Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Giovedì 24 dicembre 2020
Carissimi fratelli e sorelle!
Credo che mai come quest’anno sentiamo come proprio rivolte ai nostri cuori stanchi per la pandemia e per tutte le sue nefaste e tristi conseguenze le parole che Dio ci ha appena rivolto in questa Messa della Notte di Natale.
Ci sentiamo, è inutile negarlo, come il popolo che cammina nelle tenebre di cui ci ha parlato Isaia nella prima lettura. Celebriamo un Natale di paura, distanza, isolamento. Sentiamo il buio di tante morti, della malattia di tante persone, della povertà che avanza e avanzerà, addirittura della impossibilità di riunirci con i nostri cari, abbracciarli … In particolare ci piange il cuore nel sapere che in questo Natale tanti nostri anziani saranno soli e probabilmente anche depressi perché impediti di abbracciare figli, nipoti e quelle poche persone care che sono loro rimaste … e che anche i nostri ragazzi e giovani sentiranno il peso del non potersi incontrare come sarebbe tipico della loro età nei tempi di festa …
Siamo quindi anche noi nell’oscurità. E per la Bibbia le tenebre hanno sempre rappresentato il caos primordiale dove si aggiravano le potenze ostili all’uomo. Anche nella prima pagina del libro della Genesi vi leggiamo che “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso”. Certamente Isaia non pensava mentre scriveva il brano che abbiamo ascoltato a questo nostro anno di pandemia. Pensava alle terre a ovest e a nord del lago di Tiberiade al tempo delle campagne militari dell’Assiria. Dove, sotto il potere del più forte, il piccolo popolo di Giuda veniva calpestato e umiliato: curvo, sotto il giogo della tirannia, senza dignità e senza futuro. Ma nel racconto di Isaia, improvvisamente, c’è una sterzata: il buio viene squarciato: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. Tra le macerie umane, la forza liberatrice di Dio irrompe nel buio della notte per portare luce, gioia e pace!
È quanto celebriamo stasera. Ci mancano tante cose quest’anno: le consuetudini che erano conseguenza del Natale: il vederci per respirare l’atmosfera di amore e degli affetti che si respirava nel semplice e povero alloggio di Betlemme tra Gesù, Giuseppe e Maria; lo scambiarci doni per ricordare il grande dono di Dio che si è fatto uno di noi e per noi!
Ma non ci manca, no, non ci manca, cari amici la presenza di Dio! Di un Dio che è sceso e continua a scendere anche oggi nelle nostre tenebre facendosi vicino all’uomo, ad ogni uomo, per essere l’Emmanuele il “Dio con noi” e “per noi!”.
A chi si sente solo, stanco, depresso … a quanti quest’anno sentono il buio che li circonda, buio che negli anni passati tante volte abbiamo anestetizzato con i nostri riti di famiglia, incontri, regali, viaggi, luci … a chi sente la nostalgia degli amici, dei cari che non ci sono più, a chi piange per la sua povertà vorrei dare una certezza che squarci le tenebre nelle quali giace: “Oggi è nato per noi il Salvatore!”.
Come predice Isaia nasce per portare gioia, una gioia da condividere ma che prima deve essere profondamente accolta nel cuore. Non c’è vera gioia se nel nostro cuore non nasce e non permettiamo che nasca il Dio con noi e per noi! E questa gioia è portatrice di pace. Anche se soli, anziani, poveri … sappiamo di essere amati da Qualcuno.
Isaia parla di un “bambino che è nato per noi” si riferiva al pio re Ezechia che avrebbe governato Giuda ma la profezia di Isaia subito ci rimanda al futuro re messianico, a quel re unico e immortale che salva l’uomo di sempre e per sempre dalle sue fragilità, solitudini e anche dalla morte … e che è Gesù.
Certamente, potremmo obiettare, ma la morte, le guerre, le pandemie, gli ospedali, le lacrime e le prigioni, la dignità calpestata di tante persone sussiste ancora … e allora? Allora questo Bambino nato per noi è il “sì” di Dio alla nostra storia, alla storia del mondo e dell’uomo. Ed è questa la certezza suprema del Natale.
In altre parole: il mondo va avanti con le sue logiche. Ma, se lo accogliamo, da duemilaventi anni a questa parte, Dio, permettendo che il suo Figlio nascesse a Betlemme di Giudea, ha stabilito di amare per sempre e senza ripensamenti questo uomo e questo mondo: noi e tra noi proprio chi è più povero, solo, senza speranza.
Vedete ci sono due modi per essere felici. Uno apparente ma che finisce. Quello di dominare il mondo. Come l’Imperatore Cesare Augusto che ordina un censimento per contare i suoi sudditi, per sapere quale sia la sua grandezza, il suo potere … Ma in questo contesto effimero esiste un altro modo di essere felici – ed è quello che auguro a tutti noi stasera – sapere che come i poveri pastori siamo amati dal Signore!
Nel nuovo Messale avrete notato anche nelle scorse domeniche come nel canto del Gloria non si dice più “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” ma, ripetendo il canto degli angeli ai pastori nel buio illuminato della notte del primo Natale, si dice: “Gloria a Dio nell’altro dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore!”. Sì, Natale è questo!
La certezza che nonostante tutto noi siamo amati dal Signore, da Dio che si è fatto bambino per noi per condividere la nostra storia e dare ad essa senso, luce, gioia, significato. Per non lasciarci mai più soli nel buio.
Nel Vangelo gli angeli annunciano ai pastori che è appena nato per loro il Salvatore, il Messia atteso, il Dio con loro, il Dio fattosi uno di loro …
E loro, come noi, ci saremmo attesi un grande segno, un Dio capace di vincere immediatamente la pandemia per permetterci di riabbracciarci tutti a Natale …
No, il segno, è semplice, fragile, è il segno di un “bambino che nasce e viene deposto in una mangiatoia” – viene ripetuto per tre volte nel Vangelo ascoltato stasera –.
Il “segno” che oggi siamo chiamati con i pastori, con Maria e Giuseppe ad adorare e contemplare è che Dio onnipotente, che abita i cieli, creatore dell’universo, è un Dio che si rivela e offre come un neonato.
E nessun DPCM, nessun peccato, nemmeno la morte potrà più strapparlo dalle nostre mani, dai nostri abbracci.
Sì, anche quest’anno, Dio si fa bambino per noi e come Maria e Giuseppe – i primi che lo hanno abbracciato senza mascherine e igienizzante … – anche noi possiamo abbracciarlo perché Lui è venuto per noi, per condividere le nostre solitudini e riempirle di gioia proprio come un figlio riempie di gioia una casa. Lui stasera ci chiede di accostare il nostro cuore al suo. Lui è il pane che solo ci sazia (cfr Gv 6,35), è amore indifeso che nel chiederci di essere amato, accolto e curato vince ogni nostra paura, durezza e ci dona dolcezza infinita, quella dolcezza che ci proietta fin d’ora là dove l’esperienza dell’amore, dell’intimità e dell’abbraccio con Dio sarà perfetta: l’eternità.
Buon Natale a tutti! Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina