Omelia alla Santa Messa Crismale 2023

San Vittorino Romano, Santuario di Nostra Signora di Fatima, Giovedì 6 aprile 2023

Cari amici,

celebriamo la Messa del Crisma: una vera “festa del sacerdozio ministeriale” – così la definiva Paolo VI – all’interno di tutto il popolo sacerdotale che insieme guarda al Cristo, “il consacrato per mezzo dell’unzione”.

Nella colletta della Messa abbiamo pregato il Padre che unge il Figlio per mezzo dello Spirito Santo consacrandolo Messia e Signore. È Cristo, infatti, il vero unto dal Padre su cui scende lo Spirito Santo per un atto fondamentale: quello di portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore.

Di questo atto tutti siamo partecipi nella misura in cui obbediamo alla Parola di Gesù.

Quell’“Oggi” che Lui pronuncia alla Sinagoga di Nazaret dopo aver citato il Profeta Isaia, quell’“Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”, rende contemporanea a tutti noi la partecipazione all’unzione, alla missione di Gesù e tutti ci chiama e coinvolge nel portare la lieta notizia, il Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo, del nostro “oggi” insieme a Gesù e al seguito di Gesù.

Questo è possibile perché abbiamo ricevuto l’unzione con il Crisma che è sinonimo plastico dello Spirito Santo che viene elargito con abbondanza proprio in vista dell’inserimento in Cristo e della missione. Un inserimento che riguarda ogni singolo cristiano e pertanto anche coloro che successivamente hanno ricevuto il sacramento dell’ordine, che non perdono la configurazione a Cristo ricevuta con i sacramenti dell’iniziazione cristiana bensì, in loro, si aggiunge una nuova configurazione a Cristo Capo, ma senza che venga perso il loro status di fedeli.

Grati a Dio per il dono del sacerdozio comune dei fedeli, stamane, dunque, tutto il Suo popolo, rende grazie a Lui in modo particolare per noi – Vescovo e suo presbiterio – che senza meriti particolari, ma per pura grazia, siamo stati chiamati ad esercitare il sacerdozio ministeriale. Ad ungere cioè il popolo con la nostra vita offerta a Dio e ai fratelli affinché ogni uomo e ogni donna possa, anche grazie al nostro ministero, vivere il proprio sacerdozio comune dei fedeli là ove è chiamato ogni giorno a profumare di Cristo il mondo.

E noi ringraziamo il nostro popolo, preghiamo per esso che oggi rende grazie a Dio con noi e per noi aiutandoci con la sua vicinanza e preghiera, con la stima e l’amicizia, con il suo desiderio di essere corresponsabile con noi nell’opera evangelizzatrice della Chiesa, ad essere ciò che siamo stati chiamati ad essere in questo tempo.

Un tempo non certo facile per tutti e che a noi presbiteri chiede una intensa vita spirituale che stamane vorrei riproporre nei suoi elementi essenziali ben sapendo quanto sia già forte il nostro impegno per essa ma quanto anche essa sia ogni giorno una nuova conquista, una nuova meta da raggiungere.

Sì in questo tempo post pandemico, tempo di guerre, tempo di assenza di prospettive e speranze, tempo accelerato, velocizzato, frantumato … sentiamo che il tempo rischia di diventare un nemico per la nostra vita spirituale. Il tempo che dovrebbe essere il luogo dove scorgere l’“oggi di Dio”, lo spazio per tendere ad una preghiera incessante, spesso diviene invece spazio vuoto, pieno di cose, che facciamo una dietro l’altra, ma spesso senza trovarne il senso, quasi trascinandoci con stanchezza in un contesto dove il vivere come se Dio non esistesse ed inseguendo lo spirito del mondo pare essersi insidiato nella cultura che ci circonda e spesso ci contagia. In questo tempo dobbiamo dunque aiutarci – popolo fedele e presbiteri, presbiteri e popolo fedele – per “santificare il tempo” ovvero stabilire in esso delle priorità. Nel tempo di ogni presbitero deve infatti esserci uno spazio essenziale che è quello della liturgia che edifica la comunità; poi un tempo per guidare la comunità dei figli di Dio nei vari modi che ci sono richiesti e infine un tempo per riposare. Dobbiamo vivere il tempo non come un continuo ripetersi di cose da fare con stanchezza ma con consapevolezza, come attesa della venuta del Signore e quindi non lasciandolo passare senza viverlo in modo cosciente ma cogliendo in esso i doni di Dio che abbiamo ricevuto, sapendo attendere quelli che verranno, con capacità di ascoltare ogni giorno la Parola di Dio.

Sì, la Parola di Dio! Il primo pilastro della vita spirituale del prete.

Sappiamo bene che il nostro ministero è innanzitutto ministero della Parola, servizio della Parola evangelizzatrice alla comunità cristiana e a quanti ci domandano ragione della speranza che in essa vi abita. Ma per essere autentici ministri della Parola dobbiamo essere innanzitutto ascoltatori della Parola, curvati dalla Parola, abitati dalla Parola.

San Paolo nel discorso ai vescovi-presbiteri di Efeso salutando i suoi collaboratori nel ministero diceva: “Io vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia” (At 20,32). Non affidava la Parola ai vescovi-presbiteri ma affidava loro, oggi noi, alla Parola. Siamo dunque chiamati a predicare, evangelizzare, spiegare la Parola ma prima di portarla dobbiamo essere portati noi da essa!

La nostra vita spirituale dovrà alimentarsi dunque quotidianamente di ascolto della Parola, di un rinnovato impegno a mettere ogni giorno la nostra fede nella Parola di Dio e non in noi stessi o in altre realtà. E tanto più custodiremo la Parola, tanto più sarà efficace la nostra predicazione, il nostro annuncio agli altri. Se non ci sarà questo rapporto costante con essa, non solo potremmo correre il rischio dell’improvvisazione nell’annuncio della Parola ma anche di depotenziare, di svuotare la Parola e di non permetterle di giungere al cuore di chi ci ascolta. Nella vita spirituale viviamo costantemente affidati alla Parola leggendola, meditandola, mettendola a confronto con le esperienze di vita vissuta, pregandola affinché il nostro pensiero assuma sempre più in sé il pensiero di Cristo. Per assumere il pensiero di un altro occorre non tanto conoscerlo teoricamente o per sentito dire ma occorre entrare in dialogo confidente con lui, ci vuole reciprocità. E questa non si ha nemmeno nella preghiera se non ci poniamo ogni giorno in ascolto della Parola di Dio. Il rischio potrebbe essere che la nostra preghiera diventi un monologo piuttosto che un dialogo. Un dialogo che deve essere contrassegnato dalla nostra attenzione del cuore, da una disponibilità ad aprirci alla Parola non solo da un punto di vista intellettuale ma integrale, di tutto l’uomo. C’è una esperienza antica e sempre nuova che la nostra spiritualità esige ed è quella della lectio divina quotidiana per imparare chi è Dio, chi siamo noi, che cosa significa la nostra vita in questo mondo.

C’è poi un altro rapporto che deve nutrire la nostra vita spirituale: quello con la liturgia.

Oggi il nostro impegno pastorale, rispetto ad un tempo nemmeno così lontano dove culturalmente parlando tutti erano cristiani, è diventato molto più esigente. E se un tempo il presbitero era innanzitutto un liturgo oggi c’è il rischio di porre poca attenzione alla liturgia. La liturgia è sempre meno preparata, spesso celebrata in fretta, spesso senza quella preparazione e quella cura che conosceva quando alla liturgia vi dedicavamo più tempo. Oggi si tende a separare la liturgia dalla vita e questo decentramento della liturgia dalla vita di noi presbiteri ha una ricaduta nella comunità cristiana. Se aumentano i cristiani che non sentono la necessità di partecipare alla liturgia domenicale non potrebbe forse essere anche per questo? Ritorniamo alla liturgia quale azione e celebrazione della grazia, sorgente e fine del nostro ministero. Ritorniamo alla liturgia ben fatta, preparata, dove tutti vi partecipino nel rispetto dei ruoli e della propria ministerialità. Curiamo la bellezza della liturgia, il canto, i paramenti, la sua dignità!

Ad essa, in particolare alla celebrazione della Santa Messa, prepariamoci ascoltando la Parola nella lectio divina personale e anche – se e ove possibile – con la nostra comunità e disponendoci ad evangelizzare la Parola a quanti ci sono affidati. Prepariamoci cercando di comprendere l’eucologia che offre il messale. La celebrazione della Messa è il nostro atto centrale, il più importante, quello che il Signore Gesù ci ha affidato nel primo Giovedì Santo della storia mentre contestualmente istituiva il sacerdozio ministeriale.

Se non c’è centralità liturgica nel nostro ministero, cari amici, tutto il nostro ministero ne risentirà. Solo se celebrata con fede, devozione, attenzione alle parole scelte e pronunciate allora la liturgia trasformerà la vita, la nostra e quella dei nostri fedeli. Se la liturgia sarà ben celebrata allora celebrerà la vita e darà forma anche alla nostra vita di presbiteri. Noi preti siamo dall’Eucaristia e per l’Eucaristia: in essa lo Spirito santifica la Chiesa, ma santifica anche noi presbiteri. Cari confratelli nel sacerdozio so che tante volte le vostre celebrazioni non sono come questa che stiamo celebrando con solennità. Caso mai celebrate in piccole chiese, con piccole comunità, con poche persone e spesso anziane …: non vi scoraggiate! Se celebrerete con la tensione dovuta e con serietà e convinzione, spezzando il pane della Parola e partecipando all’unico pane eucaristico, voi sappiate che anche nell’ultima chiesa della Diocesi state edificando la Chiesa e partecipate all’azione del Pastore dei Pastori: Gesù Cristo!

Ed infine per una vita spirituale autentica occorre che ci sia raccordo tra il nostro ministero e la vita umana.

Spesso dobbiamo tristemente constatare che siamo “attaccati” perché la gente – a ragione o no – ha la sensazione che il nostro ministero sia vissuto da funzionari che lo esercitano quasi come fosse un paravento per evitare di misurarci con valori che in verità sono determinanti nella rete delle relazioni interpersonali e sociali, essenziali per lo sviluppo e la crescita di una personalità umana protesa a fare della propria vita un capolavoro.

Sembra quasi che da parte nostra non si voglia accettare il mistero dell’incarnazione. Ossia pare quasi che non si voglia accettare che Gesù Cristo è venuto nel mondo non solo per vivere il ministero pubblico e la croce ma anche per vivere come uomo, come vero uomo! Siamo spesso ancorati a un passato dove c’era quasi contrapposizione tra vita umana e vita cristiana e spesso ci siamo come auto-proibiti di cogliere l’umanità, l’esistenza umana ordinaria e comune come ciò che deve essere assunto nella vita cristiana e quindi anche nella vita del presbitero. Troppo preoccupati di segnare la differenza dai fedeli e troppo impegnati nell’esibire una identità propria, di fatto si sono incoraggiate custodie di identità fragili, deboli, che tendono ad appoggiarsi al ruolo per dare stabilità ai propri comportamenti e vincere le proprie paure. La funzione in questo caso è divenuta spesso un elemento dietro cui nascondersi per occultare le nostre paure, dimenticando l’umano reso funzionale al ministero. In realtà nella tradizione spirituale cattolica non c’è netta separazione e tanto meno contrapposizione tra maturità umana e maturità cristiana.

L’umanità di Gesù come ci è proposta dai Vangeli non è apparente né sovrapposta alla sua missione. Ma è una umanità reale, una esistenza comune nella carne e nel sangue. Questo è il luogo dove ci è stata data l’immagine perfetta del Dio invisibile (cfr Col 1,15). Occorre allora vegliare su noi stessi, cari confratelli. Vigilare su noi stessi prima che vigilare sugli altri.

So bene che spesso la vita presbiterale per l’accumularsi degli impegni, per il prevalere di un certo disordine nell’attribuire le giuste priorità e nel dominare il tempo della giornata, per una certa pigrizia o incapacità a dire qualche “no” alle richieste della gente, lascia poco spazio alla cura di se stessi sicché non avviene quello che Paolo si augura per Timoteo: “Dedicati alla lettura … non trascurare il dono spirituale che è in te … abbi premura di queste cose, dedicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso” (1Tm 4,13-16). San Gregorio Magno, lamentandosi dei presbiteri del suo tempo e ponendosi in solidarietà con loro – quindi siamo in buona compagnia – accusava anche se stesso dicendo: “Ci siamo ingolfati in affari terreni! Sì, altro è ciò che abbiamo assunto con l’ufficio presbiterale, altro ciò che mostriamo con i fatti! Noi abbandoniamo il servizio della Parola e siamo chiamati vescovi-presbiteri, ma forse piuttosto a nostra condanna, dato che possediamo il titolo, ma non abbiamo la qualità”.

Ma oggi non è solo la grande quantità di impegni che grava sulla nostra vita presbiterale ma anche la cattiva qualità di vita umana e così spesso anche i presbiteri migliori vanno in crisi, in depressione, sono sotto stress.

Cari amici, oggi lo sappiamo bene non si fa più affidamento alla funzione ma alla persona, la nostra autorevolezza dunque è ancor più necessaria ma dobbiamo sapere che è legata alla sua struttura umana e spirituale. Dobbiamo essere autentici e con interessi personali intellettuali, letterari, artistici, musicali … a seconda dei doni ricevuti, perché la vita cristiana è ricerca e contemplazione della bellezza: per mantenerci vivi, desti, interessati alla vita, per rinnovare le nostre convinzioni con il passare degli anni, per combattere la malattia del cinismo e della rassegnazione. Occorre leggere, andare alle fonti, sapersi riposare e ricreare con intelligenza. Per una buona qualità della vita è poi importante l’esercizio delle relazioni, direi l’ascesi delle relazioni: tra parroco e viceparroco, fra prete e vescovo, fra presbiteri insieme – sono in serio pericolo i preti che non partecipano mai alle riunioni comuni isolandosi dal presbiterio nel quale sono nati … – e così sono importanti le buone relazioni fra preti e laici, e poi con le infinite diverse situazioni personali ed esistenziali che il prete si trova ad incontrare.

Che il Signore ci doni la capacità di dire dei “no” per dire un “sì” più grande: a Dio e al suo Vangelo. E che la nostra vita spirituale tenga sempre come riferimento quanto scrive San Gregorio Magno: “Quel che dispensate all’esterno lo attingete alla fonte dell’amore, e amando imparate quello che annunciate insegnando” e voi, cari fedeli, sappiate che siete responsabili della tenuta spirituale dei vostri sacerdoti quindi pregate e offrite per loro e per quanti Dio vorrà ancora chiamare al suo servizio nella nostra comunità e nella Chiesa intera. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina