Omelia alla Santa Messa del Giorno di Natale 2023

Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Lunedì 25 dicembre 2023

Cari fratelli e sorelle, buon Natale!

Cercando di prepararmi alla Messa di stamane, in un commentario alle letture, ho trovato un brano di Trilussa, poeta romanesco, nel quale un Gallo vuole reclamare la sua uguaglianza con un’Aquila che vola ad alta quota, tra le vette della montagna. Il Gallo si lamenta “perché nun è né giusto né civile/ ch’io stia fra la monnezza d’un cortile”. “L’Aquila je rispose: ‘Caro mio,/ accetto volentieri la proposta:/ volemo fa amicizzia? So’ disposta:/ ma nun pretenne’ che m’abbassi io,/Se te senti la forza necessaria/spalanca l’ale e viettene per aria:/ se nun t’abbasta l’anima de fallo/ io seguito a fa’ l’Aquila e tu er Gallo’”.

Cosa centra questo brano di Trilussa con il prologo del Vangelo di Giovanni, uno dei brani evangelici più impegnativi dal punto di vista teologico?

All’uomo che fin dalle sue origini ambiva ad essere come Dio, e per questo motivo cade e sperimenta il peccato, Dio non risponde come l’Aquila nella poesia di Trilussa ma il Verbo eterno che è dal principio, che era presso Dio e che era Dio, scende, si fa carne. Il Verbo che è la vita, scende e assume la carne morale. Il Verbo che è la luce, scende e brilla nelle tenebre dell’umanità.

Ma perché scende?

Tommaso d’Aquino dà una risposta sulla quale mi piacerebbe che si fermasse la nostra mente, il nostro cuore, la nostra riflessione, la nostra preghiera. Una risposta che personalmente mi commuove sempre.

Il Verbo, la Sapienza di Dio che era presente quando fu creato il mondo, il cielo, la terra, l’uomo. Il Verbo che era presso Dio ed era Dio “assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dèi”.

È il “sublime scambio” di cui ci parla il Prefazio III del Natale nella Liturgia: “La nostra debolezza – vi leggiamo – è assunta dal Verbo, la natura mortale è innalzata a dignità perenne, e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale”. In altre parole: il Natale è la festa della nostra divinizzazione.

Siamo dunque resi da Dio, che in Gesù entra nella nostra umanità come uomo e fratello nostro, figli di Dio! E lo siamo realmente!

E questa verità ci deve riempire di gioia e di speranza. La gioia e la speranza del Natale.

Sì, perché spesso sperimentiamo che viviamo nelle tenebre. Le tenebre infatti esistono. Non possiamo far finta che il male non esista. Anche oggi mentre celebriamo il Natale 2023 ci sono guerre addirittura là dove è nato e vissuto Gesù, ci sono guerre in Ucraina e in Russia, nella nostra Europa; ci sono guerre in molte altre parti del mondo. E guerre esistono anche nelle nostre famiglie, nelle nostre città, nelle nazioni. Ci sono tenebre che circondano la nostra vita di tutti i giorni: vivono nelle tenebre coloro che organizzano il male, che rubano, che profittano dei più deboli, che abusano fisicamente o spiritualmente dei minori e delle persone vulnerabili, che abdicano al loro compito di educare ossia di tirar fuori il bene che c’è in ogni persona attraverso un sistema di regole espressione di amore vero. Ci sono le tenebre di una mentalità edonistica e consumistica che ci avvolge e coinvolge. Le tenebre prodotte dal virtuale che anziché avvicinarci ci isola permettendo a chi vuole farci pensare con un unico pensiero di dettare legge sulle nostre menti e sulle nostre coscienze spesso allontanandoci da Dio, dal senso di giustizia e di verità che Lui è venuto ad insegnarci.

Le tenebre ed il male esistono e ci circondano. Ed esiste anche la libertà dell’uomo che spesso è fragile e giunge a volte, in maniera drammatica, a rifiutare Dio e la sua presenza. Come sentiamo vere le parole del Vangelo di stamane: “Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”.

Ma lo stesso Vangelo appena ascoltato ci dà oggi una certezza. Ossia che nonostante le apparenze a volte contrarie – e chi non le vede le guerre, le malattie, gli egoismi, la morte? – nella competizione tra luce e tenebre è sempre la Luce che vince la sfida definitiva.

E, attenzione, questa non è una convinzione ingenua, un po’ consolatoria, da mattina di Natale … E nemmeno una convinzione di chi vuole essere ottimista per forza. Ma è piuttosto la ragionevole determinazione di chi si lascia raggiungere e illuminare dalla presenza del Dio Bambino.

E se dobbiamo temere la possibilità che ogni giorno abbiamo di rifiutare la Luce, possiamo però gioire per il nostro nome nuovo datoci da Gesù quando lo accogliamo nella fede: siamo i figli di Dio! Da Lui generati! Sì, cari amici, il Natale non è solo la festa della nascita di Gesù ma è la festa della nostra figliolanza divina!

Figliolanza divina che Gesù venendo nel mondo ci vuole donare e ci dona. A noi soltanto il compito di accoglierla affinché anche tramite noi “Tutti i confini della terra vedano la salvezza del nostro Dio” come ci ha detto il Profeta Isaia nella prima lettura e come abbiamo pregato nel Salmo responsoriale.

Sì, oggi, mentre celebriamo la nascita di Dio che si fa bambino per entrare nella nostra storia, tutti siamo chiamati ad accogliere il dono della salvezza offerto da Dio, in Gesù, per mezzo dello Spirito Santo, a tutti i popoli. Il Natale, vedete, è una festa universale: nessuno viene escluso dalla ondata di salvezza che attraversa i cieli e incontra la terra. Nel Bambino Gesù Dio si offre a ogni uomo come liberatore, come rifugio, come aiuto. E questo ha una inevitabile conseguenza: nessun uomo o donna, nessuno, può essere escluso dalla certezza della mia solidarietà. Il Natale è la festa della nostra fratellanza universale!

Chiediamoci dunque chi è quel Bambino che è nato per noi?

È colui che ci chiama tutti intorno al tavolo della paternità divina. È la luce che vince le tenebre per noi e per la nostra salvezza, unendoci con i vincoli della fraternità, della universalità, della solidarietà.

E per correggere Trilussa quel Bambino è l’aquila delle vette che ha realizzato e ogni giorno realizza il nostro sogno di noi, galli da cortile: diventare come l’aquila. In Lui se vogliamo possiamo spalancare le ali e volare nel Cielo di Dio, con la fiducia e la libertà dei figli.

Ma ancora una attenzione.

Dio che si fa carne nel Bambino di Betlemme, ossia si fa carne per noi, ci dimostra che la fede non deve rimanere asettica, lontana dalla carne, poiché anche la carne è stata redenta ed è diventata luogo dove Dio si può manifestare. Dio, vedete, non ha problemi a prendere parte alla nostra vita, e anche nelle condizioni più umili e difficili.

Venendo nel mondo ci rivela la sua gloria. Ma la sua gloria, la gloria di Dio, si rivela proprio tramite una detronizzazione, uno svuotamento di se stesso, tanto è importante per Lui stabilire un contatto con noi.

Vedete, noi – poveri galli da cortile – desideriamo diventare aquile che volano ma se capisco la carne di Cristo, ossia che è la carne di Dio che si fa uomo per divinizzarmi, allora comincio a capire anche il mio valore e la mia rilevanza. Se comincio a capire quanto Dio sia disposto a svuotarsi per me, per essermi vicino, allora comincio a capire chi sono veramente. E se lo accolgo vedo la mia dignità.

Spesso noi pensiamo che Dio sia lontano dall’uomo. Nel Natale lo vediamo vicino a noi, divenuto carne. E così ci svela anche quanto siamo importanti noi. Quanto sia importante avere carne ed essere vivi. San Giovanni Paolo II diceva: “Vale la pena di essere uomo, perché tu, Gesù, sei stato uomo!”.

Chiediamo dunque di accogliere Gesù nella nostra vita, di renderci conto che siamo figli di Dio, viviamo con Lui e come Lui e così anche noi saremo aquile che volano.

Concludo con un pensiero che in questi giorni mi è tornato spesso in mente. Un pensiero che si fa augurio e che mi viene dal presepio che da ottocento anni, per iniziativa di San Francesco facciamo nelle nostre case, nelle chiese, nei luoghi di studio e di lavoro, per le strade … in questo giorno.

800 anni fa, a Greccio, Francesco fece realizzare il primo presepio.

Leggiamo nella “Vita prima” di San Francesco scritta da Tommaso da Celano, suo biografo: “Circa quindici giorni prima della festa della Natività, il beato Francesco fece chiamare Giovanni, uomo di buona fama e di vita anche migliore, e gli disse: ‘Se vuoi che celebriamo a Greccio l’imminente festa del Signore, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato; come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello’. Appena l’ebbe ascoltato, quell’uomo buono e fedele se ne andò sollecito e approntò, nel luogo designato, tutto secondo il disegno esposto dal santo. E giunse il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! … Il santo di Dio è lì estatico di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante pieno di devota compunzione e pervaso di gaudio ineffabile. Poi viene celebrato sulla mangiatoia il solenne rito della Messa e il sacerdote assapora una consolazione mai gustata prima …”.

Nel primo Presepio, vedete, non c’era il Bambino nella mangiatoia. Ma a qualcuno dei presenti sembrò di vedere un bambino privo di vita, che Francesco destò “da quella specie di sonno profondo”. Allo stesso modo, racconta Tommaso da Celano, per opera della grazia di Dio che agiva per mezzo di Francesco, “il fanciullo Gesù fu risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e fu impresso profondamente nella loro memoria amorosa”.

Forse anche noi e purtroppo tanti hanno dimenticato oggi il mistero del Natale, della nascita di un Dio che si è fatto piccolo bambino per condividere la nostra umanità e trasformarla in umanità salvata dall’egoismo, dalle guerre, dal peccato, dai nostri tanti appetiti insani, per donarle pace, perdono, misericordia, vita piena di senso e vita eterna dopo la morte corporale. Forse noi rischiamo di dimenticare che grazie a quel Bambino siamo divenuti figli di Dio e lo siamo realmente.

Chiediamo e auguriamoci a vicenda – anche sostando davanti ai nostri presepi come fece Francesco – che rinasca il Signore Gesù nei nostri cuori e che porti ancora pace nella verità e nella giustizia. A noi di saperlo accogliere, divenire uno con Lui e collaborare con la nostra carne a testimoniare a tutti la luce, la pace, l’amore e la verità che il Salvatore che viene dalla Gloria del Padre ha portato a noi sulla terra, ha portato a tutti gli uomini che egli ama”!

Buon Natale!

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina