Ci stiamo avvicinando al termine dell’Anno Liturgico che ricorda a noi cristiani la sacralità del tempo, luogo dove già opera la salvezza di Dio e il suo Regno.
In questa prospettiva possiamo accogliere meglio l’inizio del brano del Vangelo di questa domenica: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» (Mc 13,24-25). Queste parole spaventano perché se le cose della terra non danno stabilità e sicurezza (terremoti, alluvioni, malattie, la stessa pandemia), quelle del cielo erano chiaramente solide, eterne, tant’è che fino a qualche decennio fa non si metteva in discussione che il sole desse luce o che le stelle cadessero.
È davvero la fine del mondo, si salvi chi può. E così escono i profeti di sventura (come li chiamava S. Giovanni XXIII) persino tra i cristiani, che indicano la fine del mondo come una catastrofe generale perché –affermano- Dio si è stancato dei peccati degli uomini.
Ma forse non abbiamo considerato che questo è il nostro modo di ragionare, non quello di Dio. Capita infatti spesso che proiettiamo su Dio il nostro modo di agire, perché non lo ascoltiamo.
Invece Dio contempla la sua creazione e dice che «vide quanto aveva fatto ed ecco era cosa buona» (cfr. Gn 1) e poi nonostante il peccato cerca sempre l’uomo, difende Caino, forma un popolo per rivelarsi pian piano, fino a donarci la salvezza in Gesù. Tant’è che la domenica successiva celebriamo la Solennità di Cristo Re e Signore dell’Universo: è lui la fine del mondo, che «ricapitola in se tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10).
A proposito, è bellissima l’immagine utilizzata da San Paolo, che paragona la storia del mondo a un grande parto (cfr Rm 8,22): l’attesa, la sofferenza, il dolore di una donna non sono lievi, ma hanno un’aspettativa e trovano senso quando finalmente termina il parto e può abbracciare il bambino. Gli occhi del papà e della mamma si illuminano di gioia, perché i nove mesi di attesa e il dolore provato avevano uno scopo. Così è la nostra storia e la storia del mondo: andiamo verso il compimento, una grande gioia; non una distruzione ma una creazione finalmente liberata dal male.
Ma quando avverrà? Quando sarà?
Poco prima del brano che ascoltiamo questa domenica, Gesù aveva messo in guardia da chi predice questo giorno e ci mete in guardia dicendo: «Non ascoltateli!».
Poi ci dà una indicazione: «Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte» (Mc 13,28-29).
Era la natura il calendario degli antichi: il fogliare del fico annunciava la primavera e che ormai arrivava la stagione del caldo, dei raccolti.
Allo stesso modo per vedere il Regno di Dio occorre guardarsi attorno, non cercando segni eclatanti, ma piccoli come quelli delle scorse due domeniche: l’amore per il Signore e il prossimo (XXXI domenica) e la giustizia (XXXII domenica).
Chi cerca Dio e il suo Regno, lo trova nei piccoli e semplici gesti d’amore e di dono di sé che tanti, davvero tanti seminano ogni giorno attorno a noi, ma occorre saperli vedere (XXX domenica).
Le giornate della nostra vita in cui abbiamo visto il bene fatto dalle persone attorno a noi, sono state le più luminose e serene; quando poi vediamo tanti fare piccoli gesti d’amore e di gentilezza, ci sentiamo anche noi desiderosi di farlo, ne siamo coinvolti.
E tutti potranno vedere che il Regno di Dio è iniziato in mezzo a noi.
Don Andrea Massalongo,
parroco di San Giuseppe artigiano Villanova di Guidonia