Immacolata Concezione B.V. Maria

In occasione dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, don Franco Proietto propone una riflessone sul volto di Maria, predisposta fin dal suo concepimento ad essere “sigillo” del volto di Suo Figlio.

Il volto di Maria fisicamente e spiritualmente è l’impronta del volto di Gesù, il suo sigillo. Dante Alighieri nel Paradiso mette in bocca a san Bernardo un’espressione felice riguardo a Maria: “lei è la faccia che a Cristo più si somiglia”. È vergine madre. Pura, umile, semplice, è la donna a cui ogni donna può fare riferimento. È perennemente giovane, sempre bella, anche nella dignità nelle inevitabili rughe della incipiente vecchiaia.

Quando alcune persone avevano criticato Michelangelo di aver scolpito l’immagine di Maria della Pietà troppo giovane, Vasari scrive “sebbene alcuni, … dicono che abbia fatto la nostra donna troppo giovane, non si accorgono e non sanno eglino che le persone vergini senza essere contaminate, si mantengono e si conservano l’aria del viso loro gran tempo, senza alcuna macchia? Onde tal cosa accrebbe assai più gloria e fama alla virtù sua che tutte l’altre dinanzi”. Anche Maria, come Gesù, ha multiformi espressioni di vita stampate sul suo volto: di meraviglia e di stupore nell’annunciazione, di attesa e condivisione quando visita sant’Elisabetta, di indefinibile gioia della nascita di Gesù, di smarrimento e sbigottimento quando vanno in esilio in Egitto, di angoscia quando si è perso tra i dottori del tempio, di materna preoccupazione e apprensione quando lui varca l’uscio di casa per andare al di là, nel mondo, tra la gente, a vivere tutti i problemi degli uomini, a seminare la parola di Dio. Poi consapevolmente vivrà in un fiume vorticoso le vicende dolorose del Calvario per dare il suo contributo di sofferenze, pianto e amarezze. Resta impietrita sotto la croce, immobile, a viverne gli strazi della passione.

E, appena schiodato, ricorderà di averlo preso in grembo da bambino con lo sguardo lontano, a penetrare la misteriosa volontà divina, ora in un abbraccio profondo di annientamento totale, consapevole che davvero anche per lei “tutto è compiuto”. Perché tra lei e suo figlio esiste una perfetta armonia spirituale e anche una speciale affinità tra il suo cuore è quello di lui. La condivisione di aderire alla volontà di Dio è anche condivisione del prezzo da pagare: per lui morte del corpo, per lei morte del cuore. È ormai un volto pacato, non rassegnato, ma sereno il suo quando gli apostoli insieme ad alcune donne e con lei Maria, madre di Gesù, ricevono lo Spirito Santo.

Facciamo scorrere davanti ai nostri occhi per trasferirle diligentemente nel nostro cuore le infinite immagini che delicate mani di artisti per secoli e secoli, nelle più svariate culture, in luoghi lontani tra di loro, ci hanno benevolmente tramandato.

Donna del “sì” e donna dell’attesa, del cammino e del Magnificat, donna del silenzio che custodisce ogni cosa nel cuore e donna nella gioiosa convivialità delle nozze di Canaan, che osa dire agli inservienti “Fate tutto quello che Lui vi dirà”; madre di Gesù e madre di Giovanni, madre nostra e madre di dolore “che ha conosciuto il patire” più di tutte le donne del mondo.

Ti contempliamo stupiti in ogni atteggiamento della tua vita, come unica creatura amata infinitamente da Dio, a cui hai prestato la carne per “impastare” tuo figlio Gesù e renderlo Figlio dell’uomo. Donna vestita di sole, Theotokos, Madre di Dio, Immacolata, Assunta in cielo Addolorata, sempre presente nel cuore della gente come nel caldo della casa, che doni a noi uomini l’esemplarità del volto delicato di una donna e ci fai comprendere la tenerezza e la bontà materna di Dio.

Straordinaria e quotidiana, festiva e feriale, “sei tutti noi” quando hai lasciato per un attimo spesa, nell’attesa, la generosa risposta del tuo “sì” a Dio.

E appena il soffio leggero della tua voce ha pronunciato quella parola, un monosillabo appena, Dio stesso è esploso nella gioia (come? non lo so) con tutti i suoi angeli in cielo, e un lieto fremito ha attraversato tutti giusti che attendevano nell’aldilà questa tua decisione, una liberazione che ha fatto della loro speranza e attesa un canto di perenne gratitudine.

Qualcuno ti ha ritratto in preghiera, in ginocchio davanti all’Eterno, quando improvvisamente il fruscio delle ali dell’Angelo ti ha distratto e l’attenzione si è rivolta su quel fascio di luce e sul suono delicato della sua voce: “Ti saluto, o piena di grazia, “Kecharitomene”, il Signore è con te”. Oppure quando, come tutte le poco più che adolescenti fanciulle della tua età, andavi ad attingere l’acqua nella fontana del villaggio e ha lasciato la brocca lì, sulla nuda terra, e sei corsa trafelata a casa raccontare a tua madre, turbata e smarrita, con il cuore che ti batteva forte, un evento incredibile. Tanti dipinti hanno cercato di narrare quegli istanti.

Ci piace vederti nel momento in cui, già madre, con stupore ansioso, offri il tuo seno al bambino Gesù: Lui ormai è carne della tua carne, è frutto del tuo grembo.

Quel latte che riceve diventerà suo sangue, sangue che come già sai sarà sparso sulla croce per amore dell’umanità: lo stringi tra le braccia, lo guardi, lo ammiri, e ti stupisci che Dio sia là in quel Bambino dolce e impotente che è anche tuo figlio. Madre di Dio! E allontani subito questo pensiero perché immediatamente esperimenti la tua fragilità umana, il tuo limite, la tua piccolezza, il tuo niente: tu sei donna, umana, come tutte le altre madri. Se hai prestato la tua carne a Dio, è per un suo atto di amore eterno. Ma ora vuoi godere questi istanti. Lo guardi e ti rassomiglia tutto. Lo baci, gli sorridi e ti sorride. Piange qualche volta.

E incominci a immaginare i tanti pianti della sua vita, fino al grido estremo sul Calvario. Tu lo sai che sarà così. Tu tremi a pensarci, ma ora lo accarezzi, lo abbracci e la notte ti svegli per andare a vederlo ancora una volta, a sfiorargli con mano delicata i suoi capelli. Ne senti il respiro. Vorresti prolungare questi istanti, – fissare il tempo – quasi potessero diventare eterni. Qualche volta, con umile semplicità, pensi che nessuna donna al mondo ha avuto il suo Dio per lei sola. Tu sì. E cominci a valutare le vie di Dio, lontane dalle tue. Perché proprio a me? E ti senti infinitamente inadeguata a ricoprire questo ruolo, a penetrarne il mistero, a viverne la portata. Ti perdi nell’immenso abbraccio del tuo Dio, nel suo inestricabile progetto di Amore, ti basta sentirti sua figlia e Lui padre della tua vita.

Poi la tua vita si è snodata come la vita di tutte le madri. Vedevi Gesù crescere come un ragazzo maturo e giusto, in sapienza, in età e in grazia.

Il tuo viso ogni tanto posava lo sguardo su di Lui e su Giuseppe, accompagnavi le loro fatiche quotidiane, partecipavi ai loro progetti, alleviavi la loro stanchezza, condividendo in comune atto di amore, gioia e preoccupazioni quotidiane.

Continuavi a fare ciò che facevano tutte le donne del tuo tempo: vigile e previdente, attenta alle necessità di casa, continuavi a portare la brocca sulla testa o appoggiata sulla spalla, quando ti recavi a prendere l’acqua o a lavare i panni al fontanile grande, quando ti incontravi con le altre donne e scherzavate insieme e vi scambiavate le tante preoccupazioni che la vita inevitabilmente vi procura.

Mettevi una parola buona e conciliante quando si fossero create delle incomprensioni dentro le famiglie e al di fuori di casa, tra persone e persone. Quando la gente si incontrava ammirava il tuo portamento dignitoso ed elogiava la serietà nelle relazioni con quante incrociavano il tuo sguardo: sempre sorridente, pudica e rispettosa. Ti dispiaceva non poter partecipare ufficialmente al culto dello Shabbat, di non poter accompagnare tuo figlio al tempio. Eri però sempre presente nelle feste, e, pur osservando il riposo di questo giorno, lo santificavi durante “la santa convocazione”, assistendo all’ “offerta di sacrifici” ritagliandoti del tempo per disporre a tuo piacere la vita religiosa, recitando i salmi o ascoltando le gesta del Signore, orgogliosa di far parte di questo popolo eletto. Lo sguardo che Dio ti aveva rivolto in un atto di amore straordinario che tu vivi nel tuo cuore, continuava ad accompagnarti nelle amicizie della tua vita, nella condivisione di visite agli amici e parenti, date e ricevute, con uno stile di vita fatto di attenzioni e cura verso l’altro.

E tutti si meravigliavano come riuscissi a vivere le cose ordinarie in modalità straordinarie, e tanti, nelle conversazioni, attendevano la tua saggia parola per rallegrarsi nell’intimo della loro vita.

Di tanto in tanto ti arrivavano le notizie di tuo figlio e ti rallegravi nel cuore quando ti dicevano che annunciava parole di vita eterna, che la gente si affollava attorno a Lui per ascoltarlo e accoglierlo, che guariva le malattie del corpo e dello spirito. E sentivi le prime ferite del cuore quando ti raccontavano che i Farisei lo perseguitavano, che le autorità religiose lo disprezzavano, che i potenti lo avrebbero voluto morto.

Tu allora, rintanata in un angolo di casa, diventa altare e preghiera, innalzavi la tua voce al Signore e cominciavi a temere per Lui: si stava infatti avvicinando la “sua ora”, quella che attendevi da tempo lontano e che non avresti mai voluto che arrivasse, pur conoscendo che era inevitabile, perché era “nei patti”.

Una profonda ferita squarciò il tuo cuore quando sentisti che Giuda, uno dei compagni fidati di tuo figlio, uno dei tanti che era perfino venuto a casa tua quando lui, Gesù, passava a trovarti, con un bacio lo aveva tradito. Allora ti cade il mondo addosso. E lasciasti la casa e insieme a tante pie donne, che erano state liberate dal male e guarite nel cuore, gli andasti vicino, là dove si consumava il dramma immane. Preso, incarcerato, flagellato, incoronato di spine, deriso e umiliato hai ascoltato le grida di chi lo vituperava e i lamenti di chi soffriva con lui. Eri presente sulla strada del Calvario, lo hai incontrato, lo hai abbracciato, hai cercato di alzarlo da terra, come le tante volte, quando da ragazzo si sbucciava i ginocchi, correndo tra i sassi di Nazareth.

Sei stata infatti sempre vicino a Lui, anche se a distanza di luoghi, sei vissuta per Lui. Hai trepidato, sospirato, sperato per questo Figlio che hai donato a tutti noi. In quei momenti hai compreso e sopportato il peso della tua e della sua scelta, donare l’amore, vivere per gli altri, piangere e soffrire per gli altri, sentire ora in tutta la sua drammaticità ciò che una volta aveva detto il vecchio Simeone, quando lo presentassi al Tempio: “anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Ma allora i tempi sembravano lontani, ora invece sono presenti con tutta l’angoscia del loro dolore, dell’incomprensione e della sofferenza.

Non riconosci più quel volto, quando è uscito sfigurato dopo che l’hanno flagellato e coronato di spine. Nessun pianto potrà liberarti da quel mare di sofferenza che non dato la tua anima. Né alcuna pietà umana riuscirà a ridare lineamenti e dignità al tuo viso. Non è il tempo che ha sfigurato il tuo volto, ma la sofferenza e il dolore.

E i soldati nemmeno un abbraccio o una carezza o un conforto ti hanno permesso di dargli. È un condannato: tuo Figlio, uomo di pace e giustizia, di amore e di bontà, è un dannato!

Dove sono andati i suoi amici: Pietro, Giacomo, Matteo, Filippo… Dove siete andati? Perché l’avete lasciato solo? Perché nessuno viene più a dirmi parole di conforto ora che ne ho tanto bisogno? Eravate orgogliosi di lui e ora non vi vergognate di dire che non lo conoscevate nemmeno! Anche voi lo avete tradito. E aggiungete all’immenso mio dolore, dato dagli sconosciuti, quello ricevuto da voi, da amici, più che da familiari.

Le infinite immagini che rappresentano questi momenti tragici della tua vita, i numerosi “compianti del Cristo morto” (suggestivo quello di Giotto), lacrimevoli volti delle Addolorate, che sfilano durante le processioni del Venerdì Santo, i canti struggenti e le Laudi che si innalzano al cielo in tua memoria, ci avvolgono in una condivisione con la tua vita afflitta e piangente, e come lame affilate penetrano dentro di noi, fratelli e sorelle in umanità, come membri di una stessa famiglia. Nel tuo pianto c’è il nostro pianto.

Ti hanno rappresentata immobile, dolente e afflitta sotto la croce, mentre tuo figlio ti affidava a Giovanni e lui a te. Là sei diventata la nostra madre. Vorremmo asciugarti le lacrime dal tuo volto per esprimerti il nostro affetto di figli. Vorremmo accarezzarti con ritegno, delicatamente per riparare i tanti tradimenti di amore che abbiamo perpetrato contro la tua dolente maternità. Tu sei la Madonna della Pietà.

Qualcuno ti è stato affianco, c’erano presso la croce con te Maria di Cleofa, la Maddalena, Giovanni e poi Giuseppe di Arimatea, infine Nicodemo e con loro, credici, c’eravamo tutti noi. Ti abbiamo aiutato a riprenderti tuo figlio.

Ti abbiamo aiutato a toglierlo dalla croce, lentamente, quasi avessimo paura di fargli ancora male. Lo hai adagiato sul tuo grembo come a Betlemme, come una volta quando lo cullavi bambino. Gli hai asciugato il volto togliendo i grumi di sangue che scendevano lungo le guance. E hai impresso per un’ultima volta il tuo volto al suo.

Con i tuoi baci, restati sospesi da tanto tempo, troppo, hai impresso il tuo sigillo d’amore sulle piaghe del suo corpo.

Mestamente, avvolto in un lenzuolo è stato deposto nella tomba, profumato dagli oli aromatici. Domani le donne porteranno altri aromi.

Ora è il tempo del silenzio, della preghiera. Il buio non farà più paura. Risorgerà ancora una volta il sole e, quando sarà inghiottito dalla notte, farà spazio, prima di risorgere di nuovo, ad un altro sole, la Resurrezione, quella di Gesù.

Don Franco Proietto
Parrocchia Sacra Famiglia, Palestrina