Omelia alla Santa Messa nella Giornata Mondiale del Malato 2024

San Vittorino Romano, Santuario di Nostra Signora di Fatima, Domenica 11 febbraio 2024

Cari fratelli e sorelle,

celebriamo insieme la Giornata Mondiale del Malato che, voluta da San Giovanni Paolo II, giunge quest’anno alla sua XXXII edizione.

Saluto pertanto tutti voi: ammalati, famigliari, accompagnatori delle varie associazioni e professioni che si prendono cura dei fratelli e delle sorelle più fragili, i loro famigliari, tutti voi qui presenti, per pregare per e con gli ammalati. Da questo Santuario Mariano desideriamo far giungere la nostra preghiera e il nostro saluto anche a tutti gli ammalati della nostra Diocesi di Tivoli e di Palestrina che non sono riusciti ad essere con noi ma che sappiamo essere nelle loro case o nei luoghi di sofferenza o in collegamento con noi tramite la televisione web diocesana.

La Parola di Dio che ci è stata proclamata in questa liturgia pare sia stata scelta apposta per questa domenica nella quale Papa Francesco ha indirizzato a tutta la Chiesa un Messaggio che dà il tema della presente Giornata: «”Non è bene che l’uomo sia solo”. Curare il malato curando le relazioni».

Nella prima lettura ci viene ricordato come doveva vivere un lebbroso ai tempi di Gesù: solo, senza contatti, isolato, tagliato fuori dalla società e anche dal rapporto con Dio che lo si poteva vivere andando al Tempio, là dove al lebbroso era vietato entrare. I lebbrosi, al tempo di Gesù, dovevano vivere così. Addirittura per evitare che qualcuno incontrandoli venisse in contatto con loro e contaminato, dovevano vivere al di fuori delle città e gridare la loro condizione: “immondo, immondo!” affinché se qualcuno era nei paraggi cambiasse strada.

Nel Vangelo ci viene narrato come un lebbroso esce invece dalla solitudine, probabilmente si sarà detto: se nessun uomo mi vuole, almeno il Messia mi accoglierà. E così esce dalla sua solitudine, si getta sulla strada di Gesù, e in ginocchio lo supplica: “Se vuoi, puoi purificarmi”.

E Gesù ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”. E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

Gesù ne ebbe compassione: patì con lui. Si sintonizzò con il suo dolore e lo fece proprio. E ancor più: fu mosso visceralmente. Il desiderio di guarire questo ammalato venne dalle sue viscere, dal suo intimo, là dove è unito al Padre. La dove Gesù e il Padre sono una cosa sola, dove sono amore purissimo. E l’amore di Dio non è un amore chiuso in sé ma esce da sé per salvare.

E così Gesù, davanti al desiderio del lebbroso che gli chiede di essere purificato, trasgredisce le norme che impedivano a chiunque di entrare in relazione con il lebbroso, ma tende la mano per primo, lo tocca e lo purifica.

In tal modo Gesù guarisce il lebbroso. E poi lo esorta a vivere una vita buona. Vai a presentarti al sacerdote – era la prassi ai tempi di Gesù – affinché ti reintegri nella comunità dichiarandoti guarito, ti riammetta ad avere accesso al Tempio e ti reinserisca nella società. Ma gli chiede anche di non divulgare la notizia, di non dire che era stato Lui a guarirlo. Ma ciò è impossibile. È tanta la gioia del lebbroso guarito che dice a tutti che è stato Gesù. Tanto che Gesù dovrà allontanarsi dalla città. Per cui se prima era il lebbroso a dover vivere fuori dal contesto umano, ora è Gesù che deve andar fuori. Ma lì, dove sarà, tutti lo andranno a cercare da ogni parte per relazionarsi con Lui ed essere sanati.

Questo “star fuori” dalla città di Gesù come non può ricordarci che Lui ci ha sanati dal peccato e dalla morte proprio quando per liberarci da essi ha accettato di morire fuori Gerusalemme? Quando per arricchire noi di vita, ha accettato di farlo accettando per Lui la povertà, lo svuotamento di sé, la croce?

Gesù dunque salva l’uomo lebbroso, l’ammalato, accettando di ascoltarlo, tendendogli la mano, toccandolo, relazionandosi con lui. Prendendo su di sé le conseguenze di quella relazione che però porta salvezza.

Il Messaggio del Papa in questa Giornata del Malato invita proprio tutti noi, apparentemente sani, a relazionarci con chi è ammalato perché la relazione salva.

Cari fratelli e sorelle – e qui mi rivolgo a chi è apparentemente sano ma anche a chi è ammalato – tutti siamo chiamati a relazionarci con Dio nella preghiera, nella celebrazione dei sacramenti, nell’ascolto della sua Parola. Ma tutti dobbiamo entrare ogni giorno di più in relazione tra noi.

Noi, purtroppo, viviamo in un’epoca dove le relazioni sono sempre più cosa rara. Il Covid ha ulteriormente aggravato la situazione. Se già vivevamo nell’individualismo, l’isolamento che ci ha imposto la pandemia ci ha resi ancora più soli. Ci relazioniamo ogni giorno con la televisione, il computer, i media digitali … ma non tra persone. E rischiamo soprattutto di non relazionarci con i più fragili, gli ammalati, i soli, coloro che sono già abbandonati e rischiano di esserlo sempre di più.

E in questo modo la loro malattia, già pesante di per sé, o l’età avanzata, scontrandosi con l’individualismo rischiano di divenire ancora più pesanti. La cultura dello scarto in questo modo avanza. Le persone fragili e ammalate o anziane o le vite ancora non nate, le vite che non producono più, diventano un peso. Un peso appunto da scartare, da relegare come era relegato ai margini della società il lebbroso.

Pensiamoci un attimo: non è così anche nella nostra società dove gli ammalati, gli anziani, i non nati, sono sempre meno curati, dove le politiche sanitarie non si danno da fare più di tanto per loro, si risparmia per le loro cure?

Da Gesù desideriamo dunque imparare oggi ad avere cura del prossimo e anche del prossimo ammalato, scartato, dell’anziano, della vita che apparentemente non vale perché non produce … Oggi, davanti a voi, cari fratelli e sorelle ammalati, vogliamo tutti prenderci l’impegno di non lasciarvi soli, di esservi vicini, di non lasciar cadere, anzi intessere e rafforzare le relazioni tra noi. Siamo fatti per la relazione, siamo fatti per l’amore, per la vicinanza. E così dobbiamo vivere.

Fatti a immagine e somiglianza di Dio, riempiti dal Suo amore misericordioso, nessuno può eliminare le relazioni. Come Gesù che ha accettato di essere Lui messo fuori dalla città, così anche noi apparentemente sani, dobbiamo impegnarci oggi a dare tempo, attenzione, vicinanza, preghiera, ascolto, aiuto a chi è ammalato, solo, anziano e senza relazioni sente ancor più il peso della sua situazione.

Cari fratelli e sorelle, è facile dirci cristiani a parole e non dare tempo al prossimo, non amarlo, non ascoltarlo, lasciare che in noi prevalga ciò che non è umano, che pare ci soddisfi lì per lì ma ci isola a nostra volta dagli altri, ci rende inumani, egoisti, capaci solo di fare guerra tra noi.

A voi ammalati, però, come ha detto il Papa nel suo messaggio, vorrei dire anche io: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Come il lebbroso si fece avanti con Gesù anche voi fatevi avanti con noi, con i vostri parenti, con chi vi vuole essere vicino. Non pensate mai di essere di peso per gli altri. Il Papa riconosce in voi un grande aiuto che ci potete dare: “La condizione dei malati – egli scrive – invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi”.

Nel brano evangelico Gesù, dopo aver accolto la supplica del lebbroso che gli chiedeva la guarigione – guarigione del corpo e dello spirito – gli risponde: “Lo voglio, sii purificato!”. In altre parole: vivi da purificato, vivi da sanato nel corpo e nello spirito, vivi una vita bella e retta.

È ciò che Gesù chiede anche a noi. Grazie al suo morire e risorgere fuori dalle mura di Gerusalemme, anche verso di noi Gesù ha provato e anche oggi, in questo momento, prova una grande compassione viscerale verso di noi, entra in relazione con noi affinché accogliendo la sua salvezza, accogliendo il suo amore, la sua compagnia che dà significato anche alla vita apparentemente impotente, ammalata, “da scarto”, che non vale niente secondo la logica degli uomini, viviamo da risorti, viviamo una vita buona e anche nella malattia non ci sentiamo soli.

E grazie a questa vita vissuta nell’amore anche chi è ammalato, apparentemente solo, anziano, può relazionarsi con chi lo visita, con chi sente caso mai al telefono, con chi incontra, con chi lo cura o con chi porta a lui la Santa Comunione o lo accompagna in chiesa, o a un Santuario, ecc. e arricchirlo con la sua testimonianza e la sua compassione. Sì, gli anziani, gli ammalati che hanno accolto Gesù nella loro vita, hanno molto da dirci e insegnarci. Hanno molto da dire e insegnare a noi con la loro vita abbandonata nelle braccia di Dio amico dell’uomo, che rimane costantemente in relazione con lui attraverso l’azione del suo Spirito d’amore.

Sanato, il lebbroso, fu invitato da Gesù ad andare dal sacerdote e a non divulgare la notizia della guarigione prodigiosa avvenuta grazie alla Sua compassione per lui. L’ex lebbroso non riuscì. Tanta era la sua gioia che disse a tutti ciò che gli era accaduto. Ciò costrinse Gesù a vivere in luoghi deserti fuori dalla città, a prendere il posto del lebbroso … ma “venivano a Lui da ogni parte”. Una disobbedienza del lebbroso sanato permise che tanti andassero da Gesù per essere sanati. Nelle nostre relazioni, cari ammalati, imparate anche voi a narrare le grandi opere di Dio in voi compiute affinché, – anche tramite la relazione con chi è ammalato e che grazie alla relazione con i fratelli e con Gesù ha trovato senso alla sua situazione di dolore ed emarginazione –, molti, tutti, noi possiamo andare a Lui da ogni parte e trovare compassione, salvezza, sollievo nella malattia perché Dio salva e ha compassione delle sue creature che ama e non lascia mai sole. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina