Nelle ultime domeniche abbiamo compreso che il nostro Dio parla! Prima a Samuele che chiama mentre è affidato al maestro Eli e si sta preparando alla vita di fede e con disponibilità risponde: «Parla o Signore, che il tuo servo ti ascolta»; ha chiamato Giona, un po’ meno disponibile, che risponde inizialmente a modo suo, andando a Tarso anziché a Ninive secondo la parola del Signore, e successivamente si conforma alla divina richiesta. La scorsa settimana abbiamo celebrato la “Domenica della Parola di Dio” voluta da Papa Francesco e abbiamo trovato nuovamente Gesù, la Parola di Dio fatta uomo, che chiama i primi discepoli a seguirlo. La sua preoccupazione non è spiegargli tutto, fargli capire chi è, ma ciò che gli preme è che lo seguano. Davvero la Parola di Dio, come la pioggia e la neve, è capace da sola, per la forza del suo Spirito, di produrre effetto (cfr. Is 55,10-11). Mi raggiunge, lavora ed opera in me, al di là di quello che sono e di quanto l’ho capita; certo se mi dispongo ad accoglierla, i frutti che produce in me sono migliori, tuttavia non dipende solo da me.
In questa domenica, IV del Tempo ordinario, ancora Gesù parla. Si trova nella Sinagoga di Cafarnao, il luogo proprio dell’ascolto della Parola di Dio e della preghiera; è sabato, cioè il giorno che gli ebrei dedicano a Dio. Gesù parla, insegna, ma la sua parola colpisce i presenti: arrivano a dire che parla meglio degli scribi. Chi sono gli scribi? Sono gli studiosi della Parola di Dio, in particolare dei primi cinque libri della Bibbia che gli ebrei definiscono la Legge. Loro sì che l’hanno studiata e la sanno spiegare. Questo paragone -«Lui sì che insegna con autorità, non come gli scribi»- non penso sia stato molto gradito da loro.
Ma da dove veniva questa autorevolezza nella parola di Gesù? Forse perché lui usava le parole giuste per farsi capire? No! Gli portano uno posseduto da uno spirito impuro e lui lo guarisce. “Oh, finalmente uno che non fa solo teoria” avranno detto. Davvero in Gesù tra il dire e il fare non c’è di mezzo il mare; veramente in lui la Parola di Dio agisce profondamente e realizza quello che dice.
Diceva san Paolo VI, papa da 1963 al 1978, che il mondo ha più bisogno di testimoni che di maestri (Udienza 2/10/1974). È proprio vero: vengono ascoltati perché è la loro vita a parlare.
Così è Gesù e così proviamo di fare noi suoi discepoli di oggi.
C’è però ancora un altro aspetto un po’ inquietante, nel Vangelo di questa domenica, che mi urta un po’: la presenza del demonio. Pure lui parla. E non dice cose brutte, fa’ proprio una vera professione di fede: «Io so che sei il Figlio di Dio e … tu puoi rovinarmi». Il diavolo conosce bene il mistero dell’Incarnazione e della Pasqua, sa che lui è il Figlio fatto uomo e che è più forte del male. Gli apostoli lo capiscono molto più tardi, noi ancora fatichiamo, tanti anche oggi non ci credono, ma lui, il diavolo, ha capito tutto. Anche lui conosce la Scrittura, la sa anche citare a memoria, come quando nel deserto cerca di tentare Gesù.
Ma la differenza è proprio qui: mentre Gesù annuncia la Parola, la conferma con le opere della sua vita; il demonio no, fa solo teoria.
Allora, se ho capito bene, mi piace riassumere il vangelo con le parole dell’apostolo san Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1,22).
Con Gesù possiamo passare dal dire… al fare.
Don Andrea Massalongo,
San Giuseppe artigiano, Villanova di Guidonia,
direttore dell’ufficio famiglia della diocesi di Tivoli