomini che credono in un Dio tappabuchi! 

Prima lettura: Es 16,2-4.12-15

Il viaggio di Israele nel deserto ci rappresenta in questa ricerca spesso oscura e confusa che è la nostra esistenza. Il deserto è un simbolo dalle molteplici sfaccettature, ma uno dei più veritieri perché richiama fondamentalmente la nostra condizione autentica, senza orpelli e palliativi. Nel deserto non c’è pane né acqua, non ci sono case né luoghi ove rifugiarsi. L’essere umano non ama il deserto, proprio perché alla cruda verità della vita, spogliata di miti, preferisce la menzogna degli idoli che gli conferiscono potere e successo, sogni di grandezza e autoesaltazione.

È la ragione per cui Israele, nel deserto, rimpiange l’Egitto, dove era privato della libertà, ma aveva il pane. Non è questo un paradigma di ciò che siamo? Quante volte è accaduto nella storia che l’essere umano ha preferito un tozzo di pane alla sua libertà?  Quante volte uomini e donne si sono venduti solo per guadagno e interesse? La mormorazione contro Mosè e contro Aronne – e, ultimamente, contro Dio – rivela un aspetto considerevole del nostro essere: preferiamo gli affabulatori ai liberatori, chi vende illusioni a chi dice e fa verità. Come nella leggenda del grande inquisitore, di Dostoevskij, andiamo a caccia di chi ci offre pane, miracoli e misteriose promesse…

Il deserto ci fa paura perché ci ricorda che l’essere umano è fondamentalmente nudità. Nella cultura romantica e consumistica di cui siamo impastati il deserto evoca evasione e sogni, ma nella vita di un beduino, che ci abita, il deserto è lotta di sopravvivenza e fatica quotidiana. In una situazione di «insediamento» è forte la tentazione di poggiare la propria esistenza sulle proprietà, sugli idoli costruiti dal proprio potere e dalla propria insipienza. Allora è facile che il pane diventi «il pane dell’ingordigia», il pane comprato con ogni mezzo e ad ogni costo. Abituati come siamo ad essere mercenari e ingordi, non immaginiamo neppure che possa esistere una gioia nel vivere giorno dopo giorno. La manna, il pane di Dio, viene dato gratuitamente a Israele nel deserto, ma soltanto quello che basta per un giorno, senza possibilità di accumulo e ingordigia.

Il deserto ricorda all’uomo l’essenziale, ciò che conta veramente. Quando non si hanno più stampelle, quando non ci sono più orpelli per illudersi, allora l’uomo autentico si pone le domande serie, quelle che lo fanno restare in vita, giorno dopo giorno. Il compito del deserto è proprio questo. Lì tutto è nitido e il firmamento appare com’è, senza l’offuscamento di luci artificiali. Abbiamo bisogno di scoprire la verità, senza infingimenti. Quando tutte le voci e i rumori tacciono, quando ci si libera dalla “solitudine affollata” in cui tutti oggi viviamo, si crea lo spazio per quanto basta. Il deserto diventa allora propedeutico a ciò che veramente conta. 

Il Vangelo: Gv 6,24-35

Le folle che avvicinano Gesù, dopo il segno del pane condiviso, non vivono della verità del deserto richiamata nella prima lettura. Avevano interpretato il segno del pane come un miracolo portentoso e avevano immaginato una vita all’insegna di un re fregiato di potenza, in grado di dispensare benessere e illusioni per tutti. Gesù non si era prestato a questa politica demagogica, ma le folle non demordono, lo cercano, ed esigono come prova di credibilità un altro miracolo, come quello della manna. Anche questa volta, si tratta della ricerca di un Dio pirotecnico che soddisfi i desideri mondani. È proprio a motivo di ciò che Gesù inizia un lungo discorso sulla sua vera identità e sul Cibo che nutre per la vita eterna.

Non si tratta di disprezzare i bisogni umani (nella preghiera del Padre nostro si chiede il pane quotidiano), ma di leggerli in un contesto più ampio e più appropriato. L’uomo che cerca solo sensazioni non approderà mai alla soddisfazione della propria fame e della propria sete di vita. Questa è l’opera di Dio: che voi crediate! La fede, o meglio, il credere (nel Vangelo Giovanni adopera sempre il verbo e mai il sostantivo) consente all’uomo di avere uno sguardo diverso sulla vita e su quanto è necessario per l’esistenza. Credere significa comprendere che la vera fame e la vera sete dell’uomo non saranno soddisfatte dagli idoli sordi e muti, che si propongono di volta in volta come traguardi e soluzioni. Alla donna di Samaria che era andata con la brocca a prendere acqua, Gesù propone sé stesso come acqua viva di sorgente, mettendola in guardia dall’acqua stagnante delle cisterne. Nel discorso del cap. 6, Gesù presenta sé stesso come il pane vivo, disceso dal cielo, idoneo a saziare l’uomo affamato. Is 55,1-3 aveva presentato Dio nei panni di un venditore ambulante che offre gratuitamente pane, acqua e vino che saziano e dissetano veramente: Voi tutti assetati, venite all’acqua; voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro…. Esiste del pane ed esiste dell’acqua che soddisfano forse i bisogni immediati, ma non la sete profonda. L’acqua viva e il pane vivo, invece, hanno una vitalità perenne: “Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Gv 6,35). Una promessa parallela a quella fatta da Gesù alla donna di Samaria: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete in eterno” (Gv 4,14).

È importante notare che Gesù rivolge questi discorsi non a gente che soffre realmente per mancanza di pane e di acqua, ma a gente che possiede già tutto e vuole un Dio a proprio uso e consumo, un Dio che assecondi la volontà di potenza e l’ingordigia che si nascondono dentro ciascuno di noi.  Un discorso rivolto anche a ciascuno di noi?

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano