Giornata di ritiro del clero

Inizia nel ricordo di don Romano Massucco il ritiro del clero, che il Vescovo ha tenuto l’11 marzo nel santuario di San Vittorino. Dopo la preghiera dell’ora Terza, sua Eccellenza ha introdotto l’argomento della meditazione: essere discepoli di Gesù, amandoci gli uni gli altri. Il tema è ben consono al momento che viviamo, se da un lato diciamo di stare tutti sulla stessa barca, dall’altra viviamo tutti come prima. Una riflessione dunque sul comandamento dell’amore, un amore che ci rende discepoli, per andare insieme verso tutti i fratelli, come ricorda anche papa Francesco in Fratelli tutti. Mons. Parmeggiani si sofferma in particolare su Gv 15, 12-17, chiedendo ai sacerdoti di immedesimarsi con i discepoli, mentre Gesù gli dà questo comandamento, per sentirsi interpellati dal Maestro in prima persona. Gesù sente questa indicazione dell’amore come particolarmente sua, l’indicazione più personale e più forte, la regola della sua vita, che traccia l’identità del cristiano e quella dei presbiteri. Senza l’agape, l’amore oblativo, non esistono né cristiani né tantomeno presbiteri, diveniamo banalità, insulsaggini, monumento di stupidità della storia. Ma ancora Gesù, parlando dell’amore, introduce un termine di paragone: “come io vi ho amati”, o anche “perché io vi ho amato”. Gesù ci ha amato per primo, quindi significa che non dobbiamo aspettare di essere amati, ma dobbiamo iniziare noi ad amare, anche senza quella corrispondenza che spesso vorremmo avere. Essere i primi ad amare, spesso, significa essere come i bucaneve, che con la loro fragilità, spaccano la neve. Chi ama esercita una forza umile che spacca l’indifferenza e l’odio, una forza capace di far spuntare la primavera nell’inverno delle relazioni. Amare significa poi essere veri, senza ipocrisia e adulazione: dire la verità anche quando fa male. Amarci come lui ci ha amato significa ancora perdonare: il perdono è essenziale all’amore, un amore che non perdona inchioda l’altro ai suoi errori. Perdonare sempre, ma anche rendere giustizia a chi è stato ferito, forse per sempre, dagli errori di qualcuno. Amare una persona significa anche amarla quando non se lo merita, perchè Dio la ama. Questa è la nostra stessa esperienza: quante volte Dio ci ama, proprio quando siamo più inamabili! Il suo amore ci rende belli. Per questo è necessario mettersi davanti al crocifisso e all’Eucarestia, facendo risuonare dentro la parola di Gesù: “Io ti ho amato così”.

“Amatevi gli uni gli altri” – continua il vescovo – ci spinge ad amarci tutti, senza scegliere noi chi amare, facendo nicchie chiuse, ma aprendoci a tutti: proprio per questo il prete è celibe per amare di più e senza esclusivismo. Monsignor Parmeggiani poi ricorda come il Signore ci ha scelti, nella fede e nel Battesimo, e come non siamo stati noi a scegliere Lui. A questa chiamati si aggiunge la vocazione al Sacerdozio, senza alcun nostro merito. Se ci accorgessimo che nella profondità della nostra vita c’è questa verità: “io ho scelto te, ti ho amato”. Entreremmo nel riposo e nella consolazione, anche quando abbiamo tra le mani i nostri fallimenti: la sua elezione è una roccia sulla quale possiamo costruire la nostra vita. Non solo ci ha scelti il Signore, ma ci ha costituiti, cioè ci ha reso forti, capaci di reggere gli urti della vita, non pensando di salvarci grazie a forme esteriori, ma da Lui che ci costruisce pezzo per pezzo.

Costituiti, inoltre, per andare e portare frutto, non rimanendo chiusi nelle nostre comunità, ma andando in mezzo alle strade: il Signore non ci ha fatto per tenerci per se, ma per essere Chiesa in uscita. Allora rivolti a Cristo, i nostri volti di discepoli possono rivolgersi agli altri, affinché in noi possano vedere Cristo.

Daniele Masciadri