Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Mercoledì 15 marzo 2023
Cari fratelli e sorelle, cari sacerdoti e diaconi,
celebriamo stasera la Santa Messa in suffragio dell’anima di Mons. Adriano Roviscaldo Toto di cui oggi ricorre il centenario della nascita.
E mentre ancora una volta affidiamo la sua anima alla Misericordia Divina desideriamo, con questa celebrazione, fare anche ciò che la Lettera agli Ebrei raccomanda a tutti i cristiani: “Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la Parola di Dio; considerando l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Eb 13,7-8).
Sì, è doveroso ricordare nella preghiera quanti hanno dato la loro vita per il servizio del Vangelo e per il popolo di Dio. Don Adriano è stato certamente uno di questi “capi” che ha dato l’intera esistenza anche se non lunghissima al Signore.
Entrato nel Seminario di Tivoli a soli 10 anni, dopo essersi preparato al Sacerdozio studiando la Teologia e il Diritto Canonico al Seminario di Anagni, diventò prete a soli 22 anni e mezzo con la dispensa Pontificia. Vice Parroco per sei anni qui in Cattedrale, fu Parroco di Arsoli per cinque e poi venne nuovamente qui come Parroco fino al 1975 quando il compianto Mons. Guglielmo Giaquinta lo nominò Vicario Pastorale.
Don Adriano, da quello che mi è stato riferito e dalle notizie che ho potuto raccogliere su di lui, era un prete e un Parroco che amava profondamente la Diocesi, la Parrocchia e pieno di capacità di iniziativa fu un creativo nel trasmettere in quegli anni il Vangelo. Fondò e diresse il giornale “Il Duomo”, periodico mensile di cultura, religione e cronaca; fu direttore per anni della pagina diocesana di “Avvenire” e, fino alla sua scomparsa improvvisa a causa di una crisi cardiaca, diresse il periodico “Umili Voci”, Bollettino della Congregazione delle Oblate del Sacro Cuore.
Uomo di grande cultura fu delegato Vescovile per la cultura fino al 22 novembre 1988. Negli anni ’50 fu Assistente diocesano della Gioventù Femminile di Azione Cattolica e collaborò nella formazione di tante giovani e giovanissime di AC.
Canonico decano del Capitolo della Cattedrale, Cappellano di Sua Santità con il titolo di Monsignore, Cavaliere del Santo Sepolcro fu per lunghissimi anni docente di religione presso l’Istituto Tecnico “E. Fermi”. Fu poi Assistente Unitario di Azione Cattolica imprimendo ad essa grande entusiasmo.
Prete tutto d’un pezzo, uomo di preghiera, amava profondamente la cultura e l’arte e raccogliendo sicuramente l’invito di Papa Paolo VI e del Concilio Vaticano II a riallacciare i rapporti tra artisti e Chiesa, tra arte e fede, diede vita nel 1969 al Concorso di pittura sacra che si ripete, annualmente, per quindici edizioni coinvolgendo artisti importanti i cui primi premi potremo ammirare dopo la celebrazione in occasione della inaugurazione di una Mostra allestita presso la chiesa di San Vincenzo e che rimarrà aperta al pubblico da domani fino al 25 marzo dalle ore 16,00 alle 19,00.
Vorrei ora leggere un attimo la sua vita alla luce della Parola di Dio che la liturgia di questo Mercoledì della III Settimana di Quaresima ci propone.
Gesù nel Vangelo parla della Legge che in Israele aveva il compito di indicare la via del bene, della felicità, della vita (Dt 30,16). Gesù non poteva non confermarne la validità; egli semplicemente la porta a compimento: fa in modo cioè che venga rispettata e vissuta.
Come? Potremmo chiederci?
Incidendo nei cuori quello che era stato inciso sulle tavole di pietra.
La Legge, di per sé, è una norma esteriore, dettata da una ragione impersonale; le si può obbedire spinti dal desiderio di incarnare l’ideale di uomo da essa rappresentato: nella misura in cui si riuscisse, si sarebbe perfetti, irreprensibili, forti, puri. Eppure, paradossalmente, un esito di questo tipo sarebbe l’opposto della finalità della Legge di Dio che è l’amore.
Se la Legge rimane solo una serie di norme alle quali aderire esteriormente conduce alla morte, produce durezza di cuore, senso di superiorità, giudizio e condanna, oppure nel caso non la si rispetti, sensi di colpa e disistima.
Per questo infatti il Dio che aveva pronunciato i 10 Comandamenti, si fece carne: non impose nessuna legge ma assunse la legge su di sé. Non comanda più di amare ma ama lavando i piedi ai suoi discepoli e offrendosi loro come pane da mangiare. In questo modo, grazie a Gesù, il discepolo non deve più essere all’altezza di quanto prescritto dalla Legge: può riconoscersi peccatore, debole, ultimo e scoprirsi ugualmente amato e perdonato. Così che al fariseo irreprensibile subentra il peccatore graziato: al cuore duro nella sua forza si sostituisce il cuore misericordioso perché ricoperto di misericordia.
Non ho conosciuto personalmente Don Adriano Toto ma sono certo che se era uomo di cultura, se era sensibile al mondo dell’arte doveva essere anche un profondo conoscitore delle debolezze del cuore dell’uomo e pur con stile ieratico e sacerdotale era ben consapevole, come erano ben consapevoli i preti dei suoi tempi, che l’uomo è grande non perché obbedisce a dei precetti esteriori – che non vanno eliminati con facilità, che sono come sponde di un ponte sul quale camminare senza rischiare di cadere dalle sue parti – ma perché lascia ricoprire il suo cuore dalla Misericordia di Dio che lo rende veramente libero, veramente uomo!
Ebbene Don Adriano anche nel promuovere il suo dialogo con gli artisti sapeva che sono una categoria sensibilissima, capace di penetrare anche il mistero del sacro e rappresentarlo agli uomini ma altrettanto capaci di fragilità, di incapacità di osservare le leggi di Dio con la sola obbedienza. Ha quindi fatto conoscere – e di questo gli siamo riconoscenti – la legge dell’amore e della misericordia che Dio ha riservato e riserva per le sue creature. Ed in tal modo ha aiutato questi artisti ma anche tanti altri, a partire dai suoi parrocchiani, ad avvicinarsi al cuore del cristianesimo, al cuore della fede che non consiste solo in una osservanza di norme esteriori ma di obbedienza a Colui che per obbedienza al Padre ha amato fino a morire per noi.
Il cristianesimo non è una morale, non è un codice di norme da osservare. Il Vangelo rappresenta piuttosto la liberazione dalla Legge: “Ama e fa ciò che vuoi” come disse Sant’Agostino. Eppure grazie all’amore, quella Legge, impossibile da osservare, finisce per essere osservata fin nei minimi particolari. Il Vangelo infatti non abolisce la legge, ma la compie; è osservanza non di chi è perfetto e virtuoso ma di chi ama, Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stesso, perché amato.
Ebbene ringraziamo Dio per il presbitero Adriano Roviscaldo Toto che ha vissuto il suo sacerdozio così. Obbediente alla Legge perché obbediente all’amore di Dio per Lui e quindi nulla gli pesava nell’osservare la Legge di Dio nonostante abbia avuto sicuramente anche lui le sue fragilità e difficoltà. E ringraziamolo perché ha insegnato a vivere la fede mettendo al centro del cuore la legge dell’amore di Dio a tanti uomini e donne della Tivoli del suo tempo.
Ha dunque osservato e fatto osservare la Legge di Dio ma nella dolcezza di un cuore mite e che non giudica nessuno, in una affettività guarita dalle proprie ferite dall’amore di Dio.
Ringraziamo Dio e mentre affidiamo la sua anima all’Amore divino in cui ha creduto e che ha predicato e testimoniato, chiediamo per noi di continuare a vivere da cristiani in questo mondo andando al nucleo della Legge che è l’amore di Dio per noi e impregnati di questo amore donatoci da Cristo morto in croce per noi, che possiamo portarlo a tutti coloro che incontreremo affinché il Vangelo impregni la cultura e la vita di ogni uomo e ogni uomo si sottometta liberamente all’unica Legge che libera: la legge dell’amore. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina