Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, martedì 24 dicembre 2024
“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” (Is 9,1).
“È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11).
Sono solo due espressioni dell’Antico Testamento e del Nuovo che si riferiscono al grande mistero che stanotte la Chiesa celebra: “Oggi è nato per noi il Salvatore!”.
Sì, cari fratelli e sorelle, il Dio creatore e Padre, non si arrende davanti al peccato dell’uomo, non si arrende davanti al peccato di Adamo che insieme ad Eva mangiarono il frutto proibito, si lasciarono tentare di diventare come Dio, e ruppero l’amicizia infinita che Lui aveva dato loro. E così decide di dimostrare ancora una volta il suo amore per l’uomo, per noi, nonostante noi. Entra nella nostra storia, si fa carne. Dall’angelo viene annunciato così ai pastori, agli umili che sono i più qualificati ad accogliere un messaggio di gioia e di liberazione: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.
Un bambino avvolto in quelle fasce che ci richiamano già alle fasce in cui sarà avvolto dopo la sua morte e che lascerà piegate, nel sepolcro, dopo la sua risurrezione. Quel bambino che è Dio viene a riaprirci la strada verso la vita eterna, per cui la nostra vita acquista tutta un senso unico e nuovo. Grazie a quel bambino siamo destinati alla vita eterna, possiamo riprendere a sperare in qualcosa che dà senso vero alla vita e ad ogni azione che compiamo in essa qui sulla terra.
Ma il bambino che nasce si fa incontrare in una mangiatoia. Non è certo un luogo adatto per un neonato, specialmente una mangiatoia riservata agli animali piena di germi, di sporcizia … ma è lì che il bambino Gesù si mostra. Quasi a dire: se Adamo, se i nostri progenitori usando male la loro libertà – dono di Dio – hanno mangiato il frutto dell’albero proibito per tentare di diventare autonomamente come Dio, ora mi offro io in pasto, nella mangiatoia affinché chi mangerà di me che lascerò il mio corpo e il mio sangue nell’Eucaristia fino alla fine dei giorni possa fare l’esperienza dell’incontro con me, del perdono dei peccati e mangiando di me a Betlemme, che significa “casa del pane”, possa incontrarmi, cibarsi, sostenersi, lungo il cammino della vita. Possa percorrere questo cammino con la mia compagnia e giungere alla perfetta comunione con me e con il Padre, meta del pellegrinaggio della vita.
Cari amici quale dono, dunque, abbiamo ricevuto nel Natale che ogni anno celebriamo per riconoscere il dono di Dio che si fa uomo per noi per riportare l’uomo a Dio!
Occorre però che rendiamo viva in noi la grazia del Natale.
Gesù viene a noi come bambino affinché possiamo più facilmente accoglierlo ed amarlo. Ma anche per Maria e Giuseppe non ci fu posto nell’alloggio. Cosa accadrebbe se bussassero alla porta del mio cuore? Rischieremmo forse di non accoglierli perché i nostri cuori sono già troppo pieni di altri messaggi, di altre presenze, di altri modi di pensare, di vivere come se Dio non esistesse. E rischieremmo di non accogliere Gesù che invece vuol nascere nei nostri cuori.
Una risposta riassuntiva di questa realtà che non accoglie Gesù pare darcela l’evangelista Giovanni nel suo prologo che ascolteremo domani nella Messa del giorno di Natale: “Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).
Una prima domanda che deve dunque suscitare in noi la festa del Natale è questa: abbiamo tempo e posto per Dio, quando Egli tenta di entrare da noi? Nella nostra vita? Abbiamo tempo e spazio per Lui?
Sì, stasera celebriamo il suo Natale ma durante l’anno? Abbiamo e doniamo tempo per Dio? Oggi ormai l’uomo è in continuo movimento, gli strumenti per risparmiare il tempo si moltiplicano ma spesso ci tolgono il tempo per relazionarci con gli altri, per ascoltare, per fermarci e così ci tolgono anche il tempo per accogliere Dio in noi. La questione che riguarda Dio viene continuamente rimandata, il momento per pregare viene sempre posticipato … non abbiamo più tempo per Dio!
Ancora: domandiamoci, Dio ha veramente posto nel nostro pensiero?
In passato il pensiero dell’uomo era totalmente impregnato di fede, oggi il nostro pensiero è impostato molto spesso prescindendo da Dio, come se Lui non dovesse esistere. Pur di non farlo entrare nel nostro modo di pensare ricorriamo ai ragionamenti più strani pur di allontanarlo cerchiamo tutti i modi per rendere superflua per la nostra vita “l’ipotesi Dio”. Anche nel nostro sentire e volere non c’è spazio per Lui. Noi vogliamo noi stessi, le cose che si possono toccare, la felicità sperimentabile, il successo … Viviamo per tante false speranze che non coincidendo con l’unica e vera speranza – Cristo – appena raggiunte ci lasciano ancor più vuoto ed amaro in bocca.
Stanotte, cari amici, davanti al Bambino che viene per noi, dobbiamo ammetterlo: siamo così pieni di noi, che non c’è spazio per Lui. Basta pensare un attimo a come ci siamo preparati a questa Notte Santa: abbiamo pregato, abbiamo letto la Parola di Dio, abbiamo partecipato alla Santa Messa delle domeniche di Avvento? Ci siamo confessati? Potrei continuare. Temo che abbiamo fatto molte cose: preparato pranzi, feste, addobbi, ma non abbiamo dato spazio all’incontro con Dio. E così non dando spazio a Dio non riusciamo neppure a dare spazio agli altri, non riusciamo ad ascoltarli. Ecco allora che occorre lasciarci trasformare rinnovando il nostro modo di pensare, come direbbe l’Apostolo Paolo (cfr Rm 12,2).
Stasera il Papa, a Roma, ha aperto l’Anno Santo che noi e in tutte le Diocesi del mondo apriremo domenica 29 dicembre. Come sarebbe bello che riuscissimo in questo anno a diventare più sensibili verso la sua presenza, verso Lui che bussa in modo sommesso ma pure insistente al nostro cuore affinché in noi ci sia uno spazio per Lui e così riusciamo a riconoscerlo e ad accoglierlo nei bambini, nei sofferenti, negli abbandonati, negli emarginati e nei poveri di questo mondo.
C’è ancora un ultimo aspetto che vorrei sottolineare.
Insieme agli annunci dell’Antico Testamento realizzati in Gesù, nato per noi, e delle constatazioni del Nuovo Testamento. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato in questa notte c’è anche il canto degli angeli che intonano un inno di lode dopo aver dato il messaggio del Salvatore che è nato. “Gloria a Dio – dicono – nel più alto dei Cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”.
Dio è il bene sommo, puro, vero. E gli angeli che lo circondano trasmettono la gioia per la percezione della gloria di Dio. Vicini alla fonte purissima della gioia, anche loro irradiano gioia. Il loro canto non è altro che questo: percepiscono lo splendore, la luce piena, la bontà immensa di Dio, il suo potere sopra tutte le creature perché è Dio e comunicano quanto sentono.
Ma questo annuncio stride con ciò che siamo noi. Per accogliere Gesù occorre che siamo disposti ad accogliere la sua gloria, la gioia che viene da Lui ma anche ciò che ne consegue: ossia la pace che Lui genera.
Ebbene se i nostri cuori non sono in pace o almeno disposti ad accogliere Dio che è la fonte della pace vera, gli uomini non saranno mai in pace, non vivranno mai in armonia.
Quante guerre anche in questo Natale! Parlo innanzitutto delle guerre all’interno delle nostre famiglie, nelle nostre città e paesi, anche all’interno di noi stessi. Penso alle guerre verso le donne, ai tanti femminicidi, al bullismo, agli abusi spirituali e fisici su tanti deboli … e poi sì, anche alle guerre che coinvolgono oramai tutto il mondo.
Gli angeli cantando la gloria a Dio hanno anche percepito che dove si dà gloria a Dio si dà anche pace agli uomini.
Possiamo quindi dedurre che dove non si dà gloria a Dio, dove non lo si riconosce ed accoglie non può esserci pace. L’uomo infatti da solo, con i soli suoi trattati di pace che dopo poco vengono smentiti non riesce a costruire la pace.
Qualcuno poi sostiene che la causa delle guerre siano le religioni. È vero che una religione può diventare intollerante verso le altre e cambiare la sua origine che è quella di diffondere Dio che è amore così che l’uomo pensa di essere capace di fare la pace senza Dio. Ma attenzione: dire “no” a Dio è pericoloso per ristabilire la pace. Diceva Papa Benedetto XVI: “Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole”.
Chiediamo allora di accogliere Dio nei cuori, Lui in questa notte si è fatto Emmanuele, Dio con noi, per essere il Dio per noi! Se lo accoglieremo come agli angeli darà gioia e farà percepire la pace che è Lui, la pace che nasce dal suo amore verso tutti e per tutti, a noi, uomini che egli ama.
Come i pastori dunque andiamo a Betlemme. Usciamo dai nostri modi di vivere come se Dio non esistesse, dai nostri egoismi, dalle nostre guerre e andiamo a Gesù che si presenta a noi nella povertà del presepio, nella semplicità di un bambino, affinché tutti possano accoglierlo, abbracciarlo, fargli posto nella vita e divenire uomini di buona volontà, annunciatori di quel Dio che non si è stancato degli uomini ma è venuto incontro a noi per amarci e donarci la sua pace. Amore e pace che come la gioia sono diffusivi e che da stanotte, tornando a casa, dobbiamo portare a tutti come il dono più bello del Natale. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina