Omelia alla Santa Messa Esequiale di Don Romeo Mancini

Palestrina, Parrocchia della Sacra Famiglia, Martedì 16 giugno 2020

Carissimi sacerdoti, fratelli e sorelle tutti nel Signore!

Celebriamo le esequie di Don Romeo che domenica scorsa, Solennità del Corpo e Sangue del Signore, dopo aver celebrato la Santa Messa presso la sua abitazione mentre qui Don Franco Ferro presiedeva per la prima volta l’Eucaristia, dopo il pranzo ed essersi ritirato, durante il riposo ha terminato il suo cammino terreno e ha incontrato il Dio di Gesù Cristo, quel Dio che per tutta la vita aveva cercato tramite percorsi anche difficili e accidentati ma che alla fine ha trovato e riconosciuto come l’Unico salvatore, la vera pace, l’Unico che sfama e disseta ogni fame e sete di verità che l’uomo possiede.

Don Romeo, che molti di voi hanno sicuramente conosciuto meglio di me, era nato il 18 aprile 1930. Proprio il 18 aprile l’ho sentito per l’ultima volta per fargli gli auguri per il suo 90° compleanno trovandolo, come sempre, sereno, un po’ più affaticato del solito – mi diceva – ma sereno e grato a Dio per il dono della vita e anche per la semplice telefonata del Vescovo …

Don Romeo era così: un uomo sereno e grato, finalmente pacificato con se stesso, con gli altri e con Dio della cui volontà è stato un forte cercatore.

Alunno del Seminario Romano, fu ordinato sacerdote il 17 marzo 1956 ed è sempre stato un gran bravo prete! Ieri un Vescovo Ausiliare di Roma che lo aveva avuto come Prefetto in Seminario mi confermava l’idea che aveva sempre offerto a tutti coloro che lo hanno incontrato: un sant’uomo! E mi diceva la sua riconoscenza per averlo avuto come superiore.

Tuttavia, dicevo, non sempre la sua vita sacerdotale è stata semplice. Per un certo tempo – per usare l’espressione della prima lettura tratta dal Libro delle Lamentazioni – anche lui ha potuto dire della sua vita: “Sono rimasto lontano dalla pace”!

Trascinato dalle correnti post conciliari che facevano credere che il prete deve stare maggiormente in mezzo alle persone – che è cosa giusta ma senza perdere la propria identità presbiterale –, travolto da un clima di contestazione generale dell’autorità dentro e fuori la Chiesa, si buttò come accadde anche per altri preti romani nell’esperienza dei preti operai. Probabilmente i migliori e i più generosi ma che per essere più preti, quasi senza accorgersene, si fecero prendere dal voler realizzare con le loro mani la salvezza che invece può venire soltanto dal Signore, e così Don Romeo per coerente conseguenza delle sue convinzioni dopo una esperienza di lavoro come muratore giunse a lasciare l’esercizio del sacerdozio ministeriale nel 1987.

Tuttavia egli era come è stato fino all’ultimo profondamente prete, veramente prete, e non abbandonò mai il Signore.

Abbandonato l’esercizio del ministero continuò a vivere la vita cristiana, a nutrirsi del corpo e sangue di Cristo, di quel pane che come ci ha detto il Vangelo – lo stesso di domenica scorsa, l’ultimo che ha letto Don Romeo nell’ultima Messa della sua vita – “chi ne mangia vivrà in eterno”. Ed è stato proprio in questa frequentazione quotidiana della Santa Messa, l’incontro con sacerdoti suoi compagni di seminario, di suoi amici, del vostro Parroco che piano piano fecero riaffiorare in lui il desiderio mai spento di essere ministro del Signore, ministro di quel corpo e sangue di Gesù che fa la Chiesa, che sfama il popolo di Dio nei suoi pellegrinaggi nel deserto della vita perché comunica a chi ne mangia il contenuto stesso dell’Eucaristia: l’Amore di Dio per noi. Un Amore che ci lava i piedi, un amore donato gratis, un amore che riempie il cuore, lo pacifica e lo rende costruttore di comunione, messaggero della gioia del Vangelo.

Don Romeo ha compreso ciò che vuol dire che “È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” ossia come la salvezza “viene” dal Signore, da Dio che si è talmente tanto appassionato alla nostra sorte di piccoli esseri umani da entrare nel clamore della storia in Gesù. In Gesù che ha scelto la via del silenzio per portarci a salvezza e non quella dell’impegno sociale a favore degli uomini che è pure importante ma che senza fondamento in Dio non salva, anzi può talmente sbilanciarci verso gli uomini da farci perdere il riferimento all’Unico necessario. E così ha riscoperto Gesù che per nascere ha scelto la via della fragilità silenziosa di un piccolo bambino nella confusione della Palestina del suo tempo, che da adulto ha scelto di confrontarsi con la folla che gridava a favore di Barabba. Che non è stato assordato dagli insulti dei soldati sulla croce, né da quelli del ladrone malvagio che lo provocava ma che ha sussurrato al buon ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso”. E così in questo suo arrendersi nel fare per lasciare fare a Dio, ha trovato la pace che cercava, ha sperimentato la speranza e la bontà che il Signore dona a chi lo cerca.

Una bontà e una speranza, la Misericordia Divina, direi, che tornato sui suoi passi sperimentò nuovamente quando nel 2006 il Santo Padre Benedetto XVI accolse il suo desiderio di tornare a vivere il sacerdozio ministeriale riammettendolo ad esso.

Da allora, accolto amorevolmente in questa parrocchia, accudito fino all’ultimo da una famiglia dell’Albania e – mi permettete – da Anna Anselmi che è stata a lui vicina e che con Don Franco Proietto e tutta questa comunità presbiterale e parrocchiale desidero ringraziare, ha vissuto appieno il suo sacerdozio ministeriale comprendendo ormai ciò che era essenziale: la Messa, il sacramento della Penitenza, l’ascolto delle persone, la carità!

E così ha vissuto fino al momento del grande incontro edificando tutti noi. Ricordo circa tre anni fa il mio primo incontro con Don Romeo in una gelida mattina seduto alla sua scrivania. Già vedere il suo volto, il suo atteggiamento umile, il suo sorriso incorniciato da una barba da saggio facevano scorgere in lui un bravo prete, il prete dal quale non avresti esitato – come non avete esitato in tanti tra voi – a sederglisi davanti per aprirgli il cuore affinché lui potesse trasmettere quella pace, quella Misericordia che si vedeva aver sperimentato e sperimentare ancora, ogni giorno, sulla sua pelle.

In questa Messa, affidiamo dunque l’anima di Don Romeo al Signore Gesù Cristo, certi che per il pane e vino, il corpo e il sangue di Gesù di cui si è sfamato e dissetato e ha dispensato fino a domenica, mentre mi piace pensare che Don Franco Ferro prendesse da lui il testimone per continuare a correre per le strade dell’apostolato che presuppone lo stare con il Signore e lasciarsi incontrare da Lui che per primo ci viene incontro per riempirci di quell’Amore che nessuno può trattenere per sé, lo abbia già introdotto là dove abbiamo la nostra cittadinanza: nei Cieli. Quei cieli dai quali Don Romeo ha atteso, come dovremmo fare tutti noi quotidianamente il Salvatore, il Signore Gesù Cristo che trasfigurerà il nostro corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose a partire dalla morte che grazie a Lui è stata vinta per sempre e il cui pungiglione non può più nulla su di noi destinati alla vita, sì alla vita eterna. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina