Commento alla Parola nella XX Domenica del Tempo Ordinario /B – 18 agosto 2024

Il tema della Domenica

La tavola imbandita e l’invito a parteciparvi è uno dei motivi più frequenti e fecondi della letteratura biblica e orientale. Il pasto condiviso significa comunione, festa, raccolta dei lontani e dei dispersi… Non meraviglia che il simbolo del banchetto sia divenuto una delle immagini più suggestive del tempo messianico. In una visione tanto bella quanto provocante, il Deuteroisaia invita tutti al banchetto messianico, senza esclusione di alcuno: “O voi tutti, che avete sete, venite alle acque; anche se non avete denaro, venite ugualmente; acquistate grano e mangiate, senza denaro; e senza spesa prendete vino e latte” (Is 52,1-2). E Gesù stesso motiva l’invito rivolto ai pubblicani e ai peccatori facendo appello al tempo messianico, il tempo della festa e della misericordia.

Prima lettura: Pr 9,1-6

Leggendo il libro dei Proverbi, si ha la sensazione di trovarsi in una scuola di vita, dove si insegnano non solo nozioni di saggezza e neppure solo norme che permettono la riuscita nel proprio compito, ma dove si acquisisce la ragione stessa del vivere, nel rapporto con Dio, con se stessi, e con gli altri.

Nel testo di questa domenica, tratto da Prov 9, la Sapienza appare come una ricca signora, che possiede una casa perfetta, sorretta da sette (!) pilastri. L’immagine che l’autore può aver avuto davanti è quella dei templi antichi o dei palazzi reali, dove la regina bandiva una festa, invitando i suoi ospiti e predisponendo per loro bevande e cibi succulenti. Le ancelle inviate in città, a portare l’invito, sono il segno di una sollecitudine che non si impone con la forza e la minaccia, ma si affida alla forza di persuasione, che la dimensione conviviale e festosa richiede. Le immagini proposte sono tipiche dell’oriente antico, con il loro fascino di lucentezza e festosità, ma non si deve perdere il messaggio profondo che le metafore racchiudono. Se si va oltre l’artifizio letterario, si comprende come l’invito al banchetto riguarda lo stesso destino dell’uomo, spesso soggiogato da solitudine e paura. La figura della Sapienza divina che invita a mangiare il suo pane e a bere il suo vino mostra come la soluzione al problema del vivere non può essere rinvenuta nel semplice orizzonte terreno. Come il rotolo che il profeta Ezechiele deve ingoiare rappresenta la Parola di Dio che dà senso al suo essere e alla sua missione profetica, così il cibo, che la Sapienza offre, è un cibo che può sfamare la fame di tutti, anche di coloro che vagabondano pensando che la vita sia altrove.

Il brano si conclude con un appello: abbandonate la follia e vivrete! In effetti, subito dopo, il libro dei Proverbi parla di un’altra donna, la “Signora Follia”, che si contrappone alla Sapienza, e tenta gli uomini in modo subdolo, perché promette una vita che poi non dà. È quasi naturale scorgere qui tutte quelle realtà che la Bibbia chiama “idoli”. In fondo, gli idoli sono follia e stoltezza, perché promettono ciò che non sono capaci di offrire. Prendono il posto di Dio e si presentano all’uomo come Dio, portando i loro seguaci ad essere “alienati”. Alienus, nel senso biblico, è chi non appartiene più né a Dio né a se stesso, ma si lascia dominare dalla ricchezza e dal potere, dall’apparenza e dal piacere: dagli idoli, appunto.

Gli idoli tiranneggiano e carpiscono l’anima, La Sapienza no. Essa cammina sulle strade degli uomini e va loro incontro, là dove essi sono. Non chiede e non estorce, dona invece gratuitamente la luce di cui hanno bisogno, la vita che cercano, il senso delle cose che hanno perduto. La Sapienza di Dio offre all’uomo quello di cui ha veramente fame e sete, quello che il Vangelo di Giovanni esprime con tanta efficacia nel discorso sul pane di vita. 

Il Vangelo: Gv 6,51-58

Si tratta dell’ultima parte del discorso sul pane di vita, una parte dove carne e sangue diventano i due termini chiave della rivelazione di Gesù sulla sua missione e sulla comunione di vita con i suoi. È la parte più scandalosa, perché Gesù dice con chiarezza che il pane dato da mangiare è la sua carne per la vita del mondo. I Giudei, che prima avevano mormorato, ora si mettono a discutere tra loro e anche questo verbo richiama l’atteggiamento dei padri nel deserto. Il libro dell’Esodo, infatti, racconta che a Massa e Meriba il popolo, uscito dall’Egitto, non aveva acqua da bere. Allora incominciò a discutere con Mosè e con Dio stesso, dicendo: “Dio è in mezzo a noi: sì o no?”.

Questo è il problema dell’uomo, un problema serio, di fronte alle delusioni di una storia che sembra contraddire la presenza di Dio. Tra tante atrocità e vittime innocenti: Dio è in mezzo a noi, sì o no? Con tanta menzogna fuori e dentro la Chiesa, Dio è in mezzo a noi, sì o no? Queste domande sono legittime, certo! Ma rappresentano anche una tentazione, che è sempre la stessa: invece di lasciarci interrogare, siamo noi a interrogare Dio. Vogliamo far quadrare i conti e ridurre così Dio alla nostra portata, attribuendo a lui ciò che non torna.

L’uomo di fede interroga e si interroga, chiede spiegazione e luce, ma crede in una Parola che non viene meno. Forse il confine tra fede e idolatria è proprio qui. La fede riconosce le strade di Dio anche se danno le vertigini, mentre l’idolatra accetta solo un Dio che viaggia sulle strade del calcolo e della sicurezza, che fa miracoli e mette a posto le cose.

A una sapienza così impastata di idolatria, per due volte – prima in negativo e poi in positivo – Gesù ripete: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno! Dietro un linguaggio così realista, che risalta ancora di più nelle espressioni greche originali, c’è senza dubbio la tentazione doceta della comunità giovannea. Il rischio del docetismo è costante nella comprensione della fede, e si manifesta in ogni tempo, anche in forme subdole, quando si trasforma la fede in un puro sistema culturale e ideologico. Essere cristiani, invece, vuol dire incarnare il Cristo nella verità totale dell’esistenza: nella pienezza degli impegni e dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle certezze acquisite e nelle perplessità… Di fronte al mistero eucaristico (perché è in primis un mistero!), l’uomo di fede non cerca anzitutto di razionalizzare e rinchiudere tutto in categorie filosofiche. Prima di tutto accoglie il dono, anche se esso sconvolge i fragili equilibri umani.

Il superamento della tentazione doceta è nel riconoscimento che il tabernacolo di Dio è la carne dell’uomo. Non di un uomo celeste, perfetto, ma di un uomo che vive nella carne, tra perplessità e travagli, fragilità e crisi. È questa la ragione ultima per cui tutti, senza esclusione, vengono invitati al banchetto della Sapienza e a quello di Gesù. Torna alla mente il famoso monologo di Marmeladov in Delitto e castigo: «E allora Cristo ci dirà: “Venite anche voi, tutti voi, voi beoni, voi fiacchi, voi dissoluti…”. Allora i giusti protesteranno e i prudenti resteranno perplessi: “Signore, accetti anche loro?”. E il Cristo dirà: “Se li accetto, signori giusti, se li accetto, signori prudenti, lo faccio perché nessuno di loro se ne è mai giudicato degno”. E ci stenderà le mani, ci aprirà le braccia e noi cadremo ai suoi piedi e capiremo tutto. Sì, allora capiremo tutto…».

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano