Omelia alla Santa Messa in occasione della partenza dell’icona di Maria Santissima di Quintiliolo dalla Cattedrale di Tivoli

Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Domenica 2 agosto 2020

Carissimi fratelli e sorelle!

Per questa celebrazione eucaristica in onore della Beata Vergine Maria la cui Icona a noi tanto cara salutiamo questa mattina prima del suo ritorno al Santuario di Quintiliolo, ho lasciato la Parola di Dio che la Chiesa ci propone per questa domenica XVIII del Tempo Ordinario.

Nel Vangelo abbiamo ascoltato il racconto di quello che possiamo definire il miracolo per antonomasia operato da Gesù: quello della moltiplicazione dei pochi pani e dei pochi pesci che è raccontato per ben sei volte e da tutti e quattro gli evangelisti. Ciò significa che dobbiamo ritenerlo come lo ritenevano gli evangelisti stessi e la prima comunità cristiana un fatto centrale per la fede, un fatto che se si era così fissato nella mente e nel cuore dei primi cristiani e li aveva entusiasmati nella memoria credente, anche noi non possiamo sottovalutare.

Soffermiamoci su questo miracolo e su ciò che lo introducono.

Dopo l’arresto e la morte di Giovanni Battista, Gesù si ritira. E si ritira a riflettere sicuramente anche sulla morte del suo precursore ben comprendendo che quello sarà anche il suo destino, ma non per isolarsi o chiudersi in se stesso ma per pregare, per stare in intima comunione e in contatto di amore con il Padre.

È questa solitudine abitata dall’amore del Padre che rende Gesù capace di quella accoglienza che mostra quando giunto con una barca in un luogo che riteneva essere deserto, trova ad aspettarlo una folla che lo cercava per avere consolazione, coraggio, parole di speranza e di orientamento. Gesù non colpevolizza questa folla che lo va a disturbare, che gli rompe i piani di alcune giornate di tranquillità, di silenzio voluto, cercato, atteso …

Non solo, proprio perché Gesù è uno con il Padre Suo, i suoi sentimenti di amore misericordioso, viscerale come quelli di una madre, di un padre, lo fanno commuovere nei confronti di quella folla per cui sente compassione. Patisce con quei tanti e si sente mosso a dare amore, quell’amore da cui nessuno potrà mai separarci. La fame di quella folla diventa così un pretesto per potersi manifestare. Se la gente ha fame, provare compassione significa concretamente dargli da mangiare, nutrirlo significherà volerlo in vita …

E così Gesù si prende cura concretamente di quella folla. Cura i malati e nutre gli affamati. Sostiene la debolezza dei tanti.

Ma c’è ancora un elemento che mi pare bello e da sottolineare.

La folla dopo tanto tempo che è con Gesù e lo ascolta, ha fame. I discepoli suggeriscono di congedare la folla perché ognuno vada a cercarsi da mangiare dove vuole e riesce. E invece Gesù chiede a loro come chiede a noi stamani, chiede loro per aumentare la propria responsabilità verso i fratelli, quella responsabilità verso l’altro che ogni cristiano deve sentire come sua, che siano loro stessi – i discepoli – oggi diremmo noi … a dare da mangiare alla folla.

Ci si poteva disimpegnare. Sì, poteva dire Gesù, accetto la vostra proposta. Congediamo pure la folla affinché ognuno vada per la sua strada. Io in fondo ho fatto il mio dovere: volevo stare solo e li ho incontrati, ho predicato loro, ho guarito i malati … bè, ora, vadano pure … e invece no. Vuole che l’amore giunga al massimo come poi giungerà al massimo quando nella sera dell’ultima cena ci ciberà con il pane e il vino segni profetici della sua stessa vita che donerà il giorno dopo sulla croce per patire, morire e risorgere per noi. E così chiede ai discepoli di essere loro le cinghie di trasmissione della Sua Grazia: “Voi stessi date loro da mangiare”.

Ma cosa possono mai dare agli altri i discepoli? Ben poco se non la loro disponibilità a distribuire. Trovano “cinque pani e due pesci”. È poco. Ma questo poco messo a disposizione, preso, benedetto, spezzato e donato, sazia una moltitudine.

È sempre così anche nella vita. Se le nostre ricchezze, se ciò che abbiamo, se ciò che siamo, lo tratteniamo per noi saremo sempre infelici, preoccupati, impediti in quell’arte che rende l’uomo uomo e che è l’arte dell’amore! Se invece metteremo a disposizione di Dio e dei fratelli quel poco che abbiamo e che siamo, esso sa trasformare il deserto in un tappeto erboso dove tutti possono sdraiarsi, divenire commensali e ricevere la pienezza dell’amore, del dono, quella pienezza che è simboleggiata dai dodici cesti avanzati. È la sovrabbondanza dell’amore pasquale di Gesù che va oltre le nostre attese, che è un dono sempre “oltre misura”.

Ma tutto questo cosa può centrare con la Madonna che in questa Messa onoriamo prima che la sua Immagine ci lasci?

Noi sappiamo che Lei è stata la prima discepola del Signore. E noi dobbiamo imparare da Lei a vivere anche questo Vangelo appena ascoltato.

Come Gesù anche Lei si è lasciata riempire nella preghiera e nella solitudine, nel silenzio, tramite l’ascolto della sua Parola, dell’amore di Dio.

Ha messo a disposizione di Dio la sua giovane esistenza verginale, i suoi progetti che già pensavano a una famiglia insieme a Giuseppe, ha accolto l’impensabile e pensando al bene di tutti, alla salvezza di tutti, ha accettato di farsi dono Lei stessa con il suo eccomi alla volontà di Dio per il mondo intero.

Potremmo dire che anche Lei ha sentito compassione dell’umanità che era in attesa del Messia e ha accolto con fede la proposta di Dio di generare al mondo Gesù, l’unico che poteva sfamarci per sempre della sete di amore, di perdono, di Vita eterna, che ogni uomo e donna portano in sé da sempre.

E così con quel poco che era: una fanciulla di Nazaret, mettendo se stessa a disposizione di Dio ha generato Gesù, Colui che è autore della Grazia che sfama sovrabbondantemente tutti coloro che cercano il senso da dare alla vita.

Cari fratelli e sorelle, noi anche stamane ci siamo alzati presto, siamo venuti qui a salutare la Madonna, a confessarci e a partecipare alla Messa.

È soltanto un rito tradizionale che stiamo ripetendo anche se con qualche limitazione causata dalle misure di prevenzione alla pandemia o il desiderio di incontrarci con Dio nell’Eucaristia che stiamo celebrando e che riceveremo per dare a Lui, come fece Maria noi stessi affinché ci usi per diventare dono per gli altri, uomini e donne capaci di generare con i fatti più che con le parole Cristo nel cuore e nella vita dei fratelli e del mondo intero?

Domandiamoci: quanto tempo sto in silenzio con Dio? Quanto tempo dedico nella mia giornata a lasciare che Lui mi riempia con la Sua vita, con il Suo amore, con la Sua capacità di saziare ogni mia fame di amore e verità?

Come mi lascio corresponsabilizzare nel vivere la vita cristiana? Faccio come i discepoli che dicevano a Gesù: dì alla folla di andarsene e che vadano a cercarsi da mangiare oppure accetto di diventare corresponsabile con Gesù nel dare a tutti da mangiare partendo da quel poco che ho e che sono perché Dio lo renda utile al mondo come rese utile al mondo la vita della fanciulla di Nazaret, Maria, che ha dato a noi Gesù che con la Sua Pasqua ci ha riempito di grazia e consolazione, ci dà in sovrabbondanza il dono della Vita che non conosce peccato, morte, fragilità, ma sazia per sempre?

Con queste domande e con il proposito di dare la nostra disponibilità a Gesù per essere con Lui cooperatori nell’ascoltare, accogliere, aver misericordia, guarire, sfamare gli uomini e le donne del nostro tempo, proseguiamo la celebrazione di questo incontro eucaristico. Assumiamo seriamente l’invito di Gesù a dare noi stessi da mangiare alla folla che potremmo tradurre in quel “fate questo in memoria di me” che tra poco ascolteremo. Fare la memoria di Gesù oggi significa per la Chiesa dare da mangiare attingendo con responsabilità alle ceste che custodiscono già la sovrabbondanza del dono, conseguito con il poco consegnato, contrassegnato dalla compassione di Cristo e divenuto cibo che sazia per tutti.

Maria Santissima, donna Eucaristica, che ha vissuto per prima e in maniera perfetta questo modo di essere discepola-missionaria della compassione amorevole di Dio per noi generando al mondo Gesù, ci aiuti e guidi nel divenire anche noi in questa Chiesa diocesana e nella vita di tutti i giorni discepoli corresponsabili e generosi di Gesù. Capaci di dare ciò che hanno e sono a Lui, lasciando che Lui, con la Grazia che ci infonde e la nostra collaborazione sincera faccia tutto il resto. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina