La spiritualità è esperienza dell’incontro con Dio che coinvolge tutta la persona. La liturgia, momento sublime di spiritualità, insegna come la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto siano essenziali per vivere la dimensione spirituale. L’estetica non è aspetto lezioso, pura apparenza. La Bellezza ha un valore alto e sacro.
Nel racconto della creazione troviamo scritto “Dio vide che era tôb”(Gen.1,10). La traduzione comune vuole: “Dio vide che era cosa buona”.
Poiché si rimanda al “vedere” divino, è corretta la versione: “Dio vide che era una cosa bella”. Cirillo di Alessandria afferma che «caratteristica dello Spirito è di essere lo Spirito della Bellezza, la forma delle forme; è nello Spirito che noi partecipiamo alla Bellezza della natura divina» (In Johannis Evangelium VI. 15).
Urs Von Balthasar scriveva «la nostra parola iniziale si chiama bellezza. Chi al suo nome increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può esser sicuri che segretamente o apertamente non è più capace di pregare e presto nemmeno di amare» (Gloria – la percezione della forma).
Non basta che la verità sia proposta dall’argomentazione logica e il bene comandato dall’imperativo etico. Occorre che entrambi si mostrino nel loro volto attraente e amabile, perché solo l’amore muove e convince. L’amore è suscitato unicamente dalla bellezza. Sant’Agostino nelle Confessioni scriveva «non possumus amare nisi pulchra».
Nell’esperienza della spiritualità occorre avere cura del carattere della Bellezza. Benedetto XVI la presentava come vera forma della conoscenza: «L’essere colpiti e conquistati attraverso la bellezza di Cristo è conoscenza più reale e più profonda della deduzione razionale (…) Disdegnare o respingere il colpo provocato dalla corrispondenza del cuore nell’incontro con la bellezza come vera forma della conoscenza, impoverisce e inaridisce la fede, così come la teologia. Dobbiamo ritrovare questa forma di conoscenza, è un’urgenza pressante del nostro tempo» (La bellezza. La Chiesa).
Nelle comunità tutto dovrebbe parlare di Dio che abita in esse. Spesso si entra in chiesa e ci si comporta come si è all’esterno: stare nella piazza o entrare in chiesa equivale a un semplice spostamento fisico.
Nelle culture orientali viene data attenzione ai gesti da compiere quando si entra nel tempio, che aiutano a maturare la consapevolezza del carattere sacro del luogo dove si entra e della presenza divina a cui ci si espone.
Altra attenzione è lo stile liturgico in ogni suo aspetto: dal celebrante, ai ministranti, agli accoliti, ai lettori, come alle suppellettili, alla cura dell’altare, ai paramenti, alla gestualità. Spesso accade che le celebrazioni non esprimano la presenza del Mistero, Somma Bellezza che in quel momento si rivela e si comunica. Nell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, Papa Benedetto evidenziava il rapporto tra bellezza e liturgia nella celebrazione dei Divini Misteri: «La liturgia … ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor… La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo”(n.35).
Auspichiamo che l’esperienza della spiritualità, che sta animando il cammino della nostra Chiesa, sia occasione per riscoprire e coltivare la Bellezza e che la nostra stessa vita ne sia profondamente intrisa.
Gianluca Zelli
direttore Ufficio catechistico di Tivoli