Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Mercoledì 23 aprile 2025
Fratelli e sorelle carissimi,
lunedì mattina, all’inizio dell’Ottava di Pasqua, degli otto giorni che prolungano la gioia del giorno della Risurrezione di Cristo come se fossero un unico giorno, siamo rimasti tutti sorpresi per la notizia della repentina morte di Papa Francesco. Sapevamo che era malato ma lo avevamo visto tramite la televisione, proprio nel giorno di Pasqua, impartire la benedizione Urbi et Orbi e passare tra la gente con la papamobile. Era stanco, con un filo di voce, ma tenace nello stare in mezzo al popolo santo di Dio e non pensavamo ad un epilogo così imminente.
Stasera, ancora nel clima pasquale, la comunità diocesana di Palestrina desidera affidare la sua anima alla Misericordia Divina e, come spesso egli chiedeva, pregare per lui, che dal 13 marzo 2013 era stato chiamato ad essere Vicario di Gesù Cristo, Successore dell’Apostolo Pietro e Vescovo di Roma, la Chiesa che presiede nella carità a tutte le Chiese del mondo.
Di Papa Francesco, in questi giorni si è detto e scritto molto. Vorrei pertanto lasciarmi guidare dalla Parola di Dio di questo mercoledì tra l’Ottava di Pasqua per ricordarlo ed affidarlo al Risorto.
Nel Vangelo abbiamo ascoltato l’episodio dei discepoli di Emmaus.
In quello stesso giorno, il giorno della Risurrezione di Cristo, due discepoli di Gesù che lo avevano seguito sperando che fosse il Messia potente che il popolo di Israele attendeva, se ne stavano tornando da Gerusalemme, delusi, disperati, verso Emmaus. Delusi perché avevano sperato in Gesù, che Lui fosse stato il liberatore di Israele dall’impero romano. Ma è stato ucciso e sono passati tre giorni da quando sono accadute queste cose.
Gesù, il pellegrino sconosciuto che si avvicina a loro, li rincuora, narrando lungo il cammino tutto ciò che si riferiva a Lui nella Scrittura, fa rinascere nel cuore dei due discepoli di Emmaus la speranza tant’è che lo invitano a fermarsi con loro e mentre condivide il pane lo riconoscono. Nello stesso gesto eucaristico che avevano visto durante l’Ultima Cena riconoscono la presenza di Gesù Risorto e ritrovata la speranza, loro che prima erano disperati, tornano a Gerusalemme per narrare agli Undici e agli altri che erano con loro ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
L’evangelista Luca, nel narrare l’episodio dei due discepoli di Emmaus, di uno dice il nome: Cleopa, dell’altro no. No perché potrebbe essere ognuno di noi.
In quel discepolo anonimo mi piace vedere Jorge Maria Bergoglio. Sappiamo come nonostante fosse cresciuto in una famiglia cattolica e avesse ricevuto la fede dalla testimonianza della sua nonna Rosa egli comprese appieno di essere amato dal Risorto, ebbe un incontro personale con Lui quando ormai giovane studente di biologia entrò in una chiesa di Buenos Aires e lì ascoltò il Vangelo della chiamata di Matteo il pubblicano e nella preghiera sentì come il Risorto si fosse fatto prossimo, vicino a lui, proprio come Gesù ai due di Emmaus e riempì la sua vita. La riempì fino al punto di decidersi di dedicarla tutta al Signore che come volle esprimere nel suo motto episcopale “Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi”. Il resto lo conosciamo: entrò nella Compagnia di Gesù, fu ordinato prete il 13 dicembre 1969, Vescovo Ausiliare di Buenos Aires il 27 giugno 1992, fu nominato Arcivescovo della Capitale Argentina il 28 febbraio 1998, Creato Cardinale da San Giovanni Paolo II il 21 febbraio 2001 e eletto al Pontificato il 13 marzo 2013.
Alla base della sua vocazione mi piace dunque vedere la prossimità del Risorto, una prossimità che lo avvolse di misericordia, una prossimità che lo aiutò a sperare anche nei momenti difficili che non mancarono nella sua vita di religioso, di prete, di Arcivescovo e anche di Papa. Una prossimità, però, quella del Risorto, che Lui accolse e che cercò di vivere facendo della prossimità il suo stile di vita fino alla fine.
Quella prossimità al santo popolo di Dio che raccomandava ai Vescovi, ai preti, e a tutti coloro che si dicono cristiani e si sentono parte della Chiesa. Quella prossimità che fu lo stile di Papa Francesco e che è stata tanto apprezzata soprattutto da quanti si sono sentiti nel cuore e nelle attenzioni del Papa. Capace di prossimità perché consapevole della prossimità a Lui del Risorto, del Dio ricco di Misericordia.
E così, come Pietro e Giovanni, anche Papa Francesco è stato prossimo alla gente.
Nella prima lettura c’è stato descritto come Pietro e Giovanni, dopo la risurrezione, stavano andando al Tempio a pregare. E lì sulla porta incontrano un povero storpio che chiedeva l’elemosina. Si fermano, si fanno prossimi a lui. Avevano un motivo importante per tirar dritto: dovevano andare a fare la preghiera delle tre del pomeriggio. Ma si fanno prossimi e anche se non hanno né oro né argento chiedono al povero di guardare verso di loro, di stabilire un rapporto personale, non per ricevere oro o argento – che non avevano – ma ciò che avevano: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati (ossia risorgi dal tuo stato di infermità) e cammina”.
Ecco, cari amici, credo che in questi due brani della Scrittura ci sia il segreto di Papa Francesco.
Incontrato dal Risorto nei momenti non facili della sua vita si è sentito profondamente amato e come amava dire – misericordiato – e così come Pietro e Giovanni il suo ministero sacerdotale, episcopale e da Papa è stato tutto un ministero di prossimità in particolare verso i più lontani. Un ministero che a volte sembrava più orizzontale che verticale. Ma in fondo anche Pietro e Giovanni, mentre andavano a pregare al Tempio, seppero fermarsi ed ascoltare il grido del povero. Gli si fecero vicini e lo sollevarono facendosi guardare negli occhi proprio come il Papa tante volte ci ha raccomandato di guardare, di toccare la carne del povero mentre facciamo l’elemosina.
Questa prossimità l’ha vissuta fino a domenica cercando la vicinanza con le persone, da pastore che ha sentito e ha esortato noi Vescovi e sacerdoti a vivere il nostro ministero stando vicino alle persone, sentendo l’odore delle pecore.
Cari amici, penso che anche a voi, come è accaduto a me in questi giorni, molti si siano avvicinati per esprimere le loro condoglianze per la morte del Papa. Molti vi abbiano detto che erano lontani e Papa Francesco con la sua umiltà e capacità di entrare in dialogo empatico con la gente di tutti i tipi li abbia avvicinati a Cristo e alla Chiesa.
Mentre affidiamo l’anima di Papa Francesco alla Misericordia divina e chiediamo per lui il premio della pienezza eterna della vita promesso ai servi buoni e fedeli del Vangelo chiediamo che quanto Francesco ci ha insegnato di vicinanza al popolo di Dio, a tutto il popolo di Dio e in particolare ai poveri, ai malati, ai carcerati, ai migranti, a tutti coloro che si sentono per una ragione o per l’altra lontani da Cristo e dalla Chiesa, diventi nostra eredità, nostro stile affinché nessuno si senta escluso dalla festa dell’incontro eterno con Dio.
Dopo essere stato preso per la mano destra e sollevato da Pietro, lo storpio – e sappiamo che ai tempi di Gesù la malattia corrispondeva a uno stato di peccato nel quale l’uomo si trovava – si alzò di colpo e balzato in piedi si mise a camminare; entrò con Pietro e Giovanni nel Tempio – simbolo della Chiesa – camminando, saltando e lodando Dio.
Una vita rinnovata grazie alla prossimità di Cristo ai suoi discepoli, dei discepoli a quanti cercano salvezza, senso da dare alla vita, motivi per sperare. Una prossimità che ora, rinnovati dalla Pasqua che abbiamo celebrato, siamo noi i chiamati a portare a tutti come Chiesa povera per i poveri, una Chiesa in uscita affinché a tutti giunga la gioia del Vangelo.
Maria Santissima, alla quale Papa Francesco è stato tanto devoto, presenti ora questo suo Figlio al Dio della vita ed ottenga per lui la gioia dell’abbraccio eterno del Padre. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina