Omelia alla Santa Messa del XXV di Presbiterato di Don Jean Willy Bomoi Nkanda

Palestrina, Parrocchia della Sacra Famiglia, Domenica 22 settembre 2024

“Pertransiit benefaciendo” (At 10,38). “Passò beneficando” è una frase tratta dagli Atti degli Apostoli, e riferita a Gesù dall’autore degli Atti, che il carissimo Don Jean, che stasera rende grazie a Dio per il suo XXV di ordinazione sacerdotale, usa al termine di ogni sua e-mail e mi ha sempre colpito perché dice esattamente ciò che deve essere il sacerdote e lo stile di Don Jean con il quale stasera tutti ringraziamo Dio per la sua vita donata a Lui e il suo ministero.

Venticinque anni fa, esattamente il 15 agosto 1999, nella Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria al Cielo, Don Jean iniziava infatti il suo ministero presbiterale nella Diocesi di Inongo, nella Repubblica Democratica del Congo. Figlio di un catechista-capo, Michel e di Pauline Azisa – entrambi deceduti nel 2010 – dopo la sua formazione filosofica e teologica fu ordinato presbitero e quindi, nel 2001 fu inviato in Italia per perfezionare i suoi studi in diritto canonico presso la Pontificia Università Lateranense. Giunto a Palestrina nel 2008 è stato Vicario Parrocchiale a Santa Maria Assunta e Visitazione a Cave, Collaboratore parrocchiale della Parrocchia di San Paolo Apostolo a Genazzano, Amministratore Parrocchiale a San Sisto – Bellegra –, e poi, dal 2015 è stimato ed amato Vicario Parrocchiale di questa comunità della Sacra Famiglia. Collaboratore dal 2010 della Radio Vaticana – Sezione Africa, fin dal momento del mio arrivo tra voi l’ho trovato collaboratore sincero, fedele, affidabile, competente, prudente, innamorato del sacerdozio! Del suo e di quello dei propri confratelli.

Personalmente sono a lui molto grato per il prezioso servizio che mi offre come Cancelliere Vescovile sia a Palestrina che a Tivoli, Vicario Giudiziale, Segretario del Consiglio Presbiterale di Palestrina e, certo di interpretare i sentimenti di tutti voi, siamo grati a Dio per il dono che Don Jean è per noi con la sua disponibilità al servizio, la nobiltà di stile e di animo, la competenza e l’umiltà che sa attrarre a sé proprio perché nonostante i molti doni che possiede sa mettersi da parte. Mai al centro, è fedele da venticinque anni al suo programma di vita: “passare facendo del bene!”.

Anche nel Vangelo di stasera ci viene presentato Gesù che passa … sulla strada. Anche Lui passava … attraversava con i suoi discepoli la Galilea. I cristiani sono sempre stati indicati come gli uomini della via e sulla via Gesù, nel Vangelo di domenica scorsa, annunciava ai suoi il più grande bene che da Lui l’uomo abbia ricevuto: vado a Gerusalemme e là patirò, morirò e risorgerò! Un annuncio che ripete nel Vangelo di stasera per la seconda volta.

Un annuncio che non è facile comprendere. Dopo il primo annuncio ricorderete come Pietro iniziò a dire a Gesù che questo non gli sarebbe mai accaduto tanto che Gesù lo apostrofò con l’appellativo di “satana” invitandolo a mettersi dietro a Lui e seguirlo per la via della croce.

Nel brano evangelico di stasera invece nessuno dei suoi discepoli più reagisce. Tutti tacciono. Ma non perché comprendono, acconsentono … ma perché hanno paura, non comprendono. Non hanno ancora capito il mistero dell’Agnello immolato e vittorioso (Ap 5,12).

E così, lungo il cammino, questa volta i discepoli si mettono a discutere tra loro chi fosse il più grande.

Salta fuori in loro quel desiderio che rende brutti, che fa soffrire, che divide: il bisogno di emergere, di mettere la testa fuori dall’acqua per non affogare, di essere i primi, superiori agli altri, di arrampicarsi fin sulla cima per non essere travolti e morire, di spuntare fuori dalla terra per essere illuminati dai raggi del sole, scaldati e così vivere. È l’istinto dell’uomo, quell’istinto che c’è un po’ in tutti ma che Gesù chiede a chi lo segue, come ha chiesto e chiede anche stasera a Don Jean, di tenere controllato.

È un istinto – Don Jean lo sa bene – che contrasta con il suo proposito di passare per le strade dell’uomo facendo del bene. Perché per fare il bene occorre mettersi inchinati davanti al prossimo per servirlo, per lavargli i piedi così come Gesù ha fatto con i suoi nella notte in cui veniva tradito, in cui istituiva l’Eucaristia e il sacerdozio ministeriale.

Per esperienza diretta vi posso dire che Don Jean questo istinto di ergersi sugli altri lo tiene ben a freno. Un prete del suo stile e della sua intelligenza nella sua nazione avrebbe fatto, umanamente parlando, certamente una gran carriera. Ma come saprete, guardando alle necessità della nostra Diocesi, ha accettato di rimanere qui, dopo 25 anni di sacerdozio, di incardinarsi in questa Diocesi di Palestrina dove le carriere non sono così variegate … ma ha accettato di rimanere qui per servirci, per aiutarci con quello stile sobrio che gli è proprio.

Senza volerlo elogiare come se fossimo già al suo funerale vorrei ringraziare Dio per il suo sacerdozio e per ciò che Don Jean è perché seguendo il Vangelo di stasera non si è lasciato attrarre dall’illusione che se si riuscisse ad essere serviti anziché servire, ad essere potenti anziché deboli, allora si avrebbe la vita e la si godrebbe. Ma ha accettato di vivere su di sé la logica della croce. Quella logica che chi la accetta vive, che chi accetta di perdere la vita per Cristo la ritrova.

Il Vangelo di stasera ci spiega questo concetto così: è grande chi si fa piccolo, regna chi serve, è primo chi si mette all’ultimo posto.

Ed è questo programma di vita che Gesù offre a chi lo vuole seguire sulla via che porta a Gerusalemme, alla Pasqua, alla vita eterna e che propone in particolare al sacerdote chiamato ad amare facendosi servo; a non fare ombra né paura a nessuno, ma al contrario a promuovere e a far crescere. Far del bene a quanti, passando, incontra sulla strada. E per Don Jean su questa strada ci sono stati i suoi connazionali quando era in Congo, ora ci siamo noi, i suoi confratelli congolesi per molti dei quali è punto di riferimento, aiuto, qui in Italia.

Ma da dove deriva questa capacità? Dove viene al prete questa capacità di amare e servire? Gesù lo spiega illustrando il suo annuncio con un gesto: prende un bambino, lo pone in mezzo a lo abbraccia. Si ha la vita, ci dice e dice specialmente a Don Jean stasera, nella misura in cui ci si lascia amare: come i bambini, la cui forza consiste nella loro debolezza; più sono piccoli e indifesi, più troveranno chi si prenda cura di loro e li abbracci: per questo sono beati; per questo entrare nel regno dei cieli significa diventare bambini (Mt 18,3).

Si ha la vita, poi, nella misura in cui si ama: nella misura in cui si abbia qualcuno da prendere in braccio e custodire. Per questo Dio si è fatto Bambino: per permettere all’uomo di amare. Per questo nel regno dei cieli tutti tornano bambini: perché ciascuno possa imparare ad amare il prossimo, così come una madre, un padre, amano i loro piccoli.

Caro Don Jean, l’augurio che ti faccio è quello di lasciarti sempre amare da Colui che è morto e risorto per te. Come un bambino abbandonati a Lui nella preghiera, nell’ascolto della sua Parola, nella celebrazione dei sacramenti – in particolare dell’Eucaristia e della Riconciliazione –. Accogli l’amore che Lui anche stasera ti rinnova e amato, ama! amato continua a passare facendo del bene.

Il nostro mondo ha bisogno di bene, ha bisogno di amore, di incontrare Cristo nel servizio che gli sa rendere un prete. Non ti stancare mai!

Come un bambino abbandonati e come un padre e una madre ama, sii padre e madre di tanti che desiderano essere amati da Gesù.

Maria Santissima, a te tanto cara, ti assista in questo passaggio della tua vita e continuando a dirti come ai servi di Cana: “fate quello che Lui vi dirà” trovi in te un servo obbediente e generoso, capace di portare la sua acqua con la fiducia che Gesù la saprà trasformare in vino buono per la festa nuziale dell’umanità con Lui, sposo, amico, agnello che anche ora si offrirà per noi, tramite il tuo ministero, sull’altare. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina