Omelia Alla Santa Messa In Coena Domini 2024

Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Giovedì Santo 28 marzo 2024

Carissimi fratelli e sorelle,

con questa celebrazione entriamo nel Triduo Pasquale, i tre giorni che la Chiesa ci invita a celebrare come se fossero uno, per giungere alla celebrazione della Pasqua di Cristo.

Entriamo dunque in questo Triduo Santo con la celebrazione di un gesto profetico: prima di essere catturato, condannato, messo a morte per poi risorgere, Gesù dona se stesso come cibo nella notte in cui venne tradito.

Viene tradito e risponde donando se stesso: dapprima nel segno del pane e del vino e successivamente sulla croce, amando e perdonando fino all’ultimo respiro.

Ma fermiamoci sul Giovedì Santo: giorno dell’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, giorno del comandamento nuovo: “come Io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.

Gesù è a Gerusalemme con i suoi discepoli e anche Lui vuole celebrare la Pasqua con loro.

È la Pasqua ebraica che celebra il passaggio del popolo eletto attraverso il Mar Rosso, il passaggio dalla schiavitù al servizio di Dio nella libertà. E a questa Pasqua Gesù dà un nuovo significato, la Pasqua così diverrà per noi la “Pasqua di Gesù”.

Nella Pasqua Ebraica ci si riuniva e anche ora ci si riunisce non in grandi comunità ma per famiglie, caso mai alcune famiglie si riuniscono insieme per poter mangiare lo stesso agnello pasquale. Ma mi piace sottolineare questa riunione per piccoli gruppi, per comunità.

Anche noi vorrei che ci sentissimo qui convocati, come dovrebbe esserlo ogni domenica, come comunità. Comunità alle quali non preoccupa il numero di aderenti ma lo spirito che ci unisce.

Per fare Pasqua occorre essere famiglia, sentirsi legati da vincoli di prossimità, amore, amicizia, empatia, perdono. Domandiamoci se la nostra comunità è così? Ed è qui anche il motivo per cui non possiamo partecipare – se non nel caso di anziani e ammalati – da casa alla celebrazione dell’Eucaristia: in comunità si creano e coltivano legami, amicizie, a volte si può anche litigare ma poi ci si perdona.

Se nel tempo della pandemia abbiamo usufruito dei mezzi digitali per partecipare alla Messa ora non è più il tempo. Dobbiamo tornare alla relazione – ripeto – se non nei casi di chi per serie ragioni non può essere tra noi fisicamente e che ricordiamo nella preghiera comunitaria e ai quali portiamo, al termine della Messa l’Eucaristia.

E nella comunità cosa avviene?

Gesù, come abbiamo sentito, prende pane e vino e istituisce l’Eucaristia con le parole: “questo è il mio corpo che è per voi”, “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue”, e poi aggiunge – e così istituisce il sacerdozio ministeriale – “fate questo in memoria di me” spiegando che ogni volta che mangiamo questo pane e beviamo a questo calice, noi annunciamo la morte del Signore, finché egli venga. Ossia ci impegniamo con l’esempio e con la vita, tutti – preti e laici che vivono il sacerdozio comune dei fedeli – ad annunciare fino al ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi, quanto è contenuto nel pane e nel vino consacrati: l’amore grande di Dio per noi che si rivela in Gesù che si fa nostro servo per amore, che dona la sua vita per amore nostro e del mondo intero e risorge per assicurare a tutti i credenti in Lui amore e vita eterna.

Al dono di sé significato nel pane e nel vino dati per noi “nella notte in cui veniva tradito” – notate il grande contrasto tra il modo di fare nostro e quello di Gesù –, il Signore e Maestro spiega il contenuto stesso del pane e del vino, dell’Eucaristia, che noi – vescovo e presbiteri – ogni giorno presiediamo con le nostre comunità e alle quali i laici, il Vescovo e i presbiteri partecipano insieme per vivere insieme quanto nell’Eucaristia è racchiuso.

Gesù spiega il contenuto dell’Eucaristia con il gesto suggestivo della lavanda dei piedi: Lui che è venuto da Dio e sapendo che è giunta la sua Ora, l’ora di tornare al Padre da cui era venuto, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo ma che non lo hanno compreso ed accolto, li ama sino alla fine e compie un gesto di significato profondissimo.

Si alza da tavola, e alzato, ossia in tutta la sua dignità, nella sua verticalità che dice rapporto tra il Padre che è nei Cieli e Lui, depone le sue vesti – si umilia come leggiamo in Filippesi 2, svuota se stesso, quello svuotamento che giungerà a perfezione sulla croce –, si cinge di un asciugamano intorno alla vita, e comincia a fare il gesto che facevano gli schiavi di casa verso gli ospiti. Si china davanti ai discepoli, si china stasera davanti a noi, traditori come i suoi e forse più dei suoi, e ci lava i piedi, una delle parti meno nobili del corpo, quella a contatto con il suolo, quella che ci ricorda che senza essere amati da Dio non possiamo certo volare in alto.

Terminato questo gesto di amore che l’uomo peccatore fatica ad accettare perché è difficile lasciarci amare gratuitamente, ci fa venire dei sensi di colpa … Gesù spiega il gesto: “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.

Questo gesto è profetico rispetto a quanto realmente accadrà il giorno successivo. A quanto celebreremo domani: il darsi per amore sulla croce, per poi – è quanto celebreremo sabato notte e domenica e nei giorni successivi – vincere la morte con la Risurrezione per cui grazie al dono dello Spirito Santo il pane e vino donati diverranno per sempre, in ogni Messa, presenza del dono di amore totale di Dio per noi affinché pieni di amore, lavati dal Suo amore, anche noi amiamo gli altri e li serviamo così come Lui ci ha dato l’esempio.

Cari fratelli e sorelle, voi comprendete allora come non è possibile celebrare e ricevere l’Eucaristia se non ci sentiamo comunità. Povera comunità, comunità di peccatori, ma comunità amata da Colui che ha dato il suo corpo e il suo sangue per noi.

Voi comprendete come la celebrazione odierna sia impegnativa per i nostri legami. Quanta divisione nella Chiesa, nelle nostre comunità, quanta divisione nella comunità degli uomini tutti a cui Gesù con il suo amore vuol giungere tramite noi – preti e fedeli laici – tramite l’esempio che non possiamo non far nostro dopo aver celebrato insieme l’Eucaristia ed esserci cibati del pane e del vino, sacramenti del suo corpo e del suo sangue, dati per noi e per tutti.

Uniti alla Pasqua di Gesù, presente nel sacramento del corpo e sangue del Signore che tra poco spezzeremo e condivideremo, compiamo allora il gesto eloquente della lavanda dei piedi ed impegniamoci a vivere come comunità cristiana.

Nel mondo odierno così ostile alla fede sosteniamoci a vicenda nel viverla e trasmetterla, nell’annunciare a tutti la bellezza dell’amore di Cristo morto e risorto per noi e per tutti. Evangelizziamo, ossia testimoniamo l’amore di Dio per noi non come da una cittadella assediata e nella quale ci arrocchiamo per difenderci, ma con libertà e apertura verso tutti. Libertà interiore, che ci permette di proporre a tutti con la vita più che con le parole che siamo degli amati da Dio e libertà verso coloro a cui proponiamo l’amore di Dio manifestatosi pienamente in Gesù senza crociate ma con il cuore e la vita al loro servizio, con umiltà, camminando con loro insieme con pazienza, caso mai anche per lunghissimi tempi e forse non arrivando a vedere in loro alcun cambiamento, ma perseverando nell’essere comunità che non guarda troppo al suo interno, al suo ombelico, ma che guarda fuori, che desidera essere in uscita per far sentire sui piedi di tutti la freschezza dell’acqua dell’amore di Dio che ci lava i piedi, che ci serve fino a morire e risorgere per noi per darci la vita e darcela in abbondanza.

Con questi sentimenti, procediamo ora al rito della lavanda dei piedi. E mentre compirò personalmente questo gesto, non guardiamo alla coreografia ma lasciamoci lavare i piedi ma anche il capo – come disse Pietro – per rinascere con Cristo a una vita nuova dove la parola donazione e amore per chi tradisce non sia soltanto sua ma di ogni discepolo che si sente amato e perdonato da Gesù. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina