«Vite intrecciate» è lo slogan della giornata di preghiera per i missionari martiri che si è celebrata il 24 marzo. La vita di padre Alberto Amarisse, al secolo Francesco Nazzareno Luigi Pio, è un intreccio di luoghi e di dimensioni. A lui la cittadina di Cave lo scorso anno ha dedicato un monumento nel centenario della morte. Nato in Cavarum Terra nel 1874, decise di farsi francescano in Terra Santa e nel 1888 partì alla volta della Palestina, per vivere appieno l’ideale cristiano e francescano. La sua formazione iniziò nel Collegio Serafico di Emmaus; qui nel 1891 egli vestì il saio francescano prendendo il nome di fra Alberto da Cave. A Betlemme, presso la grotta della natività, frequentò il Collegio di Santa Caterina per studiare la filosofia e diventare sacerdote. La professione perpetua avvenne nella Grotta della Natività il 3 ottobre 1895, alla vigilia della festa di san Francesco d’Assisi. L’ordinazione sacerdotale per fra Alberto arrivò nel 1899 a Gerusalemme, nella chiesa del Santissimo Salvatore. Decise quindi di partire come missionario per l’ Armenia minore, per svolgere il suo ministero in una missione francescana. Destinato ad Aintab vi rimase fino al 1904 e studiò il turco. Diventò poi responsabile di diverse missioni nella regione intorno al monte Tauro, da qui racconta al padre segretario della Custodia di Terra Santa delle persecuzioni dei cristiani da parte dei turchi, esprimendo tuttala sua gioia poi per la possibilità di poter riprendere le attività di carità non appena si ristabiliva la calma. Rimase in Armenia nonostante la guerra italo turca per il possesso della Libia e durante la I Guerra mondiale. Nel 1919 fu designato responsabile della missione di Yenige kalè, in un momento ben difficile. La missione ben presto fu obiettivo di bande di fanatici “Cetè”, contadini turchi, che trucidarono e lapidarono i cristiani, adulti e bambini, e diedero fuoco alle loro strutture. La missione in Armenia di padre Alberto Amarisse terminò nel sangue e nel fuoco nel gennaio del 1920, ma lui si aprì ad una speranza più grande nella fama del martirio.
Maria Teresa Ciprari