La tradizione consolidatasi nel XVII secolo vuole che l’immagine della Madonna di Quintiliolo venga riportata nel piccolo santuario che sorge al cospetto dell’acropoli tiburtina la prima domenica di agosto dopo circa tre mesi dalla sua traslazione in Cattedrale.
È possibile intravedere in questa festa un riferimento alla visita di Maria presso la cugina Elisabetta (cfr. Lc 1,56), un riferimento a misura della devozione popolare che, in passato, si saldava necessariamente con il ritmo agricolo della vita umana.
Non è un caso che la Madonna bruna di Quintiliolo, simbolo di abbondanza, venisse trasportata dalla confraternita dei Butteri per invocare protezione dalle calamità naturali e il dono della pioggia necessaria al raccolto.
Ma le necessità materiali non spiegavano e non spiegano del tutto questa festa che ancora oggi, tra difficoltà di ogni tipo (secolarizzazione, pandemia e, come se non bastasse, accessi stradali chiusi a causa delle frane) esprime quel desiderio insostituibile dell’uomo di trovare una meta alta verso la qua-le incamminarsi. Ed è proprio questo il dono più grande che Maria fa ogni anno ai tiburtini.
Nell’icona (tecnicamente una “odigitria”) la Madre infatti è “Colei che indica la Via”, Gesù stesso, raffigurato con il libro del vangelo.
Le celebrazioni che hanno scandito la vita del Duomo hanno avuto l’unico obiettivo di far incontrare Gesù nella preghiera, nell’adorazione eucaristica e nei sacramenti (in particolare la confessione) sempre abbondantemente donati grazie alla disponibilità del parroco, don Fabrizio Fantini, e dei sacerdoti.
Il magistero del Vescovo ha dato linfa alle tante celebrazioni che si sono svolte in questo arco di tempo (cresime, prime comunioni, solennità liturgiche e diocesane), incoraggiando a perseverare in questa direzione per sperare di “incontrare – così nell’omelia di saluto dell’icona del 7 agosto – la luce gentile” di Gesù.
A. M.