Omelia alla Santa Messa nel X anniversario della morte di S.E. Mons. Pietro Garlato

Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Sabato 29 aprile 2023

Cari fratelli e sorelle,

dieci anni or sono terminava il suo cammino terreno Mons. Pietro Garlato che fu Vescovo di questa Diocesi dal 1991 al 2003.

Dopo dieci anni, dopo aver restaurato la nostra Cattedrale e aver fatto realizzare alcuni nuovi loculi nella Tomba dei Vescovi collocata sotto il presbiterio, possiamo oggi realizzare un suo desiderio: quello di essere tumulato nella sua Cattedrale. La Cattedrale che è la chiesa del Vescovo, dove c’è la sua Cattedra dalla quale insegna e guida la Chiesa affidatagli.

In questi anni mi sono domandato perché un Vescovo desideri essere sepolto nella sua Cattedrale. Certo non è scritto da nessuna parte, non è un obbligo ma penso di aver trovato una risposta pensando a ciò che è un Vescovo. Il Vescovo è sposo della sua Chiesa che ha nella Cattedrale il segno unificatore, per essa rimane sposo sempre: anche dopo la morte ed è comprensibile il desiderio di essere sepolto sotto il suo pavimento, quel pavimento sul quale il popolo di Dio si ritrova a pregare, a celebrare l’Eucaristia che fa la Chiesa, quella Chiesa che il Vescovo ha servito con tutte le sue forze facendosi pavimento per essa tante volte, fino alla fine della sua vita.

Per questa celebrazione ho scelto un brano di Vangelo che spiega in che misura un Vescovo sia sposo della sua Chiesa. Uno sposo che può amarla perché essa e lui stesso sono per primi amati da Gesù.

Ho scelto per questa Eucaristia nella quale raccomandiamo ancora l’anima di Mons. Garlato alla Misericordia di Dio, il dialogo tra Gesù e Pietro che troviamo nel Capitolo 21 del Vangelo di Giovanni.

Come nella sera dei tre tradimenti di Pietro, attorno al fuoco, nel cortile di Caifa, davanti a tre affermazioni che accusavano Pietro di essere anche lui discepolo di Gesù? Tre affermazioni davanti alle quali Pietro per tre volte rinnegò il suo Signore. Così sono tre le domande riparatrici che Gesù rivolge a Pietro affinché egli possa ricomporre la sua innocenza e poter pascere il popolo che Gesù gli affida, possa esercitare in nome di Cristo quella sponsalità verso il suo popolo che anche il Vescovo Pietro Garlato ha esercitato non perché perfetto ma perché si è lasciato amare dal Signore.

Anche il Vescovo, cari amici, è uno che sbaglia. Ma a Gesù non interessa giudicare e neppure assolvere; ciò che conta è un’altra cosa: “Pietro, mi ami tu, adesso?”. Per Gesù nessun uomo coincide con il suo peccato. Ogni uomo vale quanto il suo cuore. La nostra santità non consiste nel non avere mai peccato, ma nel rinnovare adesso la nostra amicizia per Cristo. E Mons. Garlato, a distanza di dieci anni lo abbiamo visto e compreso bene, nonostante le sue fragilità, fragilità come quelle di tutti, ha rinnovato fino alla fine la sua amicizia per Cristo, quell’amicizia che lo ha fatto sentire sposo della Chiesa che il Signore gli ha affidato affinché verso di essa esercitasse la medesima amicizia, la medesima capacità di perdono che Cristo ha usato nei suoi confronti.

Amicizia, quella di Gesù, che si è adattata a Pietro e si adatta a ciascuno di noi affinché ciascuno di noi possa comprendere l’amore di Gesù, l’unico amore fedele ed indissolubile verso noi sue creature.

La prima domanda è: “Simone figlio di Giovanni, mi ami più di tutti?”. E la risposta di Pietro è si e no … In fondo tutti erano scappati nella sera della crocifissione e anche lui era scappato. In più, prima di scappare, lo aveva rinnegato … Non solo: Gesù gli chiede se lo ama usando il termine agape, ossia di amore assoluto, esigente e invece Pietro risponde con il termine umile, quotidiano, dell’amicizia, dell’affetto … gli risponde con un “Ti voglio bene”, “Signore tu sai che ti sono amico” … E Gesù gli affida da pascere i suoi agnelli, i più piccoli del gregge. Tu vuoi primeggiare, caro Simone? E allora io inizio ad affidarti i più piccoli, gli ultimi. Proprio quello che Pietro aveva contestato a Gesù durante l’ultima cena quando Gesù volle lavare i suoi piedi e lui si rifiutò perché non ammetteva che il Maestro lavasse i piedi altrui come uno schiavo.

Ma ecco la seconda domanda: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?”. È una domanda un po’ inferiore alla prima. Gesù ha compreso che Pietro non avrebbe saputo dire che lo amava più di tutti gli altri. E allora gli chiede se lui lo ami? Ma ancora Pietro non sa rispondere “sì”. Risponde: “Signore, io ti sono amico, lo sai, ti voglio bene”. Non osa parlare di amore, si aggrappa all’amicizia e all’affetto.

E si giunge così alla terza domanda. Gesù abbassa la pretesa, ha capito che Pietro non avrebbe potuto rispondere o meglio ha fatto comprendere a Pietro che diverrà capace di guidare la Chiesa solo se si lascerà amare da Gesù: lo sposo fedele dell’uomo, l’amante che ama veramente l’umanità. E così Gesù domanda a Pietro: “Simone di Giovanni, davvero mi sei amico?”. Se l’amore è troppo Gesù gli domanda almeno l’affetto, un po’ di bene.

E così Gesù, mendicante di amore, davanti a tutto quello che Simon Pietro poteva dargli in affetto, in amicizia imparagonabile all’amore di Gesù, dà ugualmente a lui fiducia, gli affida tutto il suo gregge: piccoli e grandi e gli assicura che il suo desiderio di amore è già amore! E lo chiama a seguirlo!

È stato, mi piace pensarlo, il rapporto di amore tra il Vescovo Pietro Garlato e il Signore.

Il Signore lo ha amato da sempre. Da quando nacque nella sua famiglia a Udine il 10 gennaio 1928 chiamandolo alla vita, quando il 1° luglio 1951 fu chiamato al sacerdozio, poi nell’aprile 1986 quando fu chiamato all’Episcopato a Palestrina e poi, nel 1991 qui a Tivoli, diocesi che servì con amore sponsale fino al 4 ottobre 2003 e nella quale rimase, discreto, nascosto, ammalato fino al 29 aprile 2013 quando ricevette l’ultima chiamata: quella alla vita eterna.

Per l’amore sponsale ricevuto da Cristo nonostante come l’Apostolo Pietro anche lui non si sia mai sentito all’altezza di corrispondere pienamente al suo amore – e chi potrebbe tra gli uomini? – e ricambiato amando come sposo il popolo a Lui affidato noi speriamo per Mons. Pietro che davanti alla domanda che sicuramente si sarà già sentito rivolgere dal Signore: “Mi vuoi bene?” lui abbia saputo e sappia rispondere per mille volte: “Ti voglio bene” ed il Risorto gli conceda la pienezza di vita promessa ai servi buoni e fedeli del Vangelo.

Ed il riposare qui, in questa Cattedrale, delle sue spoglie mortali, ci aiuti a ricordare la fede, l’esito del tenore di vita dei nostri capi, di chi ha guidato questa Chiesa con amore di sposo perché amato non tanto per i suoi meriti ma per la grandezza della misericordia di Dio, dal Signore della vita e della pace.

Che il Risorto conceda a Mons. Garlato di godere per sempre della luce del Suo volto e a noi di abbandonarci all’amore di Dio per poterlo seguire dimostrando il nostro umano voler bene a Dio volendo bene ai fratelli con la ferma speranza, un giorno, di trovarci con tutti i santi e le sante del Cielo nella gioia promessa a coloro che hanno seguito e seguono lo sposo vero dell’umanità: Cristo nostro Signore. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina