Familiaris Consortio, dieci anni insieme con la famiglia e per la famiglia

In occasione del 10° anniversario di fondazione del Consultorio “Familiaris Consortio” di Villanova di Guidonia si è tenuto a Subiaco il 13 maggio un incontro dal titolo In nome del figlio adulto (I comportamenti e i sentimenti di Gesù, uno come noi).

A sollecitare la scelta di tale tematica è stata la costatazione che l’adulto di oggi non sempre presenta le caratteristiche di una “adultità matura”.

Nell’incontro si è cercato di evidenziare (avendo l’adulto Gesù come parametro costante di riferimento) che l’adultità è un modo d’essere piuttosto che un traguardo da raggiungere. E l’adulto è un “bambino cresciuto bene” e non solamente “ingrandito”.

Di Gesù si dice che “cresceva in età, sapienza e grazia presso Dio e presso gli uomini” come a ribadire che la “realtà“ educativa e/o auto educativa non è un “problema”. San Paolo, al riguardo, taglia corto con un monito che mette al palo le ansie educative: “Il seme cresce senza che il seminatore sappia come”.

Il verbo “crescere” la fa quindi da padrone nel contesto del discorso relativo alla “adultità”. È bello notare, infatti, che è stato proprio agli albori della storia umana che il Creatore (ancora non aveva rivelato di essere anche Dio e addirittura Padre) disse alla prima coppia: “Crescete e…”.

L’etimologia della lingua ebraica ci dice che il verbo “crescere” è imparentato strettamente con il verbo “creare”, come se il Creatore avesse invitato Eva e Adamo a portare a compimento, a maturazione, a buon frutto quello che Lui aveva appena creato.

Significa forse che il processo di maturazione non può avvenire in solitudine e che una scelta individuale fatta in regime di relazione ostacoli la crescita? C’è anche un curioso nesso tra le parole maturità, fecondità e felicità. Questo nesso tra maturità, fecondità, felicità lo sostiene anche Alessandro D’Avenia sul Corriere della Sera del 17 settembre 2018: «Felix, in latino, indicava semplicemente l’albero che da frutto (la radice è la stessa di “fecondo”): arbor felix era per il contadino l’albero che porta frutti buoni, pronti per essere imbanditi in tavola o usati per nuove seminagioni.

L’albero felice è l’albero fertile, che nutre e dà altre piante. La parola “felice” occupa la prima pagina dei libri di psicologia come motore della vita umana. E, a conti fatti, i due ambiti che consentono di definirci di renderci felici sono la costruzione di relazioni autentiche e la realizzazione delle proprie attitudini nella vita, non solo professionale. Tante crisi di felicità sono crisi di infecondità esistenziale».

Sembra di poter dedurre che Gesù, l’adulto maturo, uomo come noi (tranne che nel peccato) realizzi in toto queste dinamiche e si ponga come esempio per tutti coloro che desiderano essere e vivere da adulti, maturi, sereni, gradevoli, generosi. 

E non va dimenticato che la fiducia accordatagli dal Padre abbia operato in Lui quel “miracolo” di vita adulta in ragione di un semplice fatto, in ragione della sua intima relazione di totale ubbidienza alla Sua Santa, Misteriosa e Misericordiosa Volontà. C’è una curiosa metafora che aiuta a cogliere altre sfumature importanti per arrivare a comprendere in cosa consista vivere l’adultità, la metafora del terreno, della radice, dell’albero, dei frutti.

I frutti degli alberi sono la fase terminale visibile di tutto un processo invisibile che parte dalle radici le quali sono fondate in un terreno da cui suggono alimento e linfa e che grazie al sole, all’acqua e all’aria permettono ai frutti di arrivare a maturazione.

Alla stessa maniera possiamo leggere i “comportamenti” di Gesù come la fase esteriore e visibile di tutto un processo interiore e invisibile e precisare che tali comportamenti comprendono le sue parole, i suoi gesti, i suoi silenzi.

Un celebre aforisma ricorda: “Le parole servono la mente, i gesti servono il cuore, il silenzio serve l’anima.”

Per quanto concerne le parole va ricordato un dettaglio molto importante segnalato dagli studiosi della comunicazione, il dettaglio del tono di voce con il quale si dicono le parole. Il tono di voce copre il 30% della comunicazione e rivela lo stato d’animo emozionale al netto del pensiero (laddove il contenuto di pensiero è solamente il 10% della comunicazione e il restante 60% è appannaggio della postura del corpo).

Sarebbe interessante conoscere con quale “tono di voce” Gesù parlasse o urlasse, o sussurrasse,per scoprirne il “sentimento” sottostante.
E il silenzio? La parola “silenzio” ha una etimologia bellissima della lingua latina. Silenzio deriva dal verbo “silére” che è il fruscio della spiga di frumento nel suo schiudersi.
I “silenzi” di Gesù sono parlanti più delle parole. Basti ricordare il silenzio di Gesù in risposta alle domande patetiche di Erode, il silenzio di Gesù in risposta alla domanda di Pilato: «Che cosa è la verità?».

Ci viene in aiuto la lingua latina. Quid est veritas? chiede Pilato a Gesù. E Gesù non risponde e non risponde perché anagrammando la domanda ecco cosa ne esce: Est vir qui adest (È l’uomo qui presente)!

Cosa dire, inoltre, del “silenzio eucaristico” dell’Ostia Consacrata dove Corpo, Sangue, Anima e Divinità sussurrano all’anima messaggi misteriosi e nutrienti?
Possiamo pertanto leggere i comportamenti di Gesù (parole, gesti, silenzi) come rivelativi dei suoi sentimenti profondi.

Frutti, albero, radice, terreno, maturità sono pertanto concetti interdipendenti. È una caratteristica dei frutti (comportamenti) di essere maturi, belli, attraenti, gustosi, desiderabili. Ne deriva che i comportamenti dell’adulto dovrebbero pertanto avere le medesime caratteristiche riconosciute ai frutti. E, a tale riguardo, c’è una lapidaria espressione in Familiaris Consortio (1981) dove troviamo la parola frutto riferita a comportamento.

“I frutti dello Spirito sono comandamento di vita”, come dire che l’adulto, per essere tale,dovrebbe tenere un comportamento improntato a «Amore, Gioia, Pace, Magnanimità,Benevolenza, Bontà, Fedeltà, Mitezza, Dominio Di Sé» (Gal 5,22).
Il terreno fertile nel quale è radicata l’anima di Gesù è la Volontà del Padre. E qui si potrebbe già evidenziare il sentimento base di Gesù, quello della fiducia riconoscente nei confronti del Padre che gli ha affidato la missione di Messia Salvatore.
Riconoscere che “Tutto è grazia” (espressione del sacerdote morente protagonista nel celebre romanzo Diario di un curato di campagna, 1935 di George Bernanos, 1988 – 1948) diventa così il primo suggerimento spirituale per una vita di fede “adulta”.

Sono tre i fattori, riconosciuti dalla letteratura psicologica, come caratterizzanti da sempre la persona adulta: la consapevolezza della propria identità, la consapevolezza della propria appartenenza, la consapevolezza della propria missione da compiere nella vita.
Gesù, uno come noi perché si diventi come lui, sperimenta queste consapevolezze. La Costituzione pastorale Gaudium et spes (GS) scrive: «Il Figlio di Dio ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato» (GS 22). A noi il compito gioioso di vivere in pienezza l’adultità per la causa del Regno di Dio. E questo non  può avvenire senza l’orazione quotidiana e il nutrimento di vita dell’Eucaristia.

Gigi Avanti