In occasione della 55ª Giornata delle comunicazioni sociali e a 50 anni dalla “Communio et progressio”, pubblichiamo una illuminante pagina del professore monsignore Giovanni Tangorra del clero prenestino, dal suo libro “Cristo perfetto comunicatore”
L’istruzione pastorale Communio et Progressio chiama Gesù Cristo «perfetto comunicatore» (n.11). Questa inedita definizione merita un approfondimento. Partiamo da un elemento chiave del processo comunicativo, che è la relazione. L’uomo comunica non tanto per trasmettere informazioni, ma per aprirsi all’altro e creare legami. Ebbene uno degli aspetti più evidenti della personalità di Gesù nei Vangeli è la sua scelta relazionale. Egli non si presenta come un burbero asceta che dal santuario di una grotta indica agli uomini la via del cielo, né come un sacerdote chiuso nel tempio, ma frequenta strade, piazze, città, cammina in compagnia: è l’uomo-con gli altri e non solo l’uomo-per gli altri.
Possiamo dire di più e rilevare tre qualità del suo stile comunicativo. Innanzitutto, la scelta del modello orizzontale. Gesù incontra gli uomini sul loro terreno, codificando il messaggio nella cultura e nelle attese dei propri uditori. Non parla una lingua arcana e non sceglie il rapporto gerarchico di chi sta sopra o sotto. La folla lo proclama Signore e Re, ma egli preferisce i titoli della vicinanza: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 15,15). L’amicizia accorcia le distanze e dà spazio alla nostra peculiarità. Gesù è amico dell’uomo, Tommaso d’Aquino si spinge a definire la carità come amicizia con Dio, sostenendo che i rapporti tra i cristiani devono essere «rapporti di amicizia».
La seconda caratteristica è l’autenticità. Presentandoci agli altri, spesso indossiamo una maschera, per apparire diversi da quelli che siamo e manipolarli. Gesù non ama le finzioni e parla apertamente. L’uomo ricco che cerca di blandirlo chiamandolo “buono” è riportato a se stesso (Mc 10,17-23), mentre la vedova, oggetto di pubblica commiserazione per aver versato solo due monetine, riceve il suo elogio (Mc 12,41-44). E così nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14). In una comunicazione autentica, gli interlocutori non recitano una parte, ma hanno il coraggio di incontrare se stessi, riconoscendo i propri lati oscuri: «Perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Lc 6,41).
La terza qualità è l’accettazione. Il flusso comunicativo s’interrompe in partenza quando timbriamo gli altri con un’etichetta, come si fa con un pacco postale, sulla base di un singolo elemento: l’origine geografica, la posizione politica, lo stato sociale, e così via. Lo fanno gli opinionisti, che anziché parlarsi si compiacciono del proprio monologo. Anche al tempo di Gesù esistevano le etichette, come quelle dei samaritani e dei pubblicani, ma egli considera l’altro un prossimo, insegnando a comportarsi come il Padre, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (5,45). Gesù non esclude, non scarta, non omologa, ama l’uomo per quello che è, e sceglie la via del dialogo, facendosi egli stesso Dialogo.
Giovanni Tangorra,
Pontificia Università Lateranense