Omelia alla Santa Messa nella Solennità di N.S.G.C. Re dell’Universo – Giornata Mondiale della Gioventù

Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Domenica 26 novembre 2023

Cari giovanissimi e giovani,

con questa celebrazione concludiamo la GMG diocesana che ha avuto per tema: “Lieti nella speranza” (Rm 12,12).

E celebriamo la Solennità di Cristo Re.

Un Re diverso dai re (o pastori) di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele. Cristo non è un re che usa le sue pecore per sfruttarle, per venderne la lana, bere il loro latte, mangiare le loro carni … ma è un pastore che porta le sue pecore in buoni pascoli e che dà la vita per le sue pecore.

Cristo è dunque un Re che usa verso noi, sue pecore, tanto amore, tanta misericordia, fino a morire per poi risorgere per noi su quel trono – il suo trono – che è la croce.

La Solennità di oggi ci invita allora a guardare a Lui che con il suo amore fino alla fine, viene come Re a giudicare i vivi e i morti. Viene – come ci ha narrato nel Vangelo – a giudicarci alla fine dei tempi ma con un giudizio di misericordia e di amore. Che certamente ci chiede di impegnarci su questa terra a vivere come Colui che ci giudicherà ma senza paura perché Colui che ci giudicherà è un Dio che ci ama.

E questo amore deve alimentare la nostra speranza e farci camminare nella vita amando, usando tanta tanta carità.

La GMG di oggi ci parla di speranza. Uno scrittore e poeta francese – C. Péguy – ha descritto la speranza come una piccola bambina che è accompagnata per mano da due compagne più grandi: la fede e la carità.

La fede che ci fa sperare e la carità che fa si che la nostra speranza non sia astratta ma concreta.

Saremo giudicati, infatti, su come avremo usato o no la carità.

Vedete il cristiano non è uno che si dice credente a parole ma lo deve essere con i fatti concreti.

In altre parole: se ho fede e spero veramente che alla fine possa essere giudicato con un giudizio di misericordia e essere posto alla destra del giudice giusto, dovrò per forza guardare a Lui, imitarlo nel suo essere pastore. E come Gesù è stato pastore? Donando se stesso per noi.

Allora anche noi dobbiamo farci pastori degli altri donando la nostra vita per loro, mettendoci a servizio loro, soprattutto dei più poveri che sono quelli che maggiormente assomigliano a Gesù.

Siamo dunque pecore e pastori.

Pecore perché poveri che Gesù ama, pasce, cura.

Ma anche pastori perché chiamati non soltanto a ricevere cura dal Giudice Misericordioso ma anche a dare cura, carità, attenzione a quanti con noi sono pecore che attendono la cura del grande Pastore anche attraverso la nostra carità, la nostra testimonianza, la nostra vicinanza.

Cari amici, camminiamo lieti nella speranza in questa vita sapendo che un giorno compariremo davanti al Re che per alcuni avrà parole di dolcezza, raccontando cose che nemmeno ricordano, che dirà loro di averli incontrati e di essere stato trattato bene da loro. E quando questi diranno: ma no, non ti ho mai visto … Lui risponderà: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Vedete: questo brano ci mostra come non solo i cristiani andranno in paradiso ma anche tutti coloro che fanno opere di bene forse senza nemmeno sapere il perché.

Ma noi siamo cristiani e quindi dove siamo in questo brano del Vangelo?

Fatti figli di Dio per i Battesimo, noi siamo i fratelli più piccoli di Gesù, primogenito di coloro che vincono la morte.

Ma nel Vangelo ci è detto che i “fratelli più piccoli” sono gli affamati, gli assetati, i nudi, i carcerati … quindi siamo anche noi cristiani tra i fratelli più piccoli.

Essere cristiani vuol dire infatti portare la croce con Cristo. Ma proprio lì, dove si soffre maggiormente, dove potrebbe venir meno la speranza, si manifesta la vita di Cristo, quella vita divina che ci ha donato e che è più forte della morte e ci rende lieti nella speranza.

La nostra umanità è chiamata alla solidarietà. Ma la nostra croce, il nostro martirio, il nostro condividere la sofferenza e le prove con Cristo, è il luogo dove viviamo l’unione con Lui. E così nell’abbandono, nella fede, nella speranza che si fa carità, noi diventiamo un pezzo di cielo in questo mondo scuro. Cioè diventiamo cristiani che danno speranza al mondo perché pur nelle prove camminano con la speranza che dà gioia e rende lieta la loro vita.

Siamo nella Cattedrale di Sant’Agapito. Questo giovane morto 1750 anni fa martire perché è rimasto fedele a Dio piuttosto che cedere alle lusinghe dell’Imperatore Aureliano. È stato torturato, ucciso … ma noi siamo ancora qui a celebrare Colui per cui ha accettato di morire, siamo ancora qui a ricordare il pezzo di cielo che è stato nel buio di una umanità sempre triste, cattiva, che non ama la luce e la verità.

Impariamo da Lui ad avere sempre speranza, fede e carità e uniti a Cristo a darci a Lui e ai fratelli. Un giorno saremo accolti alla destra del Padre e sarà gioia piena. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina