“Per fare un uomo ci vuole un villaggio…”
Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Domenica 1° marzo 2020
Cari amici, e in particolare voi che state partecipando attivamente al Convegno organizzato dal Servizio diocesano di pastorale giovanile delle Diocesi di Tivoli e di Palestrina sul tema dell’educazione e dell’educazione alla fede! A tutti un caro saluto.
Il tema del Convegno al quale stiamo partecipando è stato sintetizzato con la domanda: “Cosa serve … per fare un cristiano?” aggiungendo come sottotitolo un proverbio africano che in sé potrebbe essere già la risposta a questa domanda: “per fare un uomo ci vuole un villaggio …” proprio come anche per fare un cristiano, aggiungerei, poiché l’uomo è tale quando scopre la sua dimensione religiosa, quando trova e ripone in Dio – speranza affidabile – la sua fiducia. Quando trova Colui che in fondo è presente nel suo cuore e può rispondere alle sue tante domande di senso – implicite ed esplicite – alle quali per dare risposta occorre che insieme – e qui non affiderei soltanto il compito alle famiglie, agli adulti, ai sacerdoti, ai catechisti, agli insegnanti, ma INSIEME … – insieme cerchiamo Colui che è intimo a noi più che noi a noi stessi.
Come non ricordare qui le parole di Sant’Agostino che dopo essere venuto alla fede, dopo essersi convertito a Dio dopo una vita dissoluta, grazie alla paziente coerenza di vita della madre, il costante accompagnamento del suo consigliere spirituale: il Vescovo Sant’Ambrogio, dopo aver letto la Parola di Dio, giunge a scrivere quella frase meravigliosa:
«Tardi ti ho amato,
bellezza così antica e così nuova,
tardi ti ho amato.
Tu eri dentro di me, e io fuori.
E là ti cercavo.
Deforme, mi gettavo
sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
che dice a tutti come in fondo Dio sia nel cuore di ciascuno? E che quindi è possibile anche oggi fare un cristiano? Ossia permettere a ciascuno di trovare Dio che è in noi, nel vecchio come nel giovane, nell’adulto come nel bambino?
Questa prima domenica di Quaresima, grazie alla Parola di Dio che ci viene proposta dalla liturgia, ci può aiutare a trovare la via per fare un cristiano.
Gesù, abbiamo ascoltato nel Vangelo, è condotto nel deserto e lì è tentato.
Il deserto è un luogo di solitudine. Luogo nel quale non ci sono relazioni e occupazioni che ci assorbono e distraggono. Luogo nel quale non possiamo non ascoltarci così che escano fuori le ombre e le belve che abitano dentro di noi, le nostre paure, angosce, concupiscenze.
Qui vorrei già dare una prima risposta a chi oggi si è posto o si pone la domanda “come fare ad educare ad essere cristiano?”.
Prima risposta: rimettiamoci in contatto con noi stessi. Con il nostro più intimo. E aiutiamoci vicendevolmente a fare questo.
In questo lavoro che potremmo definire “di entrata nel deserto” non dobbiamo pensare che si debbano abituare soltanto i giovani ma tutti dobbiamo imparare a rientrare nel deserto. Tutti: giovani, ragazzi, famiglie, adulti, sacerdoti e insegnanti … tutti siamo ormai troppo invasi da messaggi devastanti e disorientanti che ci vengono dall’esterno e non ci permettono di sapere chi siamo, dove vogliamo andare, di esercitare la nostra libertà con maturità, senza giustificare tutto e tutti o addirittura divenire complici nell’usar male la nostra libertà, bensì essere capaci di metterla in relazione con l’amore di Dio che non viene mai meno e insieme accogliere il suo Amore e vivere per Lui e con Lui.
Dobbiamo, come ha fatto Gesù, entrare nel deserto affinché in questo tempo di indigenza, di contrarietà, di aridità dove i piaceri e le consolazioni del mondo non si placano e dove così si fa più forte in tutti noi un senso di insoddisfazione, alienazione e mortificazione. Un clima dove ci appaiono come sono apparse a Gesù le tre tentazioni che diventano, se affrontate e superate con Gesù, come antidoti alla solitudine, all’affanno, alla vertigine al vuoto. In fondo è l’esperienza che tutti facciamo: quella di una grande insoddisfazione, di una sorta di demotivazione, di una ricerca di piaceri che non ci danno la felicità … e allora dobbiamo fare un po’ di silenzio dentro e intorno a noi e dare un nome, innanzitutto alle tentazioni che assalgono un po’ tutti.
Se fino a qualche decennio fa potevamo infatti invitare alcune categorie – famiglie, adulti, sacerdoti, catechisti, insegnanti … – a fare rete per educare i più giovani, oggi pur rimanendo sempre valido l’invito, occorre però comprendere che tutti siamo diventati più fragili, vulnerabili, incapaci di educare alla vita e alla fede perché tutti vittime di tentazioni che ci assalgono e ci rendono non credibili ai giovani – ma anche ai meno giovani – che cercano testimoni più che maestri. Non testimoni perfetti e irraggiungibili ma che proprio perché anche loro nell’affanno del mondo si mettono in gioco, cercano il deserto, affrontano con Cristo le tentazioni e in modo alternato vincono e trasmettono non un cristianesimo perfetto ma ciò che sono le loro piccole o grandi conquiste, piccoli o grandi passi compiuti al seguito di quell’unica speranza affidabile che è Cristo.
Tornando al Vangelo mi piace pensare come Gesù che è tutta luce abbia permesso a satana di mostrargli le tentazioni. E lo ha permesso perché è solidale con noi dove le tentazioni occupano già i tanti spazi freddi e feriti del nostro intimo.
Provando ad entrare in un deserto positivo, dal quale desideriamo uscire cresciuti, cerchiamo allora di guardare alle tentazioni che non ci permettono di essere cristiani.
La prima tentazione è il pane: trasformare il mondo intero in soddisfazione dei propri bisogni. La fame si trasforma presto in esigenza di determinati cibi e poi in mille altri idoli: auto, viaggi, vacanze, fino alla ricerca di felicità effimere: denaro, droga, alcool, sesso senza regole, mancanza di impegni definitivi da assumere nella vita per vivere la logica del “vivi alla giornata e soddisfa i tuoi bisogni” … I bisogni che la società dei consumi sa bene che sono infiniti, la cui fame è insaziabile …
La seconda tentazione è l’ammirazione: stare sotto la luce dei riflettori, diventare famosi, avere un grande numero di followers che ci seguono, essere riconosciuti da tutti come i migliori. Fuochi di artificio che illuminano la notte ma per poco, dopo di che ripiomba il buio della notte. È la tentazione di voler essere tutti un po’ “star” in questo mondo.
La terza tentazione universale è il potere: avere tutto e tutti nelle proprie mani. Un delirio di onnipotenza che ormai pervade un po’ tutti per cui gli altri devono dipendere da me: io sono il centro di tutto … fino a quando poi scopriamo che c’è sempre qualche Mangiafuoco più potente di noi che usa anche noi come burattini impedendoci la libertà, quella libertà nella quale dobbiamo muoverci non per fare ciò che ci piace e soddisfa lì per lì, ma per farla incontrare con chi può veramente darci speranza, felicità che non finisce … l’Unico che ci può togliere dal deserto non più visto in positivo come spazio da cercare e nel quale riflettere, ma soltanto in negativo: con gli affanni, la tristezza, la delusione, la demotivazione, il senso di solitudine che esso genera in noi affinché, estenuati, giungiamo ad arrenderci a quanti vogliono usarci.
Le tentazioni, dunque, come il deserto, possono portare a perdersi e a morire. Il denaro, il successo, portati all’eccesso possono portarmi a spegnere la gioia di vivere, la bellezza di vivere. Ma le tentazioni come il deserto sono altresì uno spazio da attraversare per arrivare a sentire tutta la fame e sete che siamo: fame e sete di essere accuditi, benedetti, lodati, rassicurati, accarezzati, di essere amati!
Credo che insieme dobbiamo proprio fare questa primaria opera per “fare un cristiano”, rimetterci e rimettere chiunque incontriamo sulla nostra strada in contatto con il suo intimo più vero e profondo affinché scopra le sue tentazioni e le smascheri.
E poi, facendo leva su queste piccole crepe che apriamo per dire veramente chi siamo, occorre che ciascuno proponga all’altro, non dal pulpito, non dall’alto, ma facendosi compagno di strada, costruendo relazioni empatiche, di amicizia e condivisione di esperienze più che di formule belle ma astratte e non vissute; proponga con la vita più che con le parole, il Vangelo. Il Vangelo che è buona notizia. La buona notizia che c’è un Dio ai cui occhi siamo preziosi (Is 43,4), che conosce persino il numero dei capelli del nostro capo (Mt 10,30) e sul cui seno possiamo riposare sicuri (Gv 13,25).
Un Dio che non è speranza affidabile soltanto perché potremo vivere nel suo amore solo alla fine della vita ma già da adesso in questo deserto che viviamo e che se vissuto e attraversato con Lui può diventare già ora tempo e luogo di incontro e di comunione, di dolcezza e di pace, con angeli che ci custodiscono e ci servono.
Quegli angeli che dobbiamo diventare noi: gli uni per gli altri impegnandoci insieme ad educarci ossia a educare, a tirar fuori ciò che di buono c’è nel cuore di ciascuno, scoprire Dio che già vive in noi, che quando ci fermiamo si fa conoscere come fu per Sant’Agostino che cercava la felicità nelle creature senza trovarla ma che scoprì in se stesso, nel proprio cuore, dando una svolta incredibile alla sua vita e divenendo leggendo la Parola di Dio che rivela l’amore di Dio non soltanto un grande cristiano e Vescovo ma anche un grande Santo. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina