Omelia alla Santa Messa in occasione della IX Festa Diocesana della Famiglia

Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito, Domenica 15 settembre 2019

Cari amici, come ho già avuto occasione di dire più volte, tra le più belle iniziative che ho trovato nella Diocesi di Palestrina c’è certamente questa della Festa diocesana della Famiglia.

Sono pertanto contento di celebrare con voi l’Eucaristia al termine di questa giornata dove il Professor Francesco Belletti e la Professoressa Gabriella Ottonelli ci hanno aiutato a riflettere sul tema dell’educazione dei figli attraverso la testimonianza cristiana nelle famiglie di oggi.

Di figli, della loro educazione, dell’atteggiamento genitoriale, ci parla anche il Vangelo che ci è stato appena proclamato e sul quale vorrei soffermarmi con voi.

Innanzitutto permettetemi di cercare di uscire, soltanto per un poco, da una lettura teologico-spirituale che spesso diamo alla parabola cosiddetta del figliol prodigo o del padre misericordioso applicando subito al Padre celeste gli atteggiamenti del padre misericordioso che però, è ben altro dal padre della parabola.

Certamente i tratti del rispetto della nostra libertà, del venirci continuamente a cercare perché torniamo a Lui, sono i tratti della misericordia di Dio Padre ma nella parabola si parla anche d’altro.

Gesù parla di “Un uomo” … che “aveva due figli”. Quindi non parla del Padre celeste …

Due figli verso i quali ha esercitato male il proprio compito educativo. Il Professor Fulvio De Giorgi, Professore Ordinario di storia della pedagogia presso il Dipartimento di Educazione e Scienze Umane dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, in un suo recente volume che va ad arricchire le varie interpretazioni della famosa parabola, dal titolo: Il figliol prodigo. Parabola dell’educazione, tirando le fila delle varie discussioni teologiche che partendo dai Padri della Chiesa sono giunte fino a don Mazzolari, don Milani, padre Davide Maria Turoldo, il Card. Martini … sostiene che accanto alla lettura teologica che vede nel padre della parabola il modo di essere e di amare i suoi figli da parte di Dio, occorre affiancarne un’altra, una lettura di tipo psicologico e pedagogico, che permette di cogliere con maggior profondità il senso della storia raccontata da Gesù.

De Giorgi segnala come nella parabola siano comprese tutte tre le forme pedagogiche contemporanee: l’educazione autoritaria, l’educazione permissiva e quella liberatrice arrivando a parlare di “catastrofe educativa dirompente” rimarcata dall’assenza della figura materna per il figlio minore che chiede di cedergli la sua parte di eredità per potersene andare a zonzo per il mondo e alla cui richiesta il padre non si oppone restando in attesa di come prima o poi la storia andrà a finire con la speranza che prima o poi questo figlio faccia ritorno. Almeno, è quanto ci viene da pensare data la sua reazione di stupore e felicità quando il figlio minore, dopo aver sperimentato tutto ed essersi pentito, tornerà nella sua casa. Il figlio minore raffigura chi commette peccati e poi si pente, ritrovando la via giusta; dunque, un bel racconto morale fatto da Cristo, che a dire di De Giorgi si potrebbe anche chiamare “la parabola della madre assente”. Un’assenza non casuale ma che ci richiama alla necessità di instaurare con i figli, per educare, un dialogo esistenziale profondo, un dialogo pieno di amore e di tenerezza quel dialogo che in qualche modo il padre recupererà, secondo il ritratto dell’abbraccio del padre del figliol prodigo al momento del suo ritorno fatto da Rembrandt dove le due mani del padre che abbracciano il figlio sono una maschile ed una femminile come a dire che per educare occorre la relazione, la tenerezza, l’afflato femminile materno insieme a quello più autoritativo paterno. Nella famiglia dove appare soltanto questo padre – che sicuramente voleva bene ai suoi figli – c’è soltanto l’ordine e le norme, che pure sono necessarie per educare, ma non c’era la protezione e i permessi, il nutrimento del cuore. Per cui il padre davanti alla richiesta capricciosa del figlio non fa resistenza, gli dà parte del suo patrimonio e lo lascia andare a vivere la sua libertà senza regole che lo condurrà a disperdere il patrimonio e a sentire la nostalgia della casa paterna più per fame che per ricordo delle relazioni vicendevoli ivi vissute. Relazioni educative che tuttavia anche il padre imparerà uscendo incontro al figlio, relazionandosi con lui, abbracciandolo con cuore paterno e materno insieme, restituendogli quella dignità che il figlio non aveva sperimentato prima perché con una educazione autoritaria e distaccata, senza ascolto, empatia, vicinanza non si educa veramente ma si danno “cose” e una finta libertà dove chi le prende non le sa usare e creando solo persone sole, infelici, senza futuro, prigioniere di se stesse se non sono capaci di rientrare in quella che deve essere la famiglia: luogo di relazioni, di affetto, di dialogo e di proposta gratuita fatta con la testimonianza di quei valori, di quelle verità che nel Vangelo riassumiamo con la parola amore cristiano, amore esigente ma anche capace di donazione, amore fino alla fine che permette di vivere la vita come un cammino verso l’amore definitivo, l’amore eterno, l’amore trinitario modello di ogni rapporto di amore famigliare.

Nella famiglia descrittaci dal Vangelo pare ci sia una comune sorta di pudore dei propri sentimenti e così non c’è vera comunicazione, nasce l’incomprensione e la ragione è proprio perché manca la madre. E così i due fratelli paiono addirittura estranei tra loro.

Il figlio maggiore sembra una copia della figura paterna fatta di severità e autorità. Spesso – nella educazione che impartiamo – emerge anche quando cerchiamo di testimoniare Dio la figura del padre che abbiamo avuto ed i cui tratti associamo a Dio stesso: se abbiamo avuto un padre severo Dio lo penseremo severo, se avremo avuto o saremo stati padri assenti … Dio lo penseremo come un Dio assente …

Tuttavia, tornando ora ad una lettura teologico-spirituale dalla parabola, vorrei che apprendessimo due cose:

che guardando a Dio, alla sua paternità e maternità insieme, al suo venirci a cercare continuamente apprendessimo tutti ad esercitare la paternità con autorevolezza, dando delle regole ma anche con la vicinanza da esprimere ai figli con l’interessamento discreto ma reale e costante verso di loro ancor prima che tornino dopo aver sperimentato quanto probabilmente cercano illudendosi di vivere senza il padre o sperimentando la sua assenza in questo mondo senza padri. Qui noi, a immagine di Gesù, dobbiamo tornare a essere padri che indicano la verità di Dio più con i fatti che con le parole, con la vicinanza paterna e materna insieme più che con concedere la parte che i figli chiedono ma senza mostrare loro la parte materna che c’è in famiglia.

La seconda cosa vorrei chiedervi di insegnare la tolleranza. Anche verso il figlio maggiore il padre è uscito scongiurandolo di entrare a far festa per il fratello che era perduto ed è stato ritrovato … ma il maggiore che probabilmente era stato educato dal vedere il padre e non aveva avuto la madre mancava di tolleranza, della capacità di comprendere e tollerare come Dio comprende e tollera. Tollera con quella tolleranza che è quella di sentire tutti uguali proprio come fa una madre che ha più figli ma tutti sono unici e preziosi per lei … Chi ha una madre comprende che anche il fratello che apparentemente ha sbagliato ha una sua verità …

Ecco, chiediamo allora al Signore, al termine di questa giornata che guardando a Dio, al suo amore trinitario, alla perfetta comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo, impariamo anche noi per educare la prossimità, le regole da darci in famiglia ma anche la capacità di motivarle e farle assimilare in una vicinanza ed empatia materna, riuscendo ad essere padri che rispettano la libertà dei figli ma nello stesso tempo vigilano tenendo sempre vivo il filo della speranza affinché i lontani tornino. Che tra fratelli si educhi alla tolleranza vicendevole grazie alla figura materna, mediatrice di tenerezza e che non ci sia confusione di ruoli tra padre, madre, figli … comprendete perché non ci può essere una famiglia solo di due uomini o solo di due donne?

Ed infine che in famiglia si respiri aria di festa. Quella festa che viene dallo stare insieme, dal condividere il vitello grasso, dal rispettare la dignità di ognuno anche se sbaglia, di dare la possibilità che la musica e le danze risuonino nel cuore di tutti e sempre affinché nel momento dell’allontanamento la gioia ed il ricordo della festa, del cibo buono condiviso insieme, della fede sperimentata in quella piccola Chiesa che è la famiglia sia richiamo costante a conversione e a condividere la gioia della fede.

In una lettura un po’ fantasiosa alcuni scrittori hanno immaginato la conclusione della parabola a modo loro. Alcuni hanno pensato che il figlio minore si sia nuovamente allontanato dalla casa del Padre ma poi si sia nuovamente pentito e così abbia fatto continuamente il pendolare dell’amore verso e lontano dalla casa paterna. Ed il maggiore si sia rifiutato ostinatamente di entrare nell’amore offertogli dal Padre e di ritrovarsi a fianco a Cristo sulla croce nella figura dei due ladroni: quello di destra che però ha riconosciuto Cristo come il buon Messia e quello di sinistra che non lo ha riconosciuto nonostante fosse stato condannato alla stessa pena …

Altri hanno visto nei due discepoli di Emmaus i due figli della parabola. Che diversi per esperienza lo hanno incontrato lungo la via e lo hanno riconosciuto allo spezzare del pane, quello spezzare del pane che è l’Eucaristia che ora ci apprestiamo a celebrare e ricevere. In essa c’è la presenza reale dell’amore di Dio per noi. Che questo amore ci insegni costantemente ad essere padri, madri, figli e fratelli e che in ogni casa possa essere offerto vicendevolmente in una testimonianza che non dobbiamo smettere mai di credere e sperare sia possibile offrire anche oggi nell’epoca dei “padri assenti” o dei “padri e delle madri troppo presenti” che senza un sano equilibrio di rapporti offuscano l’immagine di Dio alla quale ogni famiglia deve guardare per progredire in quel meraviglioso progetto che Dio ha su di esse: quello di un amore vero, bello e per questo generativo. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina