Commento alla Parola nella XXX Domenica del Tempo Ordinario /B – 27 ottobre 2024

Il tema della Domenica

La vitalità e la gioia che zampillano dalle letture di questa domenica sono espressioni di un’umanità riscattata. Donne e uomini, colpiti nel corpo e nello spirito, o costretti a vivere dentro strutture senz’anima e involucri senza vita, osano ancora gridare e sperare, gemere e lottare. Il grido di Bartimeo ci rappresenta, come ci rappresenta il viaggio dei disabili verso la patria, di cui parla la prima lettura. La speranza cristiana germoglia, infatti, non là dove l’uomo cammina con spavalda sicurezza, ma ai crocicchi delle strade e nel grido dei tribolati. La salvezza di Dio irrompe tra le macerie umane: in mezzo ai ciechi e agli zoppi, ai relitti e ai dispersi. È la bella notizia di questa domenica. 

Prima lettura: Ger 31,7-9

La lettura del profeta Geremia è un bel canto sul ritorno dei deportati in patria. Si tratta della fine della diaspora e della rinascita di un popolo. La dispersione è sempre segno di maledizione e Dio si presenta come colui che raccoglie, il pastore che raduna: sarà lui a guidare il viaggio di ritorno. Come nel Salmo 23 Dio si mette in marcia, davanti al suo popolo. Il testo, però, non si ferma all’annuncio del ritorno, ma si spinge a descrivere i lineamenti dei partecipanti e il cammino verso la meta.

Al viaggio prendono parte le persone più inadatte a una fatica sfibrante: il cieco e lo zoppo, la donna incinta e quella che sta per partorire… Nel libro del Levitico, la cecità viene menzionata al primo posto tra gli impedimenti fisici che rendono impossibile il sacerdozio, ma qui si tratta piuttosto di un handicap che rende improbabile un viaggio, soprattutto se impegnativo. E tuttavia – come al tempo dell’esodo dall’Egitto – fame, sete, fatica, inquietudini di ogni sorta… non sfiancano un popolo che cammina nella certezza che Dio-è-con-lui.

Come al tempo dell’esodo, il Signore aprirà la strada e rimuoverà ostacoli, guiderà nel sentiero più sicuro e rinfrancherà chi è affaticato. Tornano alla mente le parole del Sal 126: «Quando il Signore ricondusse i prigionieri ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si aprì al sorriso e la nostra lingua si sciolse in canti di gioia…». È la gioia che pervade i poveri, che hanno sperato e gridato perché anche per loro si aprisse una strada: proprio per loro, costretti sempre a sedere ai margini.

Il Vangelo: Mc 10,46-52

Il racconto di Bartimeo inizia con la notizia di un cieco mendicante che sedeva lungo la strada. I ciechi erano per lo più mendicanti ed era abbastanza naturale trovarli sulla strada, ma la sottolineatura che Bartimeo sedeva lungo la strada non è banale. Il tempo imperfetto del verbo indica una situazione di usuale immobilità e di stagnante quotidianità, con poche aspettative e poca speranza. Un giorno Gesù passa e, in mezzo al frastuono della folla e dei discepoli, il cieco incomincia a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». L’appellativo figlio di Davide, con cui Bartimeo chiama Gesù, è sorprendente, almeno per tre motivi. Anzitutto si tratta della prima e unica volta nel vangelo di Marco, in cui qualcuno si rivolge a Gesù con questo appellativo; in secondo luogo, Bartimeo ripete il grido due volte e – terzo motivo – la professione di fede è posta sulle labbra di un cieco. Tutte queste motivazioni rendono evidente che si tratta di un titolo di notevole spessore.

Insieme ad altre espressioni simili, «Figlio di Davide» occupava un posto importante nella tradizione ebraica ed era già utilizzato come titolo messianico nel I sec. a.C., esprimendo l’attesa di un Messia liberatore, come compimento della promessa fatta a Davide. Insieme alla supplica abbi pietà di me, molto ricorrente nei Salmi, l’invocazione costituisce la prova di un atto di fede che Bartimeo non ha paura di gridare forte, anche se il fastidio dei presenti viene espressamente registrato. Ritorna un leit-motiv della letteratura biblica: i ciechi vedono più chiaramente di coloro che hanno la vista sana. Anche il mito greco parlava del vecchio Tiresia che, reso cieco dalla dea Era, ebbe in dono da Zeus la facoltà di profetizzare. Ma il racconto evangelico è di ben altro spessore. Qui si tratta del mistero di Dio e della sapienza delle sue strade.

Incurante dei rimproveri, Bartimeo intensifica le sue grida, continuando a esprimere la sua totale fiducia in Gesù che, udito il grido, lo fa chiamare. La condotta di Bartimeo, che si comporta come se fosse un vedente, gettando via il mantello, balzando in piedi e correndo verso Gesù, è improbabile ma, a livello simbolico, ha un impatto notevole perché sono gesti in cui si fa esperienza della potenza della fede. È la fede che vince l’immobilità e l’emarginazione. Gesù chiama e tutto si mette in movimento: colui che all’inizio del racconto sedeva lungo la strada, ora getta via la veste, balza in piedi, e va da Gesù. Meraviglia che Gesù domandi quale sia il suo desiderio, quasi cercando una richiesta esplicita da parte di Bartimeo. Ancora più meraviglia desta l’asimmetria tra la richiesta di Bartimeo, che vuole vedere, e la risposta di Gesù che gli dice di andare (hypage!). Gesù non risponde con un gesto di guarigione, come in altri casi, ma con un imperativo che rinvia al cammino. Colui che era cieco è chiamato a mettersi alla sequela, sulla strada del Messia crocifisso. Non è forse proprio qui il motivo fondamentale del racconto?

L’ultima scena presenta la situazione nuova, venutasi a creare con l’intervento di Gesù e con la fede del cieco. La novità è descritta da due verbi che non parlano, come in altri contesti miracolosi, della meraviglia delle folle o dell’acclamazione del guarito, ma solo del significato profondo della guarigione: Bartimeo «recuperò la vista e lo seguiva sulla strada». Il primo verbo – recuperò la vista (lett. vide) è all’aoristo, mentre il secondo – lo seguiva – è all’imperfetto. Strana costruzione, che certamente non è dovuta solo alla libertà sintattica che spesso e volentieri Marco si prende, ma vuol mettere in evidenza qualcosa di più profondo. Due strade s’incrociano: quella del cieco mendicante, che sedeva lungo la strada e quella del figlio dell’uomo che percorreva la strada verso Gerusalemme: la strada della cecità senza uscita, e quella dell’amore senza ritorno. Il recupero della vista apre la via senza uscita e rende possibile la sequela sulla strada, da perseguire con tenacia e fedeltà (lo seguiva!).

È qui la portata simbolica dell’episodio: il lettore trova in Bartimeo “il modello” del discepolo, contrapposto alla lentezza e alla chiusura di Giacomo e Giovanni che bramano i primi posti e degli altri che mormorano (cfr. domenica scorsa). Di fronte al mistero di Dio e delle sue strade, i Dodici – e Pietro in primis – si scandalizzano e protestano. Un cieco, invece, mostra il giusto sentiero, con la sua fede nel figlio di Davide, capace di aprire cammini impensati sulla strada della cecità umana.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano