In vista della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni, domenica 29 maggio, solennità dell’Ascensione del Signore, vogliamo soffermare la nostra attenzione su uno dei nuovi santi canonizzati da papa Francesco lo scorso 15 maggio: padre Titus Brandsma, primo giornalista santo e martire del Nazismo. Nato il 23 febbraio 1881 ad Ugokloster, nella Frisia orientale, Paesi Bassi, dove è considerato un eroe nazionale, Titus Brandsma – al secolo Anno Sjoerd – ha una storia particolare che ha spinto alcuni cronisti olandesi a chiedere al Santo Padre, con una lettera, di proclamarlo protettore dei giornalisti. Padre Titus infatti fu assistente ecclesiastico dell’Associazione dei giornalisti cattolici olandesi, con l’incarico di seguire circa una trentina di testate, tanto da ottenere lui stesso la tessera internazionale di giornalista.
Carmelitano, sacerdote, professore di Storia e filosofia della mistica e poi rettore dell’Università di Nimega, Tito Brandsma «era, innanzitutto, un uomo allegro, affabile, solidale, nel senso che mostrò, in tutta la sua vita, una capacità meravigliosa di essere sensibile verso lo stato d’animo dei propri simili», rivela padre Fernando Millan Romeral, già Priore generale dei carmelitani. Nominato assistente ecclesiastico della Stampa Cattolica nel 1935, difese la libertà di stampa e di pensiero dei giornali cattolici vittime della repressione nazista. Difesa che si tradusse in un forte scontro con il governo nazionalsocialista e che determinò il motivo concreto del suo arresto nel gennaio del ’42, del suo trasferimento nel carcere di Scheveningen e della successiva deportazione nel campo di Dachau. Scrisse di suo pugno p. Tito: «dopo quelli delle Chiese, la stampa è il pulpito migliore per predicare la verità… La stampa è la forza della parola contro la violenza delle armi, la forza della nostra lotta per la verità». Tito Brandsma non ebbe paura nemmeno nell’ora più buia. Alle 14 del 26 luglio 1942. Quando un’infermiera lo uccise con un’iniezione di acido fenico nell’ospedale da campo di Dachau dov’era stato portato a causa dell’estremo indebolimento del suo fisico.
La santità di padre Titus sta nelle parole che rivolse alla sua carnefice. «Le regalò il suo rosario, ma quella disse che era un dono inutile visto che non sapeva pregare», riporta il suo devoto biografo. «Lui, allora, le rispose: “Basta che tu dica Ave Maria, prega per noi peccatori”. Furono le sue ultime parole. Proprio quelle che suscitarono, nell’animo della donna, la grazia della conversione, come testimoniò più avanti lei stessa. La sua deposizione, resa tra l’altro come criminale di guerra (nel processo compare sempre come Tizia, il suo nome rimase segreto), fu fondamentale per la beatificazione di padre Tito»
Daniele Masciadri