Commento alla Parola nella XXII Domenica del Tempo Ordinario /B – 1º settembre 2024

Il tema della Domenica

Il tema di questa domenica riguarda la legge e le tradizioni, con i loro numerosi risvolti. Tutti sappiamo quanto legge e tradizioni siano necessarie alla convivenza umana, perché senza di esse viene a mancare la vita sociale e personale. E tuttavia conosciamo pure le deviazioni e la devastazione delle coscienze che può arrecare un legalismo esasperato, bloccato sulle forme, senza vita e senza speranza. Tema complesso, dunque, ma centrale, sia nel Primo che nel Nuovo Testamento. Il popolo di Israele è stato costituito come popolo intorno alla Torah (che, di per sé, significa insegnamento e non propriamente Legge) ricevuta, accolta e portata a compimento da Gesù. 

Prima lettura: Dt 4,1-2.6-8

Il passo del Deuteronomio inizia con un imperativo che è a fondamento di tutto l’insegnamento di Dio: ascolta! Si tratta del primo vero comandamento della tradizione biblica, senza il quale, tutti gli altri perdono senso. E infatti, la giornata del pio israelita (e, dunque, di Gesù) è scandita dalla preghiera conosciuta come lo Shema‘ Israel / Ascolta Israele. L’ascolto definisce la vita del credente, perché senza ascolto non può sussistere relazione alcuna, tanto meno quella con Dio. L’ascolto è il luogo dove tutto viene fecondato e trova accoglienza. Senza il rumore e il bla bla quotidiano, la Parola di Dio e quella del fratello trovano nell’ascolto rispettoso il loro terreno fertile e la forza vitale. Prima di fare qualcosa il credente deve tacere e ascoltare, per creare lo spazio idoneo a ogni altra attività.

In questo silenzio del cuore, più che della voce, risuonano le Parole che Dio dona a Israele perché egli viva nella verità e nella giustizia. Il Deuteronomio insiste molto sulla vicinanza di Dio mediante le sue prescrizioni e i suoi decreti, e anche la consuetudine di mettere un astuccio con la preghiera dello Shema‘ sullo stipite destro della porta d’ingresso di casa, sulla fronte e vicino al cuore, mostra come nessun ambito della vita è estraneo alla Presenza di Dio e alla sua Torah. Il vero credente non trova ingombrante questa Presenza. Al contrario! Nell’osservanza della Torah è la vera vita e l’autentica libertà. È sintomatico che il termine harut / inciso, intagliato – che la tradizione rabbinica ha associato alle parole della Legge incise sulla pietra – è stato visto dalla tradizione rabbinica in relazione con herut che significa libertà. Harut e herut parole della legge incise nel cuore e libertà – sono vicine, e non solo sul piano lessicale. È questo il senso di un midrash che, con profonda verità, mette sulla bocca di Dio questo proclama: «Non vi ho dato la Torah perché sia per voi un peso e perché la portiate, ma perché la Torah porti voi». Una parola, questa, che richiama il capitolo undici di Osea, dove Dio stesso si presenta come Colui che porta Israele, e con affetto e amore gli insegna a camminare.

In effetti, è proprio questa la ragione ultima per cui le dieci parole (così sono chiamati nella bibbia i dieci comandamenti) sono all’origine della vita: sono manifestazione di un Amore che non inganna.  È interessante che proprio il Deuteronomio, il libro dei precetti e dei comandamenti, è anche il libro che ha una visione mirabile dell’amore di Dio verso il popolo: il Signore si è legato a voi e vi ha scelti non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli – ma perché il Signore vi ama… (Dt 7,7-8). Nell’amore avviene la reciproca appartenenza e la gioia di donarsi, il desiderio di bene, senza interesse né calcolo. Nell’amore vigono il rispetto e la fiducia. La tentazione di Israele (e dell’essere umano) è quella di non fidarsi di Dio. Si pensa: se solo avessi più autonomia, se potessi svincolarmi da questi lacci e da questi precetti che sono un giogo per me, se solo potessi fare della mia vita ciò che voglio… Sono questi i pensieri umani, perché si ritiene che Dio ponga dei limiti all’espansione della personalità e della gioia. Non è così: la storia di Israele mostra che liberarsi di Dio significa ritornare agli idoli che illudono e soggiogano. Solo chi ama trova il senso della vita, solo chi ama trova gioia nella responsabilità e nel servizio, nella fedeltà e nel rispetto. Chi ama osserva i comandamenti, diranno a più riprese il Vangelo e le lettere di Giovanni. Sì, per chi ama, le Parole hanno un senso, perché mostrano il sentiero della vita. 

Il Vangelo: Mc 7,1-8.14-15.21-23

Il violento rimprovero che Gesù indirizza verso i farisei e gli scribi va nella linea della religione del cuore, prospettata dal Deuteronomio: tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (Dt 6,5). Cuore, anima e forze sono espressione di un amore totale, che impegna tutta la persona, e soprattutto sono la testimonianza che la religione delle labbra – dei riti e delle tradizioni senza cuore – vissuta solo esteriormente, per ipocrisia e convenienza, porta alla distruzione e alla morte.

Per descrivere le due strade che stanno sempre davanti all’uomo – anzi, dentro di lui – Marco si dilunga a raccontare le abitudini dei farisei. Lo spunto della discussione è una delle usanze rituali, che i pii di Israele fondavano sul Levitico: lavarsi le mani prima dei pasti. In realtà la prescrizione riguardava inizialmente solo i sacerdoti e derivava la sua motivazione di fondo dalla santità, che doveva interessare la vita, nelle sue varie manifestazioni. La pratica sacerdotale fu estesa poi a tutti. I discepoli di Gesù non si attengono a questa tradizione, provocando la perplessità e il risentimento dei farisei.

Questo è lo spunto della discussione, ma il problema che Gesù solleva è molto più radicale, perché – come spesso avviene nella vita – dietro aspetti apparentemente marginali si celano cose ben più profonde. La risposta all’obiezione dei farisei e degli scribi sui discepoli che non si lavano le mani prima del pasto fa perno su un testo di Isaia: questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me! Ecco il punto: la religiosità delle labbra è senza radice se non è sorretta dalla verità del cuore. Il credente deve anzitutto esaminare se stesso e le motivazioni che stanno alla base del suo agire. Le tradizioni umane non sempre discendono dalla Sapienza di Dio. Ci sono usanze che costituiscono un comodo alibi alla vera fede. Anzi, l’ipocrisia umana può avvalersi di leggi e precetti per mantenere il potere e dominare le coscienze. È quanto accaduto a una corrente del movimento farisaico, con cui polemizzano i Vangeli. Il fariseismo era nato in un momento tragico (il periodo maccabaico) per ribadire la fedeltà e l’adesione totale a Dio e alla sua Torah. Con l’andare del tempo, però – avviene molto spesso nelle comunità religiose – questo intento nobilissimo di voler offrire a Dio una lode perfetta si era trasformato – almeno in alcune sue espressioni – in disprezzo degli altri. Il radicamento nel passato, che contiene spesso un aspetto di dignitosa nobiltà perché è ritorno alle radici, rischia di diventare prigione, se non si fa attento alla Parola sorgiva di Dio e alle istanze autentiche della vita. Una prigione e un alibi. Anche il Sabato santissimo – con tutto ciò che esso rappresenta – può diventare bestemmia, quando non si tiene conto che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Perché immagine di Dio è l’essere umano. I tutori della legge santa e dei sacri altari possono diventare talvolta spregevoli denigratori dell’essere umano, perché a loro interessa la legge più dell’uomo. Non si lasciano interrogare dalla Parola, perché troppo abituati a interrogare gli altri. Hanno la presunzione del sapere e non l’amore. Si ritorna così all’importanza della religione del cuore, espressa dal Deuteronomio. Solo chi ha il cuore libero è aperto alla novità e all’agire di Dio, che ogni giorno fa nuove tutte le cose.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano