Una testimonianza in occasione della memoria liturgica di santa Cecilia, patrona della musica
Ho cominciato a studiare pianoforte all’età di 5 anni più per gioco che per passione. Mio fratello Alberto, infatti, da poco aveva iniziato a farsi seguire da un maestro che impartiva lezioni private e ne fui incuriosita.
Ben presto, però, il maestro si rivelò molto esigente e rigoroso, tanto che la maggior parte dei suoi allievi, compreso mio fratello, abbandonarono l’idea di continuare a studiare. Io, invece, nonostante tutto, perseverai perché tutti sostenevano fossi molto dotata. Ogni volta che andavo a lezione, dovevo necessariamente passare davanti ad un Crocifisso a grandezza naturale che si trovava all’ingresso dell’abitazione. Quando entravo in quella casa, piccola come ero, guardavo quel maestoso Crocifisso con timore e, al tempo stesso, mi assaliva la paura che avrei potuto far arrabbiare il maestro, sempre molto facile ad irritarsi.
Trascorsi, in seguito, gli anni del Conservatorio senza mai avvertire una vera passione per la musica. Nonostante riuscissi molto bene, sentivo che studiare organo non mi riempiva il cuore e non comprendevo come mai le circostanze mi portassero ad esserne così misteriosamente legata. Nel frattempo sentii la chiamata del Signore a lasciare tutto e a seguirlo nell’Istituto Religioso delle Apostole di Gesù Crocifisso: questo sì che mi riempiva il cuore e mi rendeva veramente felice! Tuttavia, quando ancora ero novizia, mi fu proposto di partecipare ad alcuni corsi di aggiornamento organizzati dalla Cei. Da quel momento cominciai a collaborare con l’Ufficio Liturgico Nazionale come cantore, consulente musicale e compositrice.
Nel tempo ho compreso che lo sguardo amorevole di quel Crocifisso mi aveva da sempre accompagnata e guidata, mostrandomi che avrei dovuto vivere la musica nel solco della vera umiltà e della gratuità ad imitazione del Battista: «Lui deve crescere, io diminuire» (Gv 3,30).
Maria Alessia Pantaleo, ajc