Omelia alla Santa Messa di Ordinazione Presbiterale del diacono don Francesco Santino De Marco

Subiaco, Basilica di Sant’Andrea Apostolo, Sabato 21 novembre 2020

Carissimo Don Francesco,

giungi all’ordinazione presbiterale nella Solennità di Cristo Re.

Una tappa della tua vita che raggiungi per la somma benevolenza di Dio, della Chiesa e per l’assenso della tua volontà.

Nell’Antico Testamento, da cui è tratta la prima lettura presa dal libro del profeta Ezechiele, appare come Israele ha sempre compreso Dio. Dio, a differenza degli altri popoli, è sempre stato visto da Israele quale re perché soccorre e aiuta, rende giustizia e libera. Requisiti regali con i quali Israele ha sempre confrontato la regalità degli uomini, dei suoi sovrani. In altre parole: per l’antico Israele un re è più o meno buono se rispecchia o meno il modo di agire di Dio. E Dio è innanzitutto misericordia, amore, e il suo Regno – viene ribadito anche nel Nuovo Testamento – appartiene ai piccoli, ai poveri, ai perseguitati a causa della giustizia …

Nel libro del Profeta Ezechiele si contestano i falsi pastori. I pastori che erano appunto i re per Israele. Ezechiele li contesta e accusa perché spesso i pastori umani “usano e sfruttano” le loro pecore, i loro sudditi. Usano la loro lana, il loro latte, le loro carni pur di trarne il massimo profitto personale. Vengono elogiati invece i veri pastori che stanno in mezzo alle loro pecore, le accudiscono, le portano ai pascoli migliori e se ne prendono cura, come ha fatto Gesù e come dovrai fare anche tu, le vanno a recuperare a costo di mettere pure a repentaglio la loro propria vita.

Certamente i pastori traggono anche vantaggio dalle loro pecore ma il vantaggio è tanto più grande quanto più le pecore sono amate e accudite, amate e servite.

Gesù dunque è re. Un vero re. Ma proprio perché cerca le sue pecore, le raduna da tutti i luoghi in cui si erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine – potremmo pensare ai giorni in cui non si vede il pastore e quindi ci si perde per le strade che sono nostre e non di Dio e spesso conducono a sentieri scoscesi se non addirittura a burroni pericolosi –. Gesù è un vero re-pastore che va in cerca della pecora perduta per ricondurla all’ovile, che fascia quella ferita e cura la malata, ha cura della grassa e della forte, le pasce tutte con giustizia!

Ebbene, caro Don Francesco, mentre ti accingi ad essere sacramentalmente configurato a Cristo capo e pastore vorrei tanto raccomandarti di ricordarti sempre – così come dobbiamo ricordarci tutti – che siamo innanzitutto pecore – a volte brillanti, a volte limitate e peccatrici – che però Gesù è venuto a salvare.

Non solo: che Gesù, nel tuo caso, è venuto a chiamare per associarti da stasera in poi a coloro che in Suo nome sono chiamati e inviati per grazia, a pascere, a guidare servendo, sporcandosi le mani, con pazienza e umanità grande, con il grembiule del servizio più che con lo scettro del comando, il gregge dei suoi figli e delle sue figlie.

In altre parole, come spesso ci ricorda Papa Francesco, da stasera sei chiamato anche tu a stare con le pecore che ti saranno affidate, ad averne il profumo per condurle verso Dio, verso il giorno del giudizio dove Gesù siederà sul suo trono per giudicare loro ma anche e prima di tutto te.

Vedi, caro Francesco, hai atteso a lungo questo giorno. Lo hai forse sognato fin da quando hai sentito la chiamata del Signore. A volte hai pensato che non sarebbe mai giunto. Ma non è questo che conta. Gesù e la Chiesa oggi ti danno fiducia! Tra poco sarai sacerdote per sempre, tra poco ti imporrò le mani, reciterò su di te la preghiera consacratoria, sarai rivestito degli abiti sacerdotali, ungerò con il Crisma le tue mani, porrò in esse il pane e il calice con il vino perché tu possa da oggi in poi celebrare la Messa ogni giorno così come ci ha comandato di fare Gesù in Sua memoria. Da stasera riceverai le facoltà per perdonare i peccatori. Ma tutto questo non per te. Ma perché tu attraverso il ministero che eserciterai possa prepararti a presentarti davanti al giudizio di Dio e con te tu prepari servendoli e amandoli tutti coloro che incontrerai o andrai a cercare, facendo progressivamente di te stesso un’immagine sempre più autentica dell’amore grande che Dio in Gesù manifesta a tutti gli uomini, chiamati tutti un giorno a presentarsi al giudizio finale di Dio.

La scena del giudizio ci è stata descritta nel Vangelo.

È una scena che nel Vangelo di Matteo da cui è tratta viene posta immediatamente prima del racconto della Passione di Gesù.

La paragonerei al fuoco con il quale si purificava l’oro. Il fuoco brucia tutto ciò che è impuro affinché resti soltanto ciò che vale. E ogni volta che ascoltiamo questo testo rimaniamo sconcertati. Alla fine ciò che resta è soltanto l’amore. L’amore che Gesù realizzerà pienamente e manifesterà a tutti sul trono regale della Santa Croce, fuori dalle mura di Gerusalemme.

Anche San Giovanni della Croce richiama questo sintetizzandolo così: “Alla sera della vita, ciò che conta è aver amato!”. E così San Paolo ripete questo concetto nell’Inno alla Carità di 1 Cor 13. Potrei parlare anche tutte le lingue degli uomini – scrive – anche quelle degli angeli … ma non servirebbe a nulla. Potrei avere anche il dono della profezia, conoscere tutti i misteri della scienza … addirittura avere anche tanta fede da trasportare le montagne, dare in elemosina tutti i miei beni o anche il mio corpo ma se non ho la carità non serve a nulla perché solo la vera carità non avrà mai fine.

Caro Don Francesco questo è il segreto del prete. Amare come ha amato quel re che ci giudicherà. E amando insegnare ad amare tutti coloro che Dio porrà sulla tua strada affinché nel momento finale della vita quel re amorevole e misericordioso ci riconosca e ci ponga alla sua destra risparmiandoci il fuoco eterno. Che vita sprecata sarebbe quella di noi preti e Vescovi, ma anche quella di ogni cristiano se volessimo vivere da preti, da Vescovi, da cristiani ma senza amare veramente!

L’amore di cui parla il Vangelo di oggi non è un vago sentimento ma è concreto, anzi direi concretissimo! È l’amore del dar da mangiare, da bere, è l’azione del vestire e dell’accogliere, del tempo per andare a visitare, ascoltare, confortare. L’amore non è una questione di cuore ma di mani, di piedi, di ginocchia e di spalle.

Ebbene, chiediamoci e soprattutto tu, caro Don Francesco, da stasera domandati sempre, quasi fosse il tuo esame di coscienza quotidiano: quanto tempo ho dato durante la mia giornata presbiterale a questo amore che è servizio? Quanto tempo ho dato per mettere in pratica il Vangelo che leggiamo nel capitolo tredicesimo di Giovanni il Giovedì Santo quando ci attenderemmo il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia e invece la Chiesa ce ne fa comprendere il significato invitandoci a fermarci sul gesto della lavanda dei piedi che Gesù compie così come usava fare lo schiavo di casa nei confronti degli ospiti e poi esorta: “Voi mi chiamate maestro e Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”.

Caro Don Francesco prenditi sempre cura, nel ministero che inizi stasera, in un tempo dove scopriamo tutti di essere fragili a causa della pandemia ma anche dei tanti vizi che scopriamo ormai pubblicati ovunque di tante singole persone, della politica, del malaffare, di persone che fino a ieri ritenevamo corrette, e anche – ahimè – della Chiesa … prenditi cura della sete, delle tante nudità, delle tante forme di prigionia delle persone che ti sono e ti saranno accanto. Non pensare troppo a te stesso, al tuo servizio, alle tue amicizie, alla tua famiglia, al tuo tempo libero … e anche se ti invito a spenderti totalmente con me e il presbiterio di Tivoli e di Palestrina con tutte le forze per il Vangelo, non pensare nemmeno troppo al tuo lavoro ossia a ciò che potrebbe riempirti di orgoglio, che spesso ci conduce a perseguire i nostri interessi personali facendoci a volte deviare dall’obbedienza al Vescovo e al popolo santo di Dio perché pur di pensare di raggiungere i nostri fini più o meno nobili troviamo sempre la scusa giusta per dribblare il Vescovo, il presbiterio, la comunità che mi è affidata, il tempo per la preghiera … e aggiustare tutto pur di fare i nostri comodi … E anche se ciò che tu pensi sia giusto fosse la cosa migliore paragonandola a quello che fanno e sono gli altri ma portandoti ad un autoisolamento o a richiuderti nel tuo gruppetto di amicizie tra coloro che pensano di sapere tutto e avere in tasca la verità, non crederci mai troppo. Tutto, rispetto all’amore è nulla, è un cembalo che tintinna – direbbe San Paolo –!

Tu vivi invece – ed è quanto desidero affidarti in questa sera speciale della Tua vita – fino alla fine dei tuoi giorni, amando facendoti servo, vivendo nell’umiltà, facendoti piccolo, nascosto, silenzioso … così facendo sarai un seme dal quale potrà germogliare e crescere l’albero più grande di tutti sul quale tutti desidereranno dimorare: l’albero della vita eterna! Quella vita eterna alla quale punti accogliendo per sempre la chiamata al sacerdozio e alla quale per attrazione e non per imposizione o spronando in maniera neo-pelagiana ad uno sforzo personale che pur ci vuole per rispondere all’Amore di Dio, dovrai attrarre tutti coloro che da stasera incontrerai come prete.

Caro Don Francesco, con questi sentimenti, che si fanno preghiera per te e per tutti noi cristiani e fratelli in questo presbiterio nella Chiesa di Tivoli e di Palestrina, nella Chiesa e nel mondo intero, affidandoti a Maria Santissima di cui stamane abbiamo celebrato la memoria della Presentazione e augurandoti di essere come Lei: tutto di Dio, procedo ora ad ordinarti presbitero. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina

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