Omelia alla Santa Messa nella festa popolare di Sant’Agostina Pietrantoni

Pozzaglia Sabina, Domenica 13 settembre 2020

Carissimi fratelli e sorelle,

ci troviamo anche quest’anno insieme per celebrare la festa popolare di Santa Agostina Pietrantoni, donna di questa terra, religiosa delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, patrona degli infermieri che in questi mesi abbiamo tanto imparato ad apprezzare per la generosità e l’abnegazione di tantissimi di loro nello svolgimento di un lavoro che è innanzitutto una missione a servizio dei tanti ammalati, in particolare quelli di Covid-19. Un servizio che per molti di loro ha significato perdere la vita per il prossimo – e che stamane desideriamo ricordare al Signore nella preghiera –, che per molti altri ha significato essere consapevoli di poterla perdere a causa del possibile contagio da un momento all’altro. Per altri ancora il loro servizio ha significato stare distanziati dalle loro famiglie per stare accanto a tanti che morivano – e in alcune parti del mondo muoiono ancora – soli, lontani dagli affetti più cari … ed è stato grazie a una infermiera o a un infermiere che ha porto loro, soprattutto ai più anziani e fragili inesperti dei mezzi digitali, un telefonino per vedere per l’ultima volta i nipoti, i figli, i consorti, le persone più care.

Con questa Messa desidero affidare tutti al Signore per intercessione di Santa Agostina e chiedere a Lui di accogliere tra le Sue braccia misericordiose l’anima dei tanti che sono morti in questi mesi insegnandoci cosa voglia dire quella frase che trova la sua piena realizzazione in Gesù ma che è richiesta anche a tutti noi suoi discepoli: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. E ancora ringraziare per i tanti che hanno offerto e continuano ad offrire il loro servizio generoso nei nostri ospedali, nelle case di cura, nelle RSA a fianco dei nostri cari ammalati, di quanti vivono un periodo della vita che spesso rimuoviamo come prospettiva possibile ma che con molta probabilità incontreremo anche noi con la speranza che ci sia ancora qualcuno disposto a prendersi cura dei deboli e a non rinchiudersi in quell’egoismo che tende a scartare gli anziani e coloro che soffrono.

“Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” è un programma di vita che anche la nostra Santa ha vissuto pienamente fin dalla sua infanzia trascorsa tra questi monti. Secondogenita di undici figli, fin da piccola dovette imparare a fare da mamma ai suoi fratelli e sorelle. Pur non avendo avuto possibilità di studiare si dedicò sempre ad edificare le sue compagne tanto che la chiamavano “la professora”. Giovanissima andò a lavorare a Tivoli e poi nonostante il suo povero bagaglio culturale, volendo seguire la propria vocazione alla vita consacrata, riuscì ad essere accolta nelle Suore di Santa Giovanna Antida Touret, le Suore della Carità e in piena questione romana, mentre la presenza dei religiosi non era tollerata negli Ospedali tanto che i Cappuccini del Santo Spirito furono cacciati così come furono eliminati i simboli religiosi, Agostina e le Suore riuscirono a rimanere in quell’ospedale definito ginnasio della carità.

Lì Agostina visse il suo servizio umile amando fino a contagiarsi anche lei di tubercolosi – proprio come tanti dei nostri infermieri e personale sanitario che oggi ricordiamo si sono contagiati con il Coronavirus – ed esercitando la virtù dell’amore e del perdono fino al massimo dono di sé: quello della vita che gli fu tolta da un malato – il Romanelli – che l’aveva presa di punta, potremmo dire, e che ricevette il perdono di Agostina agonizzante prima di terminare la propria breve esistenza spesa per le anime nel servizio della carità e nella preghiera perché dove non poteva arrivare lei, giungesse la Madonna a rasserenare i cuori dei malati che ha incontrato in una vita durata soltanto 30 anni ma che è stata intensa, fruttuosa fin da quando grazie a lei e al suo esempio di donazione e perdono anche il Direttore del Santo Spirito – massone e anticlericale – si convertì attratto dall’amore e dal perdono cristiani esercitati e non solo raccontati o predicati da Agostina.

Quale era il segreto di Agostina potremmo domandarci ora?

Ce lo svela il Vangelo che oggi la liturgia ci propone e nel quale Gesù invita a perdonare fino a settanta volte sette, cioè sempre.

Un Vangelo che ci dà le ragioni per cui anche noi dobbiamo perdonare sempre come ha fatto Agostina.

Nel Vangelo, abbiamo sentito, un re perdona a un suo servo che lo implorava perché gli fosse condonato un debito immenso, equivalente circa allo stipendio di cento milioni di giornate di lavoro, un debito che lo avrebbe ridotto in totale miseria, che lo avrebbe costretto a vendere tutto ciò che aveva e a vendere riducendogli in schiavitù moglie e figli. Condonato, appena uscito dalla stanza del re, però, questo servo, anziché avere il cuore grande perché perdonato, incontrò un altro servo come lui che gli doveva tanto di meno: cento denari – lo stipendio di cento giornate di lavoro … –. Ma non lo condonò. Mentre lui chiedeva al re pazienza, misericordia per la sua situazione … lui invece non ebbe né pazienza né misericordia per il suo collega, servo come lui.

È la nostra situazione. Siamo stati tutti perdonati da Dio. A caro prezzo, il prezzo della croce del suo Figlio, Lui ci ha perdonato dai nostri peccati e ci assicura la vita eterna dopo la morte. E noi? Noi anziché mettere in pratica quanto tanto spesso ripetiamo nel Padre nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” siamo duri e incapaci di perdonare.

Agostina è stata capace anche di questo. Al Romanelli che l’ha uccisa barbaramente ha perdonato!

Cari amici di Pozzaglia, cari cristiani qui presenti, care Suore della Carità, sacerdoti, personale sanitario, politici, uomini delle istituzioni e delle forze dell’ordine, famiglie, uomini e donne che siete venuti qui oggi a venerare Santa Agostina e a celebrare l’Eucaristia: ma noi siamo capaci di perdonare?

Il Vangelo che abbiamo sentito proclamare fa parte del capitolo 18 del Vangelo di Matteo nel quale sono raccolti gli insegnamenti di Gesù sulla vita comunitaria, sulla vita della Chiesa. Noi siamo capaci di perdonare sempre?

Se la Chiesa e le nostre comunità cristiane sono in crisi e non attirano più probabilmente è perché non sappiamo più perdonare.

Il servo che non perdonò il suo collega fu imprigionato dal re del Vangelo. È quanto potrebbe capitare anche a noi: se non perdoniamo potremmo rimanere imprigionati in una catena di odio, rancore, vendetta che non ci renderà mai liberi. Soltanto chi è capace di perdonare fa della sua vita – anche se moribonda come quella di Agostina mentre perdonava al suo assassino – un capolavoro, un capolavoro di santità, di autentica libertà, che rimane per sempre e continua per tutti ad essere esempio e stimolo per donarci agli altri anche se non li conosciamo, anche se non ne ricaviamo interessi personali, anche se dovessero odiarci e rifiutarci …

Carissimi amici, proseguiamo ora la nostra Eucaristia. Il Mistero della Pasqua di Gesù morto e risorto per noi, tra poco si renderà nuovamente presente sull’altare. Accostiamoci a questo sacramento che insieme a quello della Confessione è per il perdono dei peccati. A piene mani accogliamo il perdono di Dio e diffondiamolo nei nostri ambienti di vita e di lavoro, nelle nostre comunità e famiglie. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina