In questo giorno solennissimo la liturgia ci offre un testo meraviglioso che sembra volerci parlare proprio nell’oggi di questa pandemia, nel quale l’evangelista Luca descrive la nascita terrena di Gesù a Betlemme e l’annuncio ai pastori. La Sacra Famiglia è costretta a recarsi a Betlemme per il censimento dovendo obbedire, tanto per intenderci, a una sorta di “DPCM” dell’Impero Romano o meglio “DCAI” Decreto di Cesare Augusto Imperatore, ed è proprio in una situazione di costrizione, che reca fatica e non pochi disagi, che nasce la grande speranza e avviene qualcosa che cambierà il corso dell’umanità intera: la nascita del Messia. I primi tre versetti, che costituiscono l’introduzione, ci descrivono il contesto del racconto e sottolineano la motivazione profetico-provvidenziale per la quale Gesù nasce a Betlemme e non a Nazareth. Sorvolando sugli aspetti storiografici che andrebbero approfonditi relativamente a questi primi tre versetti, il brano evangelico prende il via collocando la nascita di Gesù nella cornice temporale della supremazia dell’Impero Romano, in un contesto storico ben preciso per entrare concretamente nel “tempo” dell’umanità intera. L’Impero Romano era la potenza massima di allora e questa realtà sembra essere sottolineata da Luca nell’espressione: “censimento di tutta la terra”. Avendo Luca una preoccupazione prevalentemente di carattere teologico, con questa precisazione vuole offrirci un dettaglio importante entro il quale poter comprendere la storia salvifica universale. A livello soteriologico, è accaduto un evento universale, intergalattico che tocca la sfera iperurania (per usare un termine platonico), perché da quel momento in poi quel mondo oltre la volta celeste che poteva essere raggiunto solo dal pilota dell’anima ossia dall’intelletto, diventa visibile e tangibile. Può essere contemplato e toccato dalle creature terrene e corruttibili come noi, grazie all’incarnazione del Verbo, il Dio fatto uomo. La nascita di Gesù proprio a Betlemme è significativa perché la traduzione del termine Betlemme, secondo l’etimologia ebraica, è “casa del pane” (םֶחֶל יתֵּב Bet Lehem) mentre secondo quella araba, è “casa della carne” (لحم بيت Bait Lahem). Ambedue le etimologie evocano il cammino del popolo ebraico nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto, durante il quale Dio lo nutrì con la manna (pane) e le quaglie (carne). La parola Betlemme racchiude simbolicamente in sé i due alimenti con cui Dio ha mantenuto in vita il Suo popolo nel deserto. In questo modo, potremmo dire che Betlemme è il luogo dove ogni uomo può trovare il sostentamento essenziale per la propria vita. La famiglia di Betlemme è attorniata da pastori. Dio predilige questa classe sociale che nell’Israele dell’epoca non aveva alcun diritto. Si legge nel trattato del Talmud (la grande raccolta dell’insegnamento e delle tradizioni giudaiche) che i pastori erano considerati come ladri dalla società, che non potevano testimoniare in sede processuale perché considerati impuri, a causa della loro convivenza con animali, e che erano ritenuti disonesti, a causa delle loro violazioni dei confini territoriali (cf. Sanhedrin 25b,15-23). Civilmente, erano da considerare di bassa condizione, sono quelli della periferia di allora che hanno avuto il privilegio di essere i primi testimoni di questo grande evento. Essi come tali sono la prefigurazione della Chiesa di Cristo. Questa predilezione di Dio non desta meraviglia dal momento che “pastore” è un titolo che Dio conferisce al re terreno d’Israele (cf. 1Sam 16,11; 17,34-36; Ez 20,37; Mi 7,14 ecc.) ed è anche un titolo divino (cf. Sal 23,1) con il quale Gesù stesso si identifica definendosi “Buon Pastore” (Gv 10). Per ben tre volte l’evangelista Luca afferma che il bambino nato si trova adagiato in una mangiatoia (Lc 2,7.12.16). Un dettaglio così ripetuto non può essere casuale. A Betlemme il Verbo fatto carne viene posto dinanzi all’umanità in un luogo chiamato “mangiatoia”. Anche qui chiamo in causa il significato etimologico di Betlemme: pane e carne. Quel Dio fatto uomo/carne, deposto nella mangiatoia perché diventi cibo per noi, consegnò a noi la Sua carne sotto l’aspetto sacramentale del pane perché possiamo nutrirci e sostenerci lungo il nostro pellegrinare sulla terra. Si è abbassato incarnandosi per nutrirci ed elevarci a Lui: “ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,4). “Lo pose in una mangiatoia”. Da questa espressione si comprende che si tratta di una stalla, o meglio di una grotta adibita a stalla, dato che all’epoca le grotte erano spesso destinate a questo. Normalmente, nella mangiatoia si pone il cibo per gli animali. E non solo! Le stalle non brillano per pulizia e ordine. Non è un palazzo, o una casa ben costruita e ben arredata, non è un salotto confortevole. La stalla la si può ripulire ogni tanto, ma resta sempre un misto di paglia e sterco di animali. Ebbene, proprio qui Dio sceglie di nascere. Quel Dio si è fatto un uomo reale, concreto: Gesù. Dio nel dono di Gesù, parola incarnata, annulla le distanze, entra nella nostra storia, nella nostra vita. La stalla può raffigurare la nostra interiorità che non è sempre accogliente. Questa consapevolezza potrebbe farci sentire indegni di riceverlo, ma al tempo stesso ci libera dall’illusione di aver meritato la nascita di Dio. Proprio là dove si trova in noi tutta la sporcizia (cf. Fil 3,8) della nostra condizione di peccato, lì Dio vuole nascere in noi. Noi, proprio così come siamo, possiamo essere abitazione di Cristo. Dio vuole nascere dentro di noi perché ci ama, non perché siamo in grado di procuraGli un posto adeguato (“per loro non c’era posto nell’alloggio”, Lc 2,7). Egli facendosi carne prende le nostre fragilità e assume con la sua creatura una nuova relazione, che è quella di mettersi alla pari con lei per comunicare pienamente con lei. Ascoltiamo anche noi l’invito dell’Angelo a non temere perché è nata la grande Gioia! La buona notizia è che i nostri limiti, le debolezze, le pochezze, le incapacità, i peccati, i disagi vari, anche quelli legati alla pandemia, non sono più un ostacolo. Se Dio ha voluto accanto a Sé per primi “i pastori”, come può non volere anche ciascuno di noi? Possiamo portargli le nostre inadeguatezze: ci penserà Lui a sollevarci. Ogni fragilità, debolezza o limite, l’essere-per-la-morte della nostra condizione divengono Sue. Ci dà motivazione e speranza la lettera agli Ebrei (4,15): “Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno”. Dio vuole che la nostra vita sia Sua, la Sua “stalla/grotta”. Non dobbiamo avere paura se non possiamo offrire a Dio una camera pulita, ma solamente la “stalla sudicia” del nostro cuore. È la Sua prima scelta! Ci chiede di non relegarlo dentro un tabernacolo chiuso, dentro una Messa domenicale ecc., ma vuole che la nostra quotidianità sia la Sua dimora, la Sua “mangiatoia”. Concludo con queste parole: “l’angelo disse loro: … oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (vv. 10-11). Si nota il giusto passaggio dal giorno degli eventi salvifici (il giorno in cui Gesù è nato effettivamente) all’oggi del memoriale che avviene attraverso le nostre celebrazioni di Natale. L’«oggi» indica che Dio non sta più a impartire ordini o prescrizioni, ma mette Suo Figlio, avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia, a disposizione di tutti. Possiamo, quindi, comprendere perché nella notte del primo Natale gli angeli abbiano cantato: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che Egli ama”. Dalla stalla di Betlemme sale l’augurio a tutti gli uomini, affinché possano essere luogo accogliente per il Dio fatto carne. Solo nell’accoglierLo possiamo diventare effettivamente partecipi della natura divina. Facciamogli posto prontamente e umilmente nel nostro cuore, solo in questo modo sarà possibile incontrare la Vita: Cristo Signore. Buon Natale a tutti!
Sr Maria Paola Ohazulike,
Apostole di Gesù Crocifisso, San Cesareo