Omelia ai Secondi Vespri del Convegno di apertura dell’anno pastorale 2023

San Vittorino Romano, Santuario di Nostra Signora di Fatima, Domenica 24 settembre 2023

Carissimi fratelli e sorelle,

il brano evangelico dei discepoli di Emmaus ci aiuta ad entrare nel vivo di questo nostro Convegno ecclesiale che vuole soffermarsi sul tema della formazione alla fede e alla vita. Un tema che segnerà tutto il cammino di questo anno di ascolto, discernimento, proposta affinché il nostro popolo – e noi con lui – possiamo accogliere e continuamente ri-accogliere il dono della fede, lasciare che la fede dia forma alla nostra vita e poiché essa nasce da un dono di amore, del grande amore che Cristo – vero uomo e vero Dio – ha riversato su di noi dalla Croce, e ci è stato comunicato con il Battesimo attraverso l’azione dello Spirito Santo, tale dono ci spinga con l’intera nostra esistenza a vivere di fede e ad annunciare l’amore di Cristo ad ogni uomo e donna affinché tutti giungano a sperimentare la gioia della fede, la gioia della Pasqua che riempie di speranza la vita e aiuta a camminare verso la vita eterna.

Il brano si colloca “In quello stesso giorno”. Nel Vangelo di Luca tutti gli eventi: dalla Pasqua alla Ascensione, si collocano tutti “in quello stesso giorno”. In un clima pasquale dunque.

Due uomini – di uno si dice il nome, Cleopa, dell’altro no perché potrebbe essere ciascuno di noi – si stanno allontanando da Gerusalemme. Camminano come anche noi camminiamo ogni giorno nella vita. Il destino di ciascuno di noi è quello di camminare, siamo tutti “homo viator” e quando si cammina ad ogni passo si sperimenta il rischio dello squilibrio, si corre il pericolo di cadere. Ebbene, i due di Emmaus camminano con il volto triste, delusi, stanno lasciando Gerusalemme convinti che stanno lasciando alle loro spalle l’amarezza di una vicenda finita male. Avevano sperato in Gesù ma tutto era finito male. Sì, alcune donne dicevano che era risorto ma … che peso dare alla parola delle donne? I due avevano sperato in Gesù, gli avevano affidato la loro vita, speravano in una vittoria politica di Gesù-Messia. Ma tutto era finito con la Croce che paradossalmente sarà ed è anche oggi il grande segno dell’amore di Dio per noi, l’offerta di amore che suscita la nostra fede, la nostra risposta.

Se ne vanno dunque delusi da Gerusalemme.

Un pellegrino sconosciuto che poi si rivelerà essere il Risorto si avvicina a loro, cammina con loro e li ascolta. Li interroga, entra nel loro dialogo, ascolta le loro delusioni, il loro sfogo che ripercorre la loro esperienza al seguito di Gesù fino alla croce, fino al sepolcro dove a loro pare essere finito tutto, dove non c’è aria e prospettiva di resurrezione, di Pasqua, di salvezza eterna!

A quel punto Gesù annuncia la Pasqua. Fa un annuncio che porterà i discepoli di Emmaus a una retromarcia, a tornare a Gerusalemme per unirsi alla comunità di coloro che annunciavano: “davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. Ma non come avremmo fatto noi: “Sono risorto, eccomi qui! … Tornate a Gerusalemme e dite alla comunità dei miei discepoli che sono risorto e mi avete visto!” … no. Gesù entra nella loro storia di delusione e annuncia la novità della Pasqua modellando l’annuncio su quanto ascoltato e accolto.

Spiega ciò che si riferiva a Lui nelle Scritture innestando tutto ciò che lo riguarda nelle loro delusioni e amarezze. In questo modo il kerigma di morte, sepoltura, risurrezione, vita nuova va a colpire il loro io più profondo. Certo, quando inizia a parlare loro li apostrofa: “Stolti e lenti di cuore!” ma non per rimproverarli ma perché legge nel profondo del loro cuore. E così la parola di Gesù non diventa una Parola di condanna ma un giudizio che fa luce. Così tanta luce che i due non vogliono più separarsi dallo sconosciuto pellegrino e chiedono a Lui di rimanere con loro perché si fa sera, perché, in altre parole, ricomincia a riaccendersi la speranza nel loro cuore. I loro cuori stanchi, depressi, disincantati … tornano a cominciare ad ardere proprio come quando seguivano il Maestro sulla via.

E ardono non solo per le parole che Gesù dice ma “lungo la via”, perché queste parole di speranza il Risorto le rivolge loro mentre camminano “lungo la via”, mentre sta facendo strada con loro. Queste parole non sono una fredda lezione da una cattedra ma parole pronunciare sulla strada, mentre si cammina insieme.

Gesù dunque accetta l’invito, si ferma e cena con i due di Emmaus.

All’invito “Resta con noi perché si fa sera” Gesù risponde fermandosi con loro a cena. Una cena durante la quale Gesù “Prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” – sono i gesti dell’Ultima Cena – e a quel punto “Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero!”.

Sa riconoscere il Risorto, vedete, soltanto chi sperimenta il Signore come “offerto”, come pane spezzato e donato. Nella Prima Lettera ai Corinti, che quest’anno vi indico come Libro Biblico da leggere e pregare in tutte le nostre comunità, l’Apostolo Paolo ci dice che solo chi avverte l’abbraccio dell’amore di Dio può dire “Gesù è il Signore”! (cfr 1Cor 12,3).

Ma a quel punto il Risorto sparisce dalla vista dei due discepoli. Nel loro cuore è nata la fede! Hanno incontrato l’amore di Dio, quella persona che una volta incontrata là dove camminiamo, soffriamo, viviamo, cambia la vita con il dono del Suo amore dando ad essa una direzione decisiva, nuova, piena di gioia e di sicura speranza.

I due discepoli tornano a Gerusalemme. Nei due di Emmaus nasce l’assenso della mente e del cuore a Dio che ha fatto comprendere loro in un clima amicale, ospitale, senza rimproveri duri ma con delicatezza e rispetto, partendo dalla loro situazione di vita, come dalla Croce sia stata riversata sul mondo un’onda amplissima di amore e di misericordia, come egli sia il Risorto e così loro possono confessare che “Gesù è il Signore”. Possono tornare a Gerusalemme per un nuovo inizio, l’inizio della Chiesa che crede, professa e annuncia il Risorto.

Il cammino continua ed è giunto fino a noi affinché anche noi accogliamo quel messaggio, quell’incontro con il Cristo Risorto che suscita la fede e continuiamo a camminare nella storia sperimentando ogni giorno che la fede è per la vita. L’uomo ogni uomo, cari fratelli e sorelle ha una necessità primaria enorme: quella di essere amato e sentirsi amato. Dio mandando il suo Figlio a morire per noi sulla croce, condividendo per amore tutto della nostra umanità pur rimanendo Dio, vincendo la morte e donandoci il suo Spirito riempie ogni desiderio più vero e profondo del cuore dell’uomo: quello di essere amato per sempre. Un desiderio che non sanno riempire la scienza, la tecnica, i nostri progressi, le nostre conquiste che saziano fino a un certo punto ma lasciando poi sempre ciò che chiamerei “un vuoto ulteriore”. Un desiderio che colmato dall’amore rende bella e significativa la vita!

In questo Vespro chiediamo a Dio, come Chiesa diocesana, di metterci in cammino come Gesù, con i nostri fratelli e sorelle che sperimentano con noi il viaggio della vita, per annunciare loro con lo stile di Gesù attento, dialogante, delicato, che cammina sulle strade degli uomini senza starne al di sopra ma da fratello e amico, ciò che si riferisce a Lui nelle Scritture. Chiediamo che a partire dalle nostre Messe la Parola di Dio possa far ardere i cuori. Che le nostre Eucaristie sappiano di accoglienza, ospitalità, bellezza, preghiera per far incontrare il Risorto. E che da quell’incontro possiamo ripartire per annunciare ciò che per primi abbiamo incontrato e sperimentato: Gesù il Signore, il veramente Risorto che è il centro della nostra fede e della nostra speranza. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina