Omelia a chiusura dell’Ottavario in onore di sant’Agapito Martire

Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Venerdì 25 agosto 2023

Cari fratelli e sorelle,

con questa celebrazione concludiamo l’Ottavario in onore del nostro Sant’Agapito. Un Santo per il quale, in questo 1750° anniversario del suo martirio, continueremo a rendere grazie a Dio per avercelo dato e a guardare a lui affinché la nostra fede, andando alle nostre radici che in Agapito trovano ancoraggio profondo, ne esca rafforzata.

Il Vangelo che la liturgia ci propone stasera è molto bello, sembra scelto quasi appositamente per questa occasione.

Ci viene presentato un fariseo e dottore della Legge che pone una domanda a Gesù: “Quale è il grande comandamento?”.

La Legge sono tutte le parole di Dio da osservare per rimanere nella via della vita: perché si prolunghino i nostri giorni, siamo felici e diventiamo numerosi nella terra dove scorrono latte e miele (Dt 6,2-3) – come proclama Mosè appena prima di annunciare lo Shemà (l’Ascolta Israele) che Gesù cita nella prima parte della risposta che dà al fariseo –.

Certamente si tratta dei Dieci Comandamenti la cui inosservanza anche la Chiesa di oggi considera peccato mortale. Infatti non osservare i Comandamenti – che sono saggezza di vita oltre che parole date da Dio al popolo eletto affinché viva – porta, come dice il libro del Deuteronomio alla morte (Dt 30,17-19). Ora, però, come è stato insegnato al giovane ricco nel Vangelo che abbiamo ascoltato qualche giorno fa, l’osservanza dei Comandamenti non è sufficiente per entrare nella via della vita (Mt 19,20).

Ecco, allora, che il fariseo fa una domanda pertinente, che coglie nel segno …: “quale è – domanda – il grande comandamento”, quello cioè essenziale, che da solo introduce nel Regno, dando la ricompensa promessa già da Mosè? Ed è da osservare che ai dieci comandamenti, ai tempi di Gesù, erano stati aggiunti altri 613 precetti più o meno grandi, più o meno importanti che il pio israelita doveva osservare se voleva dirsi un buon credente.

Il fariseo domanda allora a Gesù: “Quale è il grande comandamento?”.

San Paolo nella lettera ai Romani riassume bene la risposta del Vangelo: “pieno compimento della Legge è l’amore!” (Rm 13,10). E Gesù esplicita ancor meglio: l’amore, ovvero amare Dio e amare il prossimo come se stessi.

Gesù annota: “Il secondo comandamento è simile al primo” si tratta infatti pur sempre di amare. Non solo, ma del resto nemmeno si può amare Dio, che non si vede, se non amiamo il fratello, che ci sta accanto in carne ed ossa (1 Gv 4,20). Né si può amare infine Dio quale Padre, se non si ama il prossimo come fratello, figlio come me dell’unico Padre. Ciò nondimeno, Gesù distingue tra primo e secondo comandamento e solo del primo dice che “è grande”.

C’è dunque una gerarchia: l’amore di Dio è all’origine, fondamento di ogni altro amore.

E perché? Semplicemente perché Dio ci ama per primo e in maniera piena, perfetta, assoluta e gratuita. Amare Dio significa propriamente essere amati da Lui e quindi corrispondergli.

Ecco allora che l’amore del prossimo diventa riflesso ulteriore di quella corrispondenza: effusione della luce, del dono che si è ricevuto. Senza l’amore di Dio, l’amore tra gli uomini diventa possesso, imposizione di sé, soddisfazione dei propri bisogni: perché ciascuno è innanzitutto bisognoso di essere amato, di affermarsi. Se si è nelle mani del Padre (Mt 6,32), si è liberi dall’istinto di tenere tutti e tutto nelle proprie mani; se si è amati da Dio, si è liberi di amare gratuitamente, senza contraccambio (Mt 5,46-48); si è liberi di amare castamente, nel dono di sé.

È questo amore libero che si è fatto dono di sé che Agapito ci insegna.

In questi giorni lo abbiamo ricordato spesso. Il nome di Agapito significa “amato” e “amabile”. Il Cardinale Zuppi la sera del 17 agosto ci ha ripetuto spesso: poiché amato da Dio era amabile ossia attento al prossimo, capace di amare perché amato! E amare – aggiungo – di un amore vero, perché non mosso da interessi umani ma dall’unico desiderio di corrispondere all’amore grande! Quello di Dio. E così ha dato anche la vita pur di non rinnegare l’amore ricevuto da Dio.

Queste riflessioni mi inducono a chiedere:

Ci sentiamo amati da Dio?

Lo siamo sicuramente. Ma ascoltiamo la brezza di questo amore nella nostra vita?

Come facciamo concretamente a dire che Dio ci ama? Che Dio mi ama?

Possiamo dare qualche risposta: certamente si è rivelato a noi come amore, ha dato se stesso per noi sulla croce.

Ma il Suo amore ci raggiunge anche quando un fratello o una sorella ci ama … ci ha raggiunto quando i genitori ci hanno dato la vita, attraverso il loro amore che è espressione dell’amore di Dio. L’amore di Dio si concretizza, lo avverto quando mi sento amato da qualcuno, dalla moglie per il marito o dal marito per la moglie …Certo sono riflessi tenui, fragili dell’amore di Dio ma è così che Dio mi ama e mi fa sentire l’amore.

E se percepisco che dietro questo amore che si manifesta sempre parzialmente c’è l’amore grande di Dio, ecco che provo gioia, felicità, vivo … e poiché l’amore è diffusivo, amo!

Potrebbe poi esserci anche il caso di chi non riceve amore da nessuno, nemmeno in nome di Dio.

Nel libro del Profeta Isaia leggiamo: “Si dimentica forse una donna del suo bambino?” la risposta più ovvia sarebbe “no”, ma sappiamo che purtroppo ci sono madri che hanno abbandonato i loro figli, si sono dimenticate di loro. E Isaia infatti così aggiunge: “Anche se costoro si dimenticassero, io (Dio) invece non ti dimenticherò mai. Ecco sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me”.

E questo amore di Dio lo possiamo sperimentare abbandonandoci ad esso, ascoltando la Parola di Dio, pregando intensamente … Risalendo dalle nostre esperienze di amore umano ricevuto alla sorgente dell’Amore come si risale un ruscello e si sale verso la sorgente.

Da qui, cari amici, nasce l’amore per il prossimo, la capacità di amare l’altro.

Perché sono amato divento amabile. Come Agapito che, amato, ha amato!

Il Cardinale Zuppi la sera del 17 ci augurava che questo Anno fosse anno di cambiamento.

Cambiamento di cosa?

Risponderei: di cambiamento del nostro modo di credere.

Di essere cristiani non soltanto perché registrati nel libro dei Battesimi o perché lo siamo sempre stati o perché andiamo in chiesa, ecc.

Ma credenti perché amati, perché sperimentiamo l’amore di Dio e quindi amiamo fino a donare noi stessi senza pretendere nulla, come Agapito …

Vedete, la fede nasce da un incontro, da un rapporto personale con Dio suscitato da un incontro con un testimone. E anche se non sempre è facile avere fede però è possibile. Quante persone che conosciamo dicono “io credo”. A modo mio ma … credo …

Ma non basta!

La fede la si vive insieme. Insieme in una comunità composta di uomini e donne che traducono il loro essere amati in rapporti di amore, di amabilità, di carità!

Come vorrei che le nostre comunità parrocchiali fossero così. (Ecco il cambiamento che spero). Spesso questo non avviene. Anzi diventiamo di scandalo perché non amiamo il prossimo o se lo amiamo non lo amiamo in nome di Dio – cioè disinteressatamente – ma sempre per qualche motivo umano.

Chiediamo stasera, per intercessione di Agapito – amato e amabile – di contribuire con la nostra risposta all’Amore di Dio ad amare Lui e il nostro prossimo all’interno e all’esterno delle nostre comunità affinché il mondo sia tutto conquistato dall’osservanza dell’unico grande e duplice comandamento e ci sia vera conversione, vero cambiamento, nelle nostre vite di credenti, nelle nostre comunità e nel mondo intero tanto bisognoso di amore e di persone che come Agapito amino fino al dono di sé, testimoniando l’Amore vero, quello di Dio, non scendendo a compromessi ma accogliendo anche il prezzo che tante volte ha l’amore, il prezzo del martirio.

Che Agapito interceda per noi e che possa gioire nel vedere che anche oggi il suo esempio di fedeltà al grande Amore di Dio per noi suscita altri uomini e donne desiderosi di percepire l’Amore di Dio e di rispondere al comandamento dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina