Commento alla Parola nella XXXII Domenica del Tempo Ordinario /B – 10 novembre 2024

Il tema della Domenica

I modelli di confronto, proposti nelle letture di questa domenica, sono due vedove, espressioni di una delle condizioni più umili e precarie della società di Israele e di tutti i popoli. Accanto agli orfani e agli stranieri, le vedove vivevano uno stato di abbandono e di bisogno che necessitava continuamente di protezione e sostegno. La mancanza del marito le privava di ogni sostegno sociale ed economico e, a motivo dell’inevitabile inadempienza verso i creditori, vivevano con una spada di Damocle sul capo: la schiavitù, per sé e per i propri figli. Il loro particolare abbigliamento di lutto era un segno della loro situazione interiore. Eppure sono proprio loro che la Bibbia addita come modelli di fede. Per chiunque abbia il coraggio di accettare la sfida. 

Prima lettura: 1 Re 17,10-16

La vedova di cui parla la lettura tratta dal Primo Libro dei Re è una straniera, che abita una città posta sulla strada che conduce a Tiro, circa 13 chilometri a Sud di Sidone, sulla costa libanese. Il particolare vestito indossato dalle vedove la lascia riconoscere e stupisce che Elia chieda un gesto di carità a una donna che aveva poco o niente da offrire. Ancora più meraviglia desta il fatto che, in realtà, Elia non agisce di proprio istinto, ma su ordine del Signore, che lo aveva ammaestrato ordinandogli di recarsi a Sarepta dove una vedova avrebbe provveduto al suo sostentamento. Non è la prima volta che Dio sfida le certezze umane: chi ha detto che esseri umani, segnati da una vita di stenti, non siano capaci di eroicità e magnanimità? E chi ha detto che uomini e donne, baciati da fama e benessere, siano in realtà persone meschine e disdicevoli? La Bibbia non testimonia forse che il limite umano è capace di far germogliare speranza?

In sintonia con lo squisito senso di ospitalità che pervade l’animo orientale, la vedova non si lascia pregare due volte e s’incammina verso casa per prendere un po’ d’acqua e dissetare il pellegrino che si è presentato alla sua porta. Secondo una tecnica ben nota alla narratologia, improvvisamente il racconto s’impenna coinvolgendo sempre più il lettore, perché il profeta non chiede a una donna che vive di stenti solo un po’ d’acqua, ma anche un pezzo di pane. È qui che la situazione precaria della donna appare in tutta la sua vertiginosa drammaticità: ha solo una manciata di farina e un po’ d’olio, da consumarsi con il figlio e poi morire. Si è molto parlato della dignità dei poveri e questa vedova ne è una chiara dimostrazione. È vero anche che non si può, e non si deve, generalizzare: la dignità appartiene a donne e uomini di ogni classe sociale. E tuttavia, bisogna riconoscere che è più difficile conservare la dignità quando la vita si fa continuamente beffe delle speranze dei poveri.

Non si tratta però solo di ospitalità accordata o negata. Alla povera vedova Elia non chiede solo un atto di ospitalità, ma un atto di fede: «Non temere, va’ pure e fa’ come hai detto; prima però fammi con essa un piccolo pane e portamelo, poi ne farai per te e tuo figlio. Così infatti dice il Signore, Dio d’ Israele: “La giara della farina non giungerà mai alla fine e la brocca dell’olio non rimarrà mai vuota, sino al giorno in cui il Signore non invierà la pioggia sulla faccia della terra”».

Il racconto diventa in questo tratto sublime perché, con pochi schizzi, il narratore tratteggia la fiducia immensa di una povera donna e l’adempimento di una Parola umanamente inverosimile. Un uomo di fede ha scritto qualcosa che mi sembra uno dei più bei commenti a questo episodio biblico, sobrio e coinvolgente. Rivolgendosi a Dio, lo riconosce per quello che è, nel suo indefinibile mistero ed esclama: «Amen! Puoi tutto perché tu sei colui che ama. A te e a me io posso ripetere: Amen!». In fondo, è proprio questo «Amen» l’autentico atto di fede, che ispira il comportamento della vedova. 

Il Vangelo: Mc 12,38-42

Il messaggio evangelico cammina sulla stessa lunghezza d’onda. Per comprenderne tutta la portata, bisogna anzitutto notare il forte contrasto che Marco tinteggia per caratterizzare le due scene che compongono il quadro. In un primo pannello sono descritti gli scribi: lunghe vesti, primi seggi, primi posti, lunghe preghiere, saluti e riverenze… Nel secondo pannello affiora una povera vedova, spogliata proprio dall’ingordigia degli scribi, ricca di due spiccioli che le servono per vivere. Un contrasto provocante e – diciamo la verità – piuttosto fastidioso. Perché si potrebbero fare mille disquisizioni sull’ingordigia dei ricchi, ma anche di tanti poveri, e sullo spirito di accoglienza di gente semplice, ma anche di gente ricca, che mette a disposizione sostanze e averi per elevare lo stato sociale dei poveri. Si potrebbero introdurre tanti “distinguo”, necessari forse in un discorso per certi versi così massimalista. Ma il problema è un altro e – diciamo la verità – i nostri «distinguo» sono spesso «distinguo» di gente soddisfatta.

Gli scribi vengono descritti da Marco non nel loro conflittuale rapporto con Gesù, ma nella loro saccente religiosità che nasconde il vuoto dietro una maschera di ipocrisia. È interessante notare che questa descrizione viene proposta dall’autore per mezzo di una costruzione sintattica greca alquanto disordinata, segno probabilmente di un caos espresso anche linguisticamente. Infatti, tutto viene espresso da Marco con un’esposizione sintattica trascurata (un infinito e tre sostantivi oggetti del verbo principale e una serie di participi, che creano un disagio profondo nel lettore). La trascuratezza sembra trasudare un fastidio che contagia anche i contenuti del discorso. Tanta vanità di persone socialmente riverite e rispettabili nasconde in effetti sciatteria e vuoto: una religiosità ipocritamente ostentata, ma senza profondità.

In confronto alle grosse somme dei ricchi, quello che la povera vedova offre è del tutto insignificante (il termine greco indica un valore assolutamente trascurabile). Ma lei viene additata da Gesù come un modello da imitare, perché dà tutto quello che può dare. Per generosità o per fiducia in Dio? Apparentemente nel testo non c’è risposta, ma il contrasto con gli scribi sembra suggerire che la sua fede non si nutre di apparenza, ma di verità.

È anche interessante notare che, al pari di Bartimeo, la vedova appartiene a quella serie di personaggi marciani che fanno solo una breve comparsa sulla scena e poi scompaiono nell’anonimato. Si tratta di personaggi minori: non sono né discepoli, né uomini di statura considerevole, come – ad esempio – Giovanni Battista. Sono anonimi, che lasciano tuttavia una traccia indelebile nell’animo del lettore. Lo aveva compreso molto bene Giovanni Crisostomo, che scriveva: «Anche se sei molto povero e rientri in quelli che mendicano, se versi due monetine, hai fatto tutto; anche se dai una focaccia, nel caso tu abbia solo questa, hai raggiunto il fine». Che non siano, in fondo, proprio questi i veri credenti? Donne e uomini che, senza enfasi e senza apparenze, costruiscono un mondo di speranza, dove non è importante la fredda presunzione dell’avere e del ruolo che si riveste, ma solo la forza dell’amore?

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano