Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Domenica 4 aprile 2021
Carissimi fratelli e sorelle,
“Christos anesti! Alethos anesti!”. No, il vostro Vescovo non è impazzito mettendosi a parlare in greco – che tra l’altro conosce poco … – ma vi vuole salutare, questa mattina, con le parole che gli Orientali usano ancora oggi per augurarsi buona Pasqua. Tradotta questa frase suona così: “Cristo è Risorto!” – dice il primo cristiano a chi incontra – e quest’ultimo gli risponde: “Sì, veramente è risorto!”.
È quasi una frase di riconoscimento tra i cristiani che allora come anche oggi, sono perseguitati e impediti a vivere ed esprimere la loro fede. Sì, anche nel nostro mondo neopagano, ci sono molti fratelli perseguitati a causa della loro fede in Cristo e anche noi, che apparentemente siamo liberi di esprimere la fede, che viviamo in una terra di cultura cristiana plurisecolare, tuttavia oggi tendiamo ad adeguarci allo spirito del mondo, a “vivere come se Dio non esistesse” e chi si dice cristiano e si sforza per esserlo, chi si spende con i fatti a favore della famiglia cristiana formata da un papà, una mamma, un uomo e una donna, aperta al dono della vita … o desidera vivere con coerenza il Vangelo, fare delle scelte di vita bella a favore dei poveri, di chi viene da lontano … è come “perseguitato”, invitato – in maniera più o meno esplicita – a tacere a non esprimere le proprie convinzioni e idee … E ancora, in questo clima di morte che da poco più di un anno ci circonda a causa del coronavirus, anche la speranza di molti credenti viene meno davanti alla morte di tanti amici e parenti nella solitudine, lontani dagli affetti.
Oggi vorrei pertanto che “guardando alle cose di lassù”, rinnovando la nostra fede nella risurrezione, con speranza e forza rinnovate, ci salutassimo tutti in questo modo: “Cristo è risorto!” “Sì, è veramente risorto!”. E riconoscendoci nella fede comune ci sostenessimo in questo pellegrinaggio sulla terra guardando le cose di lassù!
Ossia rinnovando la nostra fede nel Risorto e questo non solo a parole ma con i fatti e nella verità. Isacco il Siro – mistico, teologo e vescovo cristiano orientale vissuto nel VII secolo – diceva che dall’alba di quel mattino di Pasqua di 2000 anni fa “Il solo e vero peccato è rimanere insensibili alla risurrezione”.
San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto diceva: “Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede … e noi saremmo i più miserabili tra tutti gli uomini” (cfr 1Cor 15,14.19).
Celebriamo dunque oggi la festa delle feste, quella che ci fa essere cristiani perché grazie al “primo risorto tra coloro che sono morti” – Cristo –, anche noi possiamo avere speranza che con Lui dopo la morte risorgeremo e nonostante ogni fatto in contrario siamo chiamati a vivere e possiamo vivere grazie al dono del suo Spirito ricevuto nel Battesimo da autentici testimoni del Risorto. Testimoni con i fatti più che con le parole. Testimoni che, in un mondo come il nostro dove prevale la logica dell’io più che del tu e quindi del noi, si lasciano trascinare in una catena di amore che è partita il mattino di Pasqua ed è giunta fino a noi, sì a noi, oggi, qui a Palestrina, in questa Messa che stiamo celebrando.
A cosa mi riferisco?
Mi riferisco a quanto ci è stato narrato nel Vangelo di stamane.
Tra i discepoli di Gesù c’erano dei traditori, dei fragili, dei peccatori e delle peccatrici. Quando Gesù fu crocifisso in pochi rimasero vicini alla sua croce: alcune donne – tra cui Maria di Magdala – e il discepolo amato: Giovanni. Erano come degli irriducibili che non riuscivano a percepire che il Maestro in cui avevano creduto, che aveva fatto loro tanto bene, che a Maria di Magdala, una prostituta, aveva concesso la liberazione da sette demoni e il perdono per il suo passato chiamandola alla sua sequela con altre donne … in un’epoca in cui la donna non aveva alcun diritto … reintegrandola in un mondo di relazioni dal quale per la sua condizione era stata esclusa … Ebbene lei, come gli altri affezionati, non riuscivano a concepire che il loro Maestro e Signore potesse morire così: solo, come un malfattore, sulla croce, sepolto velocemente al tramonto di un venerdì, vigilia di un sabato speciale.
Mossa dunque dall’amore – nel Vangelo di Giovanni non si parla di altri motivi: andare a completare le unzioni per la sepoltura, ecc. – no mossa soltanto dall’amore, appena finito il lockdown del sabato nel quale gli Ebrei non possono fare nulla, alle prime ore della domenica mattina, per gli Ebrei il primo giorno della settimana, quando era ancora buio, Maria di Magdala va al sepolcro.
E va perché non riesce a rassegnarsi all’idea della scomparsa di colui che aveva tanto amato.
Giunta al sepolcro trova la novità! “Vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro!”.
Il suo amore percepisce che è accaduto qualcosa di straordinario. E inizia a correre: “Corse allora da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto!”. Parole dette con tanta carica di amore che furono capaci di convincere anche chi ormai scettico era rassegnato. E così iniziò un’altra corsa: quella di Pietro e di Giovanni – il discepolo amato – al sepolcro. E anche qui è una corsa mossa dall’amore. L’amore che se si era leggermente addormentato dopo i fatti del venerdì santo, si riaccese subito. E dopo essere stati al sepolcro, constatato che era vuoto, Pietro non comprese subito ma il discepolo amato sì. “Entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette!”. In fondo, Gesù, lo aveva promesso: “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21).
La fede – lo abbiamo detto tante volte, ed è pur giusto – nasce dall’ascolto. Ma nasce anche dall’amore! Solo l’amore, cari amici, ci permette di comprendere la Scrittura, ci permette di credere, di aver fede.
Ma c’è di più. Se proseguissimo la lettura del Vangelo di Giovanni troveremmo pochi versetti più avanti (oggi il Vangelo si è concluso al versetto 9 del capitolo 20, ma se avessimo proseguito la lettura fino al versetto 11) avremmo ritrovato Maria “vicina al sepolcro” piangente, ancora in ricerca del corpo morto di Gesù. Lo sa bene chi ha vissuto una situazione simile. Perdere una persona amata e non avere nemmeno un luogo, il corpo presso cui piangere e pregare è terribile. E Maria sente questo dolore. Un dolore che probabilmente ha “costretto” il Risorto a rivelarsi chiamandola per nome: “Maria!”. Una voce che ridà speranza a Maria, che è la prova che è risorto, e Maria di Magdala gli si getta ai piedi esclamando: “Mio Signore e mio Dio!” e poi torna a correre per annunciare ai discepoli che “Sì, Cristo è risorto! Sì, è veramente risorto”!
Ecco perché secondo quanto la tradizione della Chiesa ha sempre sostenuto, Papa Francesco ha riconosciuto ufficialmente Maria di Magdala come “l’apostola degli apostoli”.
Da lì: dall’annuncio gioioso di Maria, dallo sguardo di fede del sepolcro vuoto da parte del discepolo amato, è partito per invadere il mondo l’annuncio che sta alla base della nostra fede e della predicazione degli Apostoli, dei loro successori e di tutta la Chiesa: “Dio ha risuscitato Gesù!”.
Cari fratelli e sorelle ripetiamolo a noi stessi e al nostro mondo che rischia di perdere la fede e la speranza: “Dio ha risuscitato Gesù!”, la vita è più forte della morte, l’amore è più forte della morte, il pungiglione della morte è stato sconfitto.
Torniamo a casa con una certezza da condividere ridando speranza al mondo: è la chance che solo noi cristiani abbiamo e possiamo dare: condividiamo con tutti con i fatti e con le parole, con il linguaggio universalmente comprensibile dell’amore, che la morte non è più l’ultima parola della nostra vita ma la penultima perché grazie a Cristo l’ultima parola sarà, dopo il passaggio – certamente doloroso – attraverso l’esperienza della morte, vita! Sì vita eterna!
Andiamo dunque e pieni di amore per Cristo e per il mondo diciamo a tutti: “Cristo è veramente risorto! Sì, è veramente risorto”. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina