Omelia alla Santa Messa della Notte di Natale

Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Mercoledì 25 dicembre 2019

Carissimi fratelli e sorelle,

Buon Natale!

Nel cuore della notte siamo usciti dalle case per recarci qui a celebrare la Messa della Notte di Natale. La Messa alla quale veniamo per sentir dire al nostro cuore che Dio non si è ancora stancato di noi!

Sì, Natale è celebrare la festa di un Dio che nella notte di Betlemme, è entrato per sempre nella storia, nel buio della nostra povera storia personale e comunitaria per dirci che ci ama, per porgersi a noi con tutta la povertà possibile affinché tutti, a partire dai più poveri e semplici, possano accoglierLo nella loro vita e continuare a sperare, a gioire anche se si sentono nel buio, come dimenticati da tutti perché Dio, sì il Dio creatore, onnipotente, che sa salvare dalla morte, non si è dimenticato di loro, di noi ma è venuto “con” noi e “per” noi in Gesù nato a Betlemme di Giudea.

Pieni di gratitudine fermiamoci su qualche passo biblico appena ascoltato.

Nella prima lettura Isaia ci parla di un popolo che camminava nelle tenebre. Tenebre che ai tempi dell’autore sacro rappresentavano il caos esistente prima della creazione del mondo, tenebre che poi divennero immagine – lo sono anche oggi – di ogni situazione negativa dove a farla da padrona sono paura, malvagità, assenza, morte. Quante volte anche noi ripetiamo a noi stessi e agli altri quando siamo in difficoltà, depressi, stanchi della vita …: “sto attraversando un momento di buio …”. Ebbene Isaia profetizza a chi, come al piccolo popolo di Giuda che viene calpestato dalla tirannia di chi appare più forte di lui e che pare rappresentare ciascuno di noi – la nostra società, le nostre famiglie, i nostri giovani che spesso andando a cercare la felicità dove non c’è si ritrovano sempre più soli e in balia di idoli che non sono Dio ma tiranni che dominano le loro vite calpestandole –. O, ancora, pare profetizzare ai nostri anziani sempre più soli o ai nostri malati, o a chi viene da lontano e non trova integrazione ma soltanto buio, rifiuto, utilizzo delle loro persone per far fare affari a qualcuno che dice di accoglierli e curarli ma spesso soltanto per lucrare su di loro …

Ebbene, in questo buio come nel buio in cui vagava il popolo di cui ci parla Isaia, il profeta annunzia che rifulge improvvisamente una luce, le tenebre vengono vinte!

Appare la gioia di poter vedere la strada sulla quale camminare, quella gioia immensa che si identifica con la vera pace.

È questa la prima verità del Natale.

Dio, nel bambino di Betlemme, irrompe nella storia difficile dell’uomo, nella sua storia segnata dal peccato, dalla malattia, da tante tirannie che impediscono all’uomo di essere veramente libero, per dare alla sua creatura nuova dignità, per dare a chi pare vivere senza più speranza, quasi rassegnato al fatto che tanto le cose ormai vanno come vanno e non c’è più niente da fare …, che la famiglia non si possa più ricostruire …, che la miseria non si possa fronteggiare …, che la politica sia soltanto roba da corrotti …, che i giovani siano destinati alla perdizione …, che anche la Chiesa – ogni tanto lo pensiamo … – sia fatta da uomini inetti e quindi destinata a non saper più parlare a nessuno con credibilità … Ebbene, in questo buio apparente che sembra non sperare più nulla, viene la luce, viene la gioia, viene la pace: irrompe il Dio “con noi e per noi”!

E quindi così come nella lettura di Isaia tutto cambia, ugualmente deve cambiare tutto anche per noi, spesso incapaci di sperare.

Sì, la Notte di Natale ci deve far riprendere a sperare perché non siamo soli. Dio è venuto e da allora in poi ci è costantemente vicino come Colui che moltiplica la gioia, che spezza il giogo che l’opprimeva! Grazie al suo intervento nella storia tutti gli strumenti di oppressione (giogo, sbarra, bastone, divise militari …) scompaiono e l’umanità può rinascere, ricominciare a vivere da capo.

E tutto questo perché “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio!”

Forse Isaia si riferiva al pio re Ezechia che avrebbe regnato su Giuda. Ma la Chiesa ha sempre letto la profezia di Isaia come chiaro riferimento a Gesù, un re dai poteri divini, capace di regnare stabilmente, portando benessere e prosperità.

E qui potremmo andare in crisi.

Se pensiamo alla nostra storia potrebbe venirci da pensare che la realtà dopo 2000 anni dal Natale ci dice diversamente perché ci sono ancora guerre, ospedali, lacrime, dignità di popoli calpestati, persone che vivono nel buio … e allora?

Allora c’è il Natale!

E se guardiamo a fondo nella nostra storia personale e comunitaria ci sono tanti segni di speranza ai quali noi facciamo fatica a guardare perché il male fa sempre più rumore del bene, perché la notte prevale sempre sulle flebili luci che la rischiarano.

Sì, cari amici, c’è il Natale e quindi esiste ancora una ragione per sperare, perché Gesù, il bambino che è nato per noi a Betlemme di Giudea è il “sì” di Dio alla storia dell’uomo e del mondo. Ed è questa la certezza suprema del Natale cristiano così come ci ripete il Vangelo.

Il Bambino Gesù che nasce a Betlemme, che nasce durante un censimento – quindi ben inserito nella storia degli uomini – è il “sì definitivo di Dio alla storia del creato”, dei popoli e dei singoli. Dio ha stabilito di amare ‘questo’ mondo e ‘questo’ uomo, senza ripensamenti e ce lo ha detto con il Natale del suo Figlio. Quel Figlio che l’evangelista Luca sottolinea essere nato nella storia non soltanto per dimostrarci la storicità di Gesù, non soltanto per dirci che il Natale di Gesù non è una favola …, ma per dirci che quel Bambino di cui stanotte celebriamo la natività dà senso a tutta la storia umana trasformandola profondamente e integralmente perché è Dio. Origene dice che il censimento è il libro della vita degli uomini. E Gesù viene a trasformare e dare senso proprio a questa intera esistenza umana, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini!

E viene nella nostra storia non con segni appariscenti, troppo alti, segni ai quali gli uomini normali, i poveri non potrebbero accedere. Ma viene facendosi bambino, un bambino che come tutti i neonati non parla, sorride, piange, dorme, vuole abbracciarci e cerca da noi soltanto accoglienza amorosa, fiduciosa, cerca il nostro abbraccio proprio come quando abbracciamo un infante che non parla, che non spiega le cose ma che fidandosi di noi ci chiede di accoglierlo e condividere con lui soltanto affetto e amore.

Gesù nasce povero, tra le fasce, in un luogo di fortuna, in una mangiatoia per animali.

È significativo che l’evangelista Luca sottolinei per tre volte nel suo racconto della nascita questo contesto di povertà estrema nella quale Dio viene incontro all’uomo e si manifesta per primo a poveri pastori che facendo il turno di notte vegliavano il loro gregge. E questo, vedete, perché soltanto tra poveri ci si può intendere.

Chiediamo a Dio, allora, in questa Notte santa, di essere semplici, veri, di metterci davanti a Lui con tutte le nostre bellezze ma anche con tutte le nostre fragilità riconoscendo così, ancora una volta, di avere bisogno di Lui.

E in compagnia di Lui, illuminati dalla Sua presenza che stasera si riconferma, nella quale in questa notte torniamo a dire di credere, continuiamo a camminare nella storia. I problemi rimarranno, i nostri gemiti probabilmente non cesseranno ma se accoglieremo tra le braccia Lui, se accoglieremo la gioia, la pace, la vita eterna che Lui entrando come uomo nel mondo è venuto a portare, allora i nostri gemiti non saranno più soltanto gemiti umani, gemiti di un morente, di gente stanca e depressa, assonnata nella notte, ma gemiti umani accompagnati dallo Spirito (cfr Rm 8) tanto somiglianti ai dolori di una partoriente che attende con impazienza la nascita di “un cielo nuovo e una terra nuova …, la città santa, la nuova Gerusalemme …” dove Dio “asciugherà ogni lacrima dagli occhi” e dove “la morte non ci sarà più”, né ci saranno più lutto, grido, pena … perché le cose di prima sono scomparse (cfr Ap 21,1-4).

Alda Merini, una poetessa cristiana contemporanea, morta dieci anni fa scriveva che “Ogni cosa bella diventa peritura nelle mani degli uomini, ma ogni cosa bella baciata da Dio diventa una rosa rossa piena di sangue”. Chiediamo a Gesù che la nostra vita accogliendo Lui sia bella e imperitura e divenga bella come una rosa rossa piena di sangue, di quel sangue che dice sofferenza ma anche amore appassionato, amore che costa come è costato a Gesù l’averci amato e deve costare anche a noi che accogliendolo siamo mandati a portare luce, nella notte della nostra storia. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina