La liturgia di oggi si apre con la scena dell’Esodo in cui gli israeliti mormorano, desiderano qualcosa in più, hanno fame, sono non solo bisognosi ma schiavi dei propri bisogni. La loro esasperazione li spinge a schierarsi contro Mosé e Dio, lamentandosi e non solo chiedendo.
Questa situazione porta però ad una risposta di misericordia verso il popolo, cioè a donare ciò di cui hanno realmente bisogno. Infatti la manna, seppur non compresa nella sua essenza, deve essere della quantità bastante a nutrire una famiglia. Essa non va sprecata!
Questa prima lettura si ricollega con il Vangelo – continuiamo ad ascoltare il capitolo sei di Giovanni – in cui Gesù viene cercato per il gesto che ha compiuto e perché ha sfamato le folle. La gente non lo cerca per acquisire sapienza, perché riconosce la sua identità, nemmeno per avvicinarsi a Dio, ma per essere sfamata. In realtà questa situazione è molto vicina a quella del popolo di Israele nel deserto, che pensa solo ai propri bisogni ma fa passare in secondo piano la propria relazione con Dio. Così Gesù dà da subito una risposta chiara a coloro che lo cercano, mettendoli di fronte alle loro vere richieste, cioè quelle del cibo. Il Signore, da questo bisogno, li farà passare alla comprensione graduale del Pane di Vita, anche se non tutti comprenderanno ciò che Egli sta dicendo.
Cosa occorre fare dunque, per poterci nutrire del Pane di Vita? Il primo passo è sicuramente quello di andare oltre il proprio bisogno, di far sì che questo bisogno di cibo materiale non orienti tutta la nostra vita. Come fare? La svolta fondamentale avviene nel momento in cui riconosciamo di aver bisogno di altro, della comunione più profonda con il Signore della vita. Gesù ci invita a renderci conto che affannarci è inutile. A questo proposito direi che bisogna fare attenzione a due cose: innanzitutto il lavoro eccessivo finalizzato ad accumulare; poi il vizio della gola, che falsifica il nostro bisogno di cibo. Entrambe queste cose, pur illudendoci di soddisfare il nostro bisogno, in realtà ci svuotano e ci rendono schiavi di esse, facendoci perdere di vista la nostra relazione con Dio ed il valore dell’Eucarestia. Questo è ciò che avviene in tante celebrazioni delle Prime Comunioni, in cui solo momentaneamente si dà centralità all’Eucarestia, per poi spostarsi ad un altro banchetto ritenuto più importante, tanto che l’organizzazione per esso supera di gran lunga quella della celebrazione stessa. Quest’ultima considerazione dovrebbe farci rivalutare il senso della festa che scaturisce dal nutrirsi del Pane del Cielo perché, se chi se ne nutre non avrà più fame e sete mai, bisogna far festa in grande, attorno al Signore, che ci sfama con Ciò che è piccolo ma che basta per sempre. Per Dio non è importante la quantità, ma la comunione generata da quel cibo, che non può paragonarsi all’effetto di nessun altro cibo. Dunque “il Signore ci invita a non dimenticare che se è necessario preoccuparci per il pane materiale e ritemprare le forze, ancora più fondamentale è far crescere il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Colui che è il «pane di vita», che riempie il nostro desiderio di verità e di amore”. (Benedetto XVI, Angelus del 5 agosto 2012).
Ciro Vespoli,
parroco in San Pietro Apostolo, Zagarolo