Omelia alla Santa Messa dell’Epifania Di N.S.G.C. 2024

Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Sabato 6 gennaio 2024

Cari fratelli e sorelle,

ogni volta che ascolto il Vangelo che ci è stato proclamato stasera mi colpiscono le parole che descrivono quanto provarono i Magi quando seguendo la Stella e le Scritture, al termine del loro pellegrinaggio, incontrando il Bambino Gesù provarono una grandissima gioia, una profondissima gioia!

Una gioia che non so se noi cristiani di oggi abbiamo ancora davanti al Mistero che celebriamo. Il Mistero di un Dio infinito che si fa finito per venire incontro all’uomo e condurlo all’infinito da cui proviene.

Temo che l’uomo di oggi sia piuttosto come Erode. Ossia che davanti a Dio che ci viene incontro per salvarci, per amarci, per condurci per le sue strade così diverse dalle nostre, si lasci prendere dalla paura. Erode aveva paura, alla sola notizia che nel territorio da lui dominato stava per nascere un altro re trema, teme, si incattivisce, ordina la strage degli innocenti … Mentre i Magi si muovono con grande libertà, pieni di gioia, una gioia che si completerà pienamente davanti al Bambino che incontreranno a Betlemme.

La gioia dei Magi vorrei tanto che fosse sempre anche la nostra! Una gioia che non si lascia ingannare da Erode. Che non si lascia ingannare da quella parte di uomo vecchio che c’è in noi e che ci suggerisce di evitare di dare la signoria sul nostro cuore e sulle nostre esistenze a Dio; che non si lascia ingannare dal pensiero comune dell’uomo post-moderno che vorrebbe vivere come se Dio non esistesse perché teme che Dio possa limitargli la libertà.

No, come i Magi, anche noi siamo chiamati a non avere paura, a distinguere tra la meta del percorso e le tentazioni che trovano sul cammino. I Magi potevano rimanere alla corte di Erode, tranquilli, e invece vanno avanti, escono dal Palazzo di Erode attenti al segnale di Dio e non vi passeranno più, per un’altra strada faranno ritorno.

Dai Magi impariamo dunque anche noi a divenire pellegrini che cercano chi dà all’uomo la vera gioia, impariamo ad essere pellegrini dell’infinito, alla ricerca di Dio!

I pellegrini verso l’infinito non sono naufraghi, né turisti, né vaganti … hanno una meta precisa. Sono mossi dai segni del creato che riescono a interpretare, sono mossi dalla bellezza degli astri, sono mossi dalla natura che li accompagna, sono mossi da uno studio attento delle Scritture, e camminano non badando alle minacce di Erode, alle tentazioni lungo il cammino.

Cercano Dio e lo trovano! “Videro il Bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono”.

Con la loro fede, con il cuore aperto alle novità e ai segni dei tempi – potremmo dire – riconobbero in un piccolo bambino ciò che cercavano. Cercavano l’infinito e trovarono un piccolo bambino, finito, piccolo, inerme, debole, bisognoso di tutto! Cercavano l’infinito e lo trovarono nel meno apparentemente infinito: un piccolo bambino.

Perché, potremmo chiederci, i Magi riuscirono a trovare nel Bambino ciò che cercavano?

Probabilmente perché entrambi – sia i Magi che quel Bambino – erano pellegrini. Gesù è il pellegrino che viene dal Padre, che viene dal mondo di Dio nel nostro mondo; egli è la carne visibile di un Dio che si è fatto “pellegrino del finito”, alla ricerca dell’uomo.

Oggi – lo ricorderemo tra poco anche nella preghiera eucaristica, “nel giorno santissimo in cui il tuo unico Figlio, eterno con Te nella gloria, si è manifestato nella nostra natura umana” – si realizza un incontro prodigioso: l’uomo pellegrino dell’infinito, incontra e riconosce Dio, pellegrino del finito. I due pellegrini si incontrano, le due mete si fondono insieme, senza confusione, in colui che è veramente Dio e veramente uomo.

Come i Magi, dunque, senza paura di trovare Dio che ci viene incontro e ci chiede di cambiare la vita, di rinunciare alle gioie effimere che ci sono proposte dal mondo per puntare tutto su di Lui vera ed unica gioia che non finisce, anche noi in questa solennità impegniamoci a divenire pellegrini di infinito. Nei Magi siamo rappresentati tutti. Sì tutti gli uomini chiamati ad essere pellegrini di infinito, destinatari della chiamata alla salvezza che in Cristo si mostra a tutti.

La tradizione vuole che i Magi venissero dall’Oriente ossia da culture diverse, quasi come se fossero delegati dagli abitanti di ogni parte della terra.

In questo giorno dell’Epifania – che significa manifestazione – ci piace pensare come il Figlio divino voglia manifestarsi a tutti i popoli, voglia manifestarsi al alcuni perché si facciano missionari del Suo amore, della Sua bellezza, della Sua misericordia a tutti i popoli. E tutti i popoli possano provare grazie alla predicazione missionaria la gioia profondissima che provarono i Magi.

La festa di oggi è dunque anche festa missionaria. Se uno riesce a cogliere il mistero di amore infinito di Dio non può tenerlo per sé, è chiamato assolutamente a condividerlo. Questa consapevolezza farà esplodere il cuore missionario di San Paolo che metterà tutto il suo ministero a servizio di questo annunzio gioioso e universale: “Le genti sono chiamate in Cristo, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e a essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”.

La liturgia di oggi ci ha fatto ripetere: “Ti adoreranno Signore tutti i popoli della terra”.

Il nostro essere pellegrini dell’infinito deve essere dunque fatto insieme, è per tutti, e tutti dobbiamo coinvolgere tutti per andare verso quell’infinito che nel piccolo Bambino di Betlemme si rende finito per farsi incontrare.

Sì, cari amici, la festa di oggi non solo ci invita ad accogliere la gioia che viene da Colui che ci salva con la sua nascita, passione, morte e risurrezione riportandoci nella dimensione infinita di Dio da cui proviene. Ma ci invita anche a far sì che tutti gli uomini della terra si mettano in processione con i Magi verso quel Dio che è vicino all’uomo, che l’uomo non deve mai smettere di cercare perché Lui si fa trovare per indicarci la strada, la strada giusta per raggiungere la vera gioia. Una gioia non effimera ma che riempie il cuore e dà senso alla vita.

Gesù, possiamo dunque dire che è il volto finito e visibile dell’infinito e invisibile Pellegrino che va continuamente in cerca dell’uomo per salvarlo con il suo amore. Gesù è colui che ci raduna tutti in un pellegrinaggio universale per rivelarsi alle genti come amore salvifico del Padre destinato a noi e a tutti gli uomini e alle donne della terra.

A noi è chiesto di riconoscerci desiderosi di infinito, desiderosi di incontrare Dio e di metterci e rimanere costantemente in cammino in ricerca di Lui, di Lui che ci viene incontro e che una volta scoperto, riconosciuto, ci chiede di donargli, come fecero i Magi oro, incenso e mirra. Ossia tutto perché quel Bambino ci dona tutto, ci rivela tutto, illumina tutto. È la vita nuova che ci libera dalla vecchia – quella nella quale Erode avrebbe voluto rimanessimo per continuare a dominarci con una vita che rende schiavo l’uomo di qualche altro uomo più potente di lui –. Dio invece libera, salva, dà significato alla vita.

Per questo apriamo i nostri scrigni. Lo scrigno dà l’idea di qualcosa che possediamo e che vorremmo tenere per noi tanto è prezioso. Davanti a Dio apriamo i nostri scrigni per dargli il nostro oro che è la nostra ricchezza; per dargli il nostro incenso, che è il nostro onore, il nostro ruolo; e per dargli la nostra mirra, l’unguento per ungere i morti, ossia le nostre tecniche per rendere profumate le nostre morti, per cadere in piedi in ogni occasione. Apriamo i nostri scrigni, diamo al Bambino finito che si manifesta a chi lo cerca, i nostri possessi, i nostri ruoli, le nostre strategie e così, liberi, fiduciosi di Lui che si rivela a noi, andiamogli incontro sicuri che Lui si dà molto di più di ciò che noi pensiamo sia importante: Lui ci assicura l’infinito, ci conduce là dove la gioia è profondissima e duratura: l’eternità beata! Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina