Omelia alla Azione Liturgica del Venerdì Santo e Parole al termine della processione del Cristo Morto 2025

Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Venerdì 18 aprile 2025

La passione di Nostro Signore Gesù Cristo che ascoltiamo ogni anno il Venerdì Santo è tratta dal Vangelo di Giovanni. Il Vangelo che inizia con il prologo dove leggiamo che il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Ora, questa Parola fatta carne, tace, entra nel silenzio e nel buio della morte. E noi non possiamo fare altro che tacere e adorare, adorare e aderire.

Anche la nostra fede oggi è messa a dura prova. Siamo invitati a guardare a Colui che hanno trafitto. Non più un Messia trionfante, non più un uomo che si è proclamato Figlio di Dio dopo aver operato miracoli, aver perdonato peccatori, aver predicato l’amore, aver risuscitato morti … No, oggi siamo invitati a guardare alla nostra speranza, a colui che pareva essere motivo della nostra speranza grazie alle sue promesse, nudo, inchiodato alla croce come il peggiore malfattore.

Tuttavia anche sulla croce Gesù parla. E se non riusciamo a riconoscerlo nell’uomo sfigurato della croce, nella Parola che si era fatta carne, possiamo però ascoltare la Parola che ancora ci rivolge. Sulla croce sono sette le parole di Gesù e vorrei che oggi ci fermassimo sull’ultima. «Dopo aver preso l’aceto – abbiamo ascoltato – Gesù disse: “È compiuto!” E chinato il capo, consegnò lo spirito».

Cosa vuol dire “È compiuto”?

Potremmo leggere questa affermazione in questo modo: è finita, la storia ormai è chiusa. Non c’è più nulla da fare, da dire, da aggiungere.

Ma se così fosse sarebbe solo la dichiarazione dell’ultimo atto di una vita fallita. Oppure potrebbe rimanere il ricordo di azioni e parole belle e nobili da Lui compiute o pronunciate ma ormai finite, chiuse. Quell’è compiuto potrebbe rimanere la presa d’atto di un dramma ormai consumato.

Ma non può essere questo il senso di tale parola soprattutto se Gesù mentre muore sulla croce la pronuncia con tanta solennità e l’evangelista Giovanni la riprende e ce la riporta così che è giunta a noi fino ad oggi.

“È compiuto!” potrebbe essere inteso come compimento delle Scritture. Abbiamo ascoltato appena prima: «Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse “Ho sete”». Quell’è compiuto potrebbe allora significare che tutto si è svolto secondo il piano di amore stabilito dal Padre. E sarebbe una spiegazione accettabile.

Ma c’è di più. Se ricordate, il dramma della Passione, era stato introdotto dall’evangelista Giovanni con le parole che abbiamo ascoltato ieri: “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. E per dire “fine” l’evangelista Giovanni usa una parola che si trova alla radice del verbo greco: “è compiuto” per cui possiamo pensare leggendo “è compiuto!” che ci si riferisca alla “fine” intesa in senso cronologico ma anche a “il vertice”, la massima sommità raggiungibile di una cima altissima. Ed è questo il senso anche della traduzione latina del “Consummatum est” che spesso troviamo scritto sulle urne che contengono le statue del corpo del Cristo Morto o nei drappi da processione che riportano le ultime parole di Gesù e che troveremo anche stasera. “Consummatum est” come a dire: tutto è arrivato al summum, al vertice massimo.

Ecco il significato dell’ultima parola di Gesù sulla croce: tutto è arrivato al vertice, al culmine massimo. L’amore è giunto alla sua perfezione. Gesù sulla croce dove si è donato al Padre (“Padre, nelle tue mani abbandono la mia vita”); ha perdonato i suoi nemici (“Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”); ha spalancato le porte del paradiso al buon ladrone, ha raggiunto il vertice dell’amore. Sulla croce ha cambiato così il più grande dolore – ingiustamente inflitto all’unico uomo veramente innocente di tutta la storia dell’umanità – nel più grande amore. Ha trasformato una violenza totalmente inflitta al più innocente tra gli uomini in una dedizione di amore totalmente libera ed incondizionata.

Questa parola, “è compiuto!” il sacerdote dell’Antico Testamento la diceva anche quando dopo aver esaminato l’agnello sacrificale ne stabiliva la perfezione cerimoniale, come a dire: bene può essere sacrificato!

E Gesù dicendo “È compiuto” dice: ho fatto quando il Padre mi aveva dato da fare.

Certo, Gesù avrebbe potuto scendere dalla croce ma invece è rimasto su di essa per suscitare in noi non una fede legata ai miracoli ma libera, che davanti all’amore sconfinato di Dio che muore per noi risponde liberamente e non da servo.

Ha scritto il grande Dostoevskij commentando le grida di coloro che sfidavano Gesù dicendogli: “Se sei figlio di Dio scendi dalla croce e noi ti crederemo!”: «Ma tu non scendesti dalla croce perché, una volta di più, non volevi asservire l’uomo con il miracolo e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l’ha per sempre riempito di terrore”.

Cari fratelli e sorelle, vorrei ancora aggiungere una riflessione. Nella lingua greca del Nuovo Testamento il verbo usato per dire “È compiuto” è un tempo perfetto, un tempo che si usa per dire che l’azione che è stata compiuta in passato ha risultati che continuano a manifestarsi nel presente e nel futuro. Ossia se il tempo passato denota un evento già accaduto, il tempo perfetto reca in sé l’idea di “ciò che è avvenuto ed è ancora oggi in vigore”. Per cui Gesù gridando “Tutto è compiuto!” intendeva dire: “È compiuto in passato, è ancora compiuto nel presente, e continuerà ad essere compiuto nel futuro”. Sì, oggi Gesù, dicendo “È compiuto” ci dice: “Ho eseguito con successo il compito per il quale ero venuto”, morendo non lascio dietro di me nulla in sospeso, e la mia morte per amore, un amore gradito al Padre, un amore che vincerà la morte con la risurrezione, non è e non sarà solo un fatto del passato ma anche del presente e del futuro, per sempre!

Con la morte in croce di Gesù non si chiude allora la speranza, anzi si apre per tutti la speranza! Quella vera verso la quale camminiamo.

Bonhoeffer, prima della sua impiccagione, la mattina di domenica 8 aprile 1945 pronunciava queste parole: “È la fine. Per me è l’inizio della vita” e qualche tempo prima aveva scritto: «Quando l’amore di Dio non si limita semplicemente ad essere là dove l’uomo è nel peccato e nella miseria, ma quando assume su di sé il destino che sovrasta ogni vita, la morte; cioè quando Gesù – che è l’amore di Dio – muore realmente, allora l’uomo può diventare certo che l’amore di Dio lo accompagna anche nella morte … Dio ama gli uomini fino al punto di assumere su di sé la morte con loro e per loro … E solo perché Gesù sulla croce, nell’umiliazione, dimostra l’amore suo e di Dio per il mondo, alla morte segue la risurrezione. La morte non può resistere all’amore: “l’amore è più forte della morte” (cfr Cant 8,6)».

Cari fratelli e sorelle accogliamo dunque questo amore che ci viene da Gesù e rispondiamo a questo amore che è per sempre, che è la nostra speranza.

Papa Benedetto XVI nella sua prima Messa in Coena Domini celebrata a San Giovanni in Laterano ebbe a dire: “Gesù ha assunto la nostra carne. Diamogli noi la nostra; in questo modo egli può venire nel mondo e trasformarlo”. Accogliamo questo invito e con Gesù offriamo anche noi la nostra vita per amore e con Lui, che sempre si dona e rimane vivo, doniamoci anche noi e ridiamo speranza al mondo. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina 


 

Signor Sindaco, illustri autorità, sacerdoti, cari fratelli e sorelle nel Signore!

Anche quest’anno abbiamo attraversato la nostra città con l’immagine del Cristo morto.

Lo abbiamo fatto in un momento della storia sicuramente assai difficile dove le guerre commerciali ci minacciano, la povertà si espande, la violenza – a partire da quella sulle donne – è divenuta oggetto delle cronache quotidiane, dove i giovani di tutte le fasce sociali vivono come un malessere diffuso. E il mondo degli adulti vive l’epoca delle “passioni tristi”, con un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta a rinchiuderci in noi stessi, a vivere il mondo come una minaccia, alla quale bisogna rispondere “armando” i nostri figli. I problemi dei più giovani sono il segno della crisi della cultura moderna occidentale fondata sulla promessa del futuro come redenzione laica. Si continua a educarli come se questa crisi non esistesse, ma la fede nel progresso è ormai sostituita dal futuro cupo, dalla brutalità che identifica la libertà con il dominio di sé, del proprio ambiente, degli altri. Tutto deve servire a qualcosa e questo utilitarismo si riverbera sui più giovani e li plasma.

In questo contesto e non in un altro abbiamo portato in processione l’immagine del Dio in cui diciamo di credere. L’immagine del Cristo deposto dalla croce. L’immagine del Cristo morto.

Pare che anche Lui si sia arreso, abbia gettato la spugna. Pare che la morte abbia la meglio, abbia vinto anche su Colui che si era presentato al mondo come il Figlio di Dio.

In realtà il Cristo morto e deposto dalla croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui. Il corpo morto del Cristo deposto dalla croce ci parla dell’amore supremo di Dio e ci invita a rinnovare oggi, la nostra fede nella potenza di questo amore, a credere che in ogni situazione della nostra vita, della storia, del mondo, Dio è capace di vincere la morte, il peccato, il male e di donarci una vita nuova, risorta. Nella morte in croce del Figlio di Dio, c’è il germe di una nuova speranza di vita, come il chicco che muore dentro la terra.

Ascoltiamo a tale proposito le parole che Papa Benedetto XVI pronunciò al termine della Via Crucis al Colosseo del 2011: «In questa notte carica di silenzio, carica di speranza, risuona l’invito che Dio ci rivolge attraverso le parole di Sant’Agostino: “Abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com’è vero che io non ho ricusato d’assaporare i mali della mensa vostra … Vi ho promesso la mia vita … Come anticipo vi ho elargito la mia morte, quasi a dirvi: Ecco, io vi invito a partecipare alla mia vita … È una vita dove nessuno muore, una vita veramente beata, che offre un cibo incorruttibile, un cibo che ristora e mai vien meno. La meta a cui vi invito, ecco … è l’amicizia con il Padre e lo Spirito Santo, è la cena eterna, è la comunione con me … è partecipare della mia vita” (Cfr Discorso 231,5).

Cari amici, guardando al grande amore di Cristo per noi riprendiamo speranza e torniamo a dare speranza al mondo. Per uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo infilati occorre riscoprire la gioia del fare disinteressato, dell’utilità dell’inutile, del piacere di coltivare i propri talenti senza fini immediati. Guardando a Cristo morto per noi  possiamo e dobbiamo imparare questo modo di fare che aiuterà sicuramente anche le giovani generazioni.

Pieni di speranza, allora, fissiamo il nostro sguardo su Gesù crocifisso e deposto dalla croce per noi e chiediamo nella preghiera: illumina, Signore, il nostro cuore, perché possiamo seguirti sul cammino della croce che hai percorso tu prima di morire per noi. Fa’ morire in noi “l’uomo vecchio”, legato all’egoismo, al male, al peccato, rendici “uomini nuovi”, uomini e donne santi, trasformati e animati dal tuo amore e quindi pieni della vera speranza, la speranza di cui hanno tanto bisogno i nostri giorni. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina