Per chi si addentra nella valle dell’Aniene, dopo circa 13 chilometri da Tivoli, ecco Vicovaro, posto su un ripiano di incrostazioni fluviali. Sorge adagiato su uno sperone di roccia dell’ultima propaggine dei Monti Lucretili, circondato da monti. La sua antichissima storia lo vede, circa duemila anni fa, roccaforte degli Equi contro le continue guerre ingaggiate da Roma per conquistare il territorio. Agli antichi principi, gli Orsini, si deve la fioritura del paese che, nel medioevo e tardo rinascimento, prese parte attiva nelle vicende politiche dell’intera Europa, ospitando papi e imperatori. La storia del paese è legata a filo doppio, infatti, alle vicende della Gens Ursinia, famiglia che diventerà molto importante a Roma e che vedrà l’inizio della sua egemonia proprio dai possedimenti posti fuori l’Urbe. Nel 1191 Celestino III concesse la terra di Vicovaro ai suoi parenti Orsini ed elevò, con diploma pontificio San Cosimato ad abbazia autonoma, dipendente direttamente dalla Santa Sede.
Il primo documento, dal quale si può evincere un processo di urbanizzazione, è il testamento di Matteo Orso di Giangaetano; siamo nel 1279, precisamente il 12 gennaio, e Matteo, in riparazione ai tanti soprusi perpetrati ai danni della popolazione e del clero, fa alcune donazioni. Tra i vari beneficiari di questi lasciti ricorda, a Vicovaro, la chiesa di San Pietro, di San Salvatore, di San Nicola, di Sant’Andrea, di San Silvestro, di San Sabino, di Santa Maria dei frati minori e di San Cosimato.
La chiesa del Ss.mo Salvatore sorge su uno sperone di roccia calcarea che si innalza per circa due metri sul piano dell’attuale sede stradale; la facciata della chiesa quindi, ergendosi su una stretta stradina e fronteggiando un palazzetto cinquecentesco, sovrasta il visitatore che si accinge ad entrare. Uno stupendo effetto prospettico permette a chi passa lungo la strada di poter ammirare il quadro d’altare nonostante la distanza e il notevole dislivello. Il portone, infatti, maestoso e allo stesso tempo di fattura molto semplice e artigianale, si apre su una scalinata di 7 gradini che immette nella navata.
L’ambiente, austero e semplice, è coperto da una maestosa travatura a capriate lignee; un massiccio arco trionfale immette poi nell’abside quadrata coperta da una volta a botte. Sulla parete sinistra della navata si aprono le due cappelle dedicate a Sant’Andrea e alla Vergine di Loreto. Dalla prima, passando per una stretta porticina, si accede ad un piccolo vano, posto ai piedi del campanile, dove pendono le corde delle campane; dalla cappella della Vergine di Loreto, invece, salendo alcuni gradini si passa in sagrestia e da qui, salendo ancora delle scale di legno, si giunge al coro posto sulla controfacciata. Sulla parete destra della navata invece si addossa una nicchia dedicata a santa Barbara con la statua della Santa titolare, e un altare a parete dedicato alla Ss.ma Trinità, ultimo testimone di altri altari che, come vedremo, erano presenti nella chiesa.
Addossato alla chiesa è un campanile a vela.
Nel 1581, giunto a Vicovaro in visita apostolica, Mons. Annibale De Grassis, vescovo di Tivoli, descrive la chiesa come ancora oggi la vediamo: con l’altare maggiore, le due cappelle e la sacrestia. Importante è, nel suo resoconto, la descrizione degli altari delle due cappelle, ora scomparsi, che ci hanno permesso di ritrovare numerosi brani di affreschi coperti negli anni da vari strati di ridipinture. Già qualche anno prima, nel 1564, Mons. Giovanni Andrea Croce nella sua visita aveva ben descritto la chiesa soffermandosi anche sulle suppellettili e sull’arredo liturgico: ricorda la statua lignea della Madonna in trono (successivamente mai più menzionata) e l’icona del Salvatore, certamente facente parte di un dittico o di un trittico (clausa tabulis ligneis). Nel suo resoconto non parla della sacrestia, mentre Mons. Binarini, nella visita del 1574, scrive espressamente che la chiesa non ne possiede.
Da ammirare è la tavola del Santissimo Salvatore, pregevole icona quattrocentesca, che venne conservata per alcuni decenni nella cappella di sant’Andrea. Ricollocata in quello che doveva essere il suo posto originario, domina la navata della chiesa. Incorniciata da due lesene e un timpano ligneo sul quale campeggia la colomba dello Spirito Santo, la figura del Salvatore siede benedicente alla maniera occidentale la fattura, semplice e di buona mano, è purtroppo poco leggibile a causa dell’alterazione della vernice protettiva che veniva di solito applicata sull’opera finita a protezione della pellicola pittorica. Molto belle sono le cappelle di sant’Andrea, con l’opera, attribuibile alla fine del XIV – inizio XV secolo, che mostra un sant’Andrea che porta lo strumento del suo martirio; e infine la cappella della Madonna di Loreto, accessibile tramite una stupenda arcata polilobata in peperino scolpita alla maniera sulmonese.
Domenico Bontempi