Subiaco, Basilica di Sant’Andrea Apostolo, Lunedì 21 marzo 2022
Illustri autorità, cari sacerdoti, fratelli e sorelle nel Signore!
Celebriamo la festa solenne di San Benedetto, Patrono d’Europa, in un momento nel quale gravi pericoli minacciano il nostro Continente e il mondo intero. In un momento dove piangiamo nel vedere tanti nostri fratelli e sorelle che sperimentano ancora la tragedia della guerra con tutto il suo carico di atrocità, tragedia che pensavamo di non vedere più anche se, “a pezzi”, è sempre stata presente, caso mai in altre parti del mondo più lontane da noi, e che quindi colpiva di meno il nostro cuore un po’ egoista il quale ha una visuale del mondo molto limitata e circoscritta a ciò che capita più vicino a lui. Tragedia che vede tanti civili innocenti uccisi o mutilati, che vede costretti milioni di mamme, nonne, bambini, anziani e malati a lasciare la loro terra, la loro casa e i loro cari verso un avvenire spesso ignoto. Tragedia che se non cesserà al più presto grazie ad un fattivo impegno di tutti coloro che possono fare concretamente qualcosa, sicuramente impoverirà il mondo intero. Guerra che giunge dopo due anni di pandemia mondiale con tutte le nefaste conseguenze che conosciamo e che non mi dilungo ad elencare.
Vorrei pertanto riproporvi stasera, alla scuola di San Benedetto, soltanto qualche tratto del suo insegnamento che ci può essere utile in questo tragico momento della storia poiché, vedete, l’uomo può anche dirsi cristiano, può anche riempirsi la bocca di parole di Vangelo – come abbiamo sentito fare da qualcuno anche in questi giorni davanti a uno stadio che ci ha ricordato raduni di massa di altri tempi … – ma se l’uomo non vive da cristiano rischia di non essere più uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio ma un uomo fatto a immagine e somiglianza dell’uomo. Di un uomo che ha possibilità senza misura, che possiede un dominio sulla materia enorme, che ha a disposizione armi nucleari che potrebbero distruggere la terra intera, che ha possibilità di manipolare la vita come non mai, che è capace di “costruire da sé, sé stesso” ma anche – e qui viene il caso serio dell’uomo di oggi – di non avere più quella “energia morale” necessaria, anzi indispensabile, per gestire le enormi possibilità e risorse che possiede. Oggi stiamo vivendo quel pericolo che il 1° aprile 2005 il Cardinale Joseph Ratzinger, proprio qui a Subiaco, poco prima di entrare in quel Conclave che lo elesse Pontefice, denunciò ossia lo squilibrio tra possibilità tecniche poste nelle mani dell’uomo ed energia morale.
Una “energia morale” che è andata e andrà sempre più perdendosi tanto più dimenticheremo le radici cristiane dell’Europa sostituendo al cristianesimo e al messaggio di Gesù, il “Regno di Dio”, ai “valori del Regno”; delle grandi parole d’ordine di un moralismo politico che però, non avendo radice, dimenticandosi come sia proprio Dio la causa del Regno di Dio, rimangono soltanto parole (e valori) che si prestano a qualsiasi tipo di abuso. E così mentre tutti reclamano la pace ci si sente autorizzati a uccidere i fratelli ed occupare le loro terre, mentre tutti reclamano la libertà si va contro la libertà del fratello e si prescinde anche da Dio, creatore e salvatore dell’uomo, che ha creato la famiglia composta da un uomo e una donna aperti al dono della vita, che insegna ad accogliere ed ascoltare tutti, che ci insegna a vivere la vera carità e il vero amore per il prossimo, per ogni prossimo purché sia sostenuto e motivato dal grande comandamento dell’amore – anche per i nemici – che Gesù ci ha insegnato.
Abbiamo dunque “bisogno di uomini che come San Benedetto, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo – sono sempre parole del Cardinale Joseph Ratzinger –. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui – qui il Cardinale si riferiva a uomini che si sono fatti guerra in Europa in un recente passato che non immaginava forse nemmeno lui di rivedere –, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. Abbiamo bisogno – continuava il futuro Benedetto XVI – di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare a Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalla quali si formò un mondo nuovo”. Una cultura nuova che si espanse per tutta l’Europa e tramite l’Europa in tutto il mondo. Una cultura basata sulla preghiera e il lavoro, sulla pacificazione interiore del cuore e quindi la possibilità di portare e costruire pace.
Cari amici, non basta dirci cristiani occorre esserlo! E per esserlo oggi più che mai occorre che tutti torniamo a Dio, all’incontro personale con Lui, quell’incontro personale che ci cambia il cuore. E nessuno pensi di essere esonerato da questo impegno! Tutti siamo chiamati a tornare ad un vero incontro con Dio se desideriamo essere costruttori di pace, se desideriamo portare al mondo quella energia morale attendibile perché ha la sua sorgente in Dio creatore, padre, amore misericordioso e fedele alla sua creatura. Davanti alla tremenda crisi di valori e istituzioni causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi nella Roma tra il V e VI secolo, Benedetto contribuì con la sua Regola e la sua testimonianza a costruire quella nuova unità spirituale e culturale che nacque dalla fede cristiana condivisa dai popoli del continente, della nostra Europa. Una Regola e una testimonianza di vita che nacquero però da una profonda esperienza di Dio che Benedetto ebbe vivendo da eremita presso il Sacro Speco per imparare a sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Benedetto era infatti convinto, come dovrebbe esserlo ciascuno di noi al di là della posizione e delle responsabilità che occupa nella società, che avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno una volta rappacificata la sua anima. Sì, cari amici, anche la pace la possiamo costruire non tanto e non solo – permettetemelo – con delle marce o dei proclami, ma soprattutto tornando a Dio e a una continua marcia interiore verso il nostro cuore, verso il centro di noi stessi guidati dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera, dalla frequenza assidua alla catechesi che non è da pensare solo riservata ai piccoli ma è anche per gli adulti, tornare alla frequenza ai sacramenti: in particolare l’Eucaristia e la Confessione, affinché impregnati dall’amore e dalla pazienza di Dio possiamo costruire la pace vera, diffondere l’amore e la pazienza di Dio tra noi.
Nel Vangelo, Pietro ha chiesto a Gesù: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” e Gesù risponde: “cento volte tanto e la vita eterna!”. Se vogliamo qui, oggi, la pace che è il centuplo promesso, dobbiamo lasciare i nostri punti di vista, le nostre opinioni, la nostra “morale umana” che con l’andar del tempo ha dimenticato e dimentica sempre più Dio, dobbiamo lasciare anche il pensare che le parole pace, giustizia, salvaguardia del creato siano parole condivisibili con tutti e quindi senza necessità di un primo ed indispensabile incontro con Colui che è pace perfetta, giustizia perfetta, creatore unico e primo di tutte le cose … per chi non crede chiederei di provare, almeno provare, a vivere “come se Dio esistesse” per essere veri artigiani di pace, veri costruttori di quella pace che parte dal cuore di ciascuno, senza secondi fini ed interessi se non quello di creare la cultura e la civiltà dell’amore e della pace vera che soltanto Dio sa dare con fedeltà e senza ripensamenti politici o di opportunità.
La Regola di San Benedetto che oggi celebriamo e alla cui intercessione presso Dio affidiamo noi stessi, la nostra conversione e la causa della pace, dell’Europa e del mondo intero, ha al n.72 alcune raccomandazioni che Benedetto rivolge ai suoi monaci e che vorrei che stasera accogliessimo anche noi: “Come c’è uno zelo amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno – scrive Benedetto –, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. È a questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali … Si vogliano bene l’un l’altro con affetto fraterno … Temano Dio nell’amore … Nulla assolutamente antepongano a Cristo il quale ci potrà condurre tutti alla vita eterna”.
Troppo difficile – chiedo io? – forse. Ma altamente necessario se desideriamo dare una svolta in bene alla nostra vita, alla vita delle nostre comunità e dei nostri popoli. O torniamo a Dio – a una fede non di facciata ma fatta di incontro e ascolto autentico di quanto Dio ci vuole dire nella sua Parola, nella preghiera e nei sacramenti! – oppure, Dio non voglia, tutto sarà perduto! Chiediamo dunque a Dio, per intercessione di Benedetto, che l’uomo apra autenticamente a Lui il proprio cuore, che trovi pace in se stesso e diffonda senza fini reconditi il prezioso e disinteressato dono della pace. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina