Omelia alla Santa Messa per la Giornata del Malato 2020

San Vittorino Romano, Santuario di Nostra Signora di Fatima, Martedì 11 febbraio 2020

Carissimi fratelli e sorelle,

ci ritroviamo insieme per celebrare la Festa della Madonna di Lourdes in questa che, per volontà di San Giovanni Paolo II, è la XXVIII Giornata Mondiale del Malato.

Pensare a Lourdes è pensare  a un Dio amico dell’uomo, a un Dio che ha permesso e anche oggi in alcune parti del mondo permette che la Sua Santissima Madre, Maria, appaia a persone umili, povere; come umile, semplice e povera era Bernadette per ricevere il Suo conforto, il Suo amore e insegnare a tutti come rispondere a questo amore che ha trovato il suo pieno compimento in quell’Ora il cui miracolo di Cana è profezia: l’Ora della gloria di Gesù, l’ora della sua passione, morte e risurrezione! Quell’Ora che trasforma la nostra vita – che spesso sa di acqua … – ma che, se accogliendo l’invito di Maria a fare quello che Lui ci dice, gliela presenteremo, allora quest’acqua insapore e inodore, che non dà alcuna ebbrezza e gioia, sarà trasformata in vino buono, vino della festa, proprio come fu alle nozze di Cana.

In questa Festa, Giornata del Malato, la Parola di Dio non ci parla di sofferenza ma ci invita a rallegrarci.

Il profeta Isaia descrive la gioia che proverà il popolo eletto quando, dopo l’esilio, tornerà a Gerusalemme, la città del Tempio, la città della presenza di Dio in mezzo al suo popolo.

Lì sentirà scorrere verso di essa, come un fiume, la pace … farà fare al popolo stanco per il lungo esilio lontano dalla propria patria l’esperienza del sentirsi portati in braccio, accarezzati sulle ginocchia come quando siamo stati accarezzati dalle nostre madri da bambini. Ci farà fare l’esperienza della consolazione, della visione di Dio e “le nostre ossa”, sì anche quelle parti del corpo che ci fanno sperimentare il dolore, la fatica, saranno rigogliose come l’erba.

Intendiamoci: incontrandoci con Dio e con la Madre sua che desidera apparire all’umanità come fu per la piccola Bernadette a Lourdes a partire dall’11 febbraio 1885, non passeranno i dolori del corpo – a parte qualche caso di miracolato che a Lourdes riceve anche guarigione fisica … – ma sicuramente saranno alleviati i dolori dello spirito e anche i nostri dolori, le nostre malattie, le nostre fragilità si sentiranno amate, comprese, accolte e noi potremo amare e consolare gli altri.

Quante volte ho sentito racconti di ammalati nel corpo ma anche nello spirito che andati a Lourdes per chiedere la guarigione fisica sono tornati con un’altra guarigione, ben più profonda: quella interiore, quella del cuore, quella della serenità nell’accogliere la propria croce quotidiana … e sono diventati apostoli di amore e misericordia.

Abbiamo ascoltato il Vangelo delle Nozze di Cana. Chi si stava ammalando era una coppia di giovani sposi. Quante famiglie oggi sono fragili, ammalate, vivono rapporti difficili … e a volte se c’è in esse una persona ammalata o anziana fanno ancor più fatica a camminare.

Ebbene Maria, certa di quel Figlio che era il Figlio di Dio dice ai servi di fare ciò che Lui avrebbe detto per trasformare una festa che rischiava il fallimento perché non c’era più il vino che dà ad essa gioia, in una festa riuscita. E Gesù anticipando l’Ora della sua Pasqua fa portare l’acqua e la trasforma in vino buonissimo ridando gioia e dignità a chi la stava perdendo, a quella famiglia che stava già partendo male …

È quanto deve avvenire per noi.

A Lourdes, Maria ha detto a Bernadette cosa occorre fare, cosa Gesù chiede che si faccia … Ha chiesto di pregare, di andare da Lei (la Madre che intercede sempre per i suoi figli), di esortare i sacerdoti a costruire là dove Maria è apparsa una cappella richiamando così l’Eucaristia che in essa si sarebbe celebrata e che è il luogo privilegiato dell’incontro con Gesù, di bere alla fontana alla quale bere e lavarsi – come non vedere in quest’acqua una immagine della grazia battesimale, di quell’acqua nella quale siamo stati battezzati immergendoci nel Mistero della Pasqua di Cristo, della sua Ora e nella quale e della quale grazia dobbiamo vivere anche con i nostri dolori e fragilità per ricevere tutto l’amore che Dio ci ha manifestato e donato in Gesù Cristo?

Ebbene, oggi, in questa Giornata noi siamo qui, malati nel corpo e nello spirito. Apparentemente ammalati e apparentemente sani per dire a Maria che desideriamo fare ciò che Lui ci dirà per sperimentare quella gioia, quella pace e quella serenità che viene non dall’essere esonerati dalle malattie e dalla sofferenza ma dal sentirci pienamente amati, trasformati dal Suo amore.

Gesù ci chiama a stare in questo amore che sana e che è sanante per chi a sua volta lo riceve.

In questo anno ci stiamo ripetendo più volte che insieme siamo le pietre vive di quel Tempio che è la Chiesa. Vive tanto più quanto più siamo uniti a Cristo, ascoltiamo la sua Parola, preghiamo, viviamo l’Eucaristia offrendo con Cristo la nostra vita al Padre per la salvezza dei fratelli, ci accostiamo al sacramento del perdono …

Ebbene per essere così occorre accogliere l’invito di Gesù che quest’anno ci è offerto come tema della Giornata Mondiale del Malato: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28).

È invito ad andare a Gesù che può comprenderci perché Lui stesso, che era Dio, si è fatto debole sperimentando la sofferenza e ricevendo a sua volta ristoro dal Padre.

Il Papa, nel Messaggio di questa giornata, scrive: “Solo chi fa, in prima persona, questa esperienza – ossia della malattia e dell’affidamento all’Unico che salva – saprà essere conforto per l’altro”. Ebbene Gesù si è addossato le nostre infermità, ha voluto passare per la notte del dolore fisico ma anche spirituale, dell’abbandono degli amici, del tradimento, dell’essere spogliato di tutto … affinché tutti avvicinandoci a Lui possiamo sentire il Suo amore, la Sua compassione e sperimentare come le nostre vite così spesso annacquate e senza senso possono divenire significative per gli altri e piene di senso anche per noi.

Affidiamoci dunque all’Unico che sa prendersi cura di noi e impegniamoci da stasera a prenderci cura vicendevolmente. I medici, il personale sanitario e amministrativo delle nostre strutture sanitarie in genere, i giovani …; verso i malati, chi sta loro a fianco in famiglia spesso sentendo il peso di dover gestire quotidianamente e in solitudine sofferenze che solo loro conoscono. Impegniamoci verso gli anziani, verso i poveri più poveri, a favore di coloro che per la nostra società dell’efficienza sono considerati scarti.

E i malati, gli anziani, si prendano cura di chi è apparentemente sano perché sentendosi amati da Gesù, con la loro serenità nel portare le prove e i dolori, sappiano spargere amore, quell’amore sperimentato andando a Lui da affaticati e oppressi ma trovando ristoro! Il ristoro che da loro condiviso con noi diviene testimonianza credibile dell’amore di Dio.

In questo giorno, dando risonanza alle parole del Papa, vorrei ricordare a tutti che ogni uomo e donna che soffre è una “persona” con una propria dignità da rispettare. “Persona” prima che “persona malata” e quindi va accudita e amata. Certamente dalla Chiesa che deve sempre più essere come la “locanda del Buon Samaritano che è Cristo” e nella quale tutti devono trovare conforto, vicinanza, aiuto, ascolto … ma anche dalle istituzioni, da chi governa il vasto mondo della sanità e il nostro Paese e ricordando sempre che “la vita è sacra e appartiene a Dio, pertanto è inviolabile e indisponibile … va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire” così come chiedono la ragione e la fede in Dio autore della vita.

Agli operatori sanitari che a volte devono fare i conti con leggi ingiuste e sfavorevoli alla vita e alla sua difesa e promozione, con il Papa in questo pomeriggio vorrei dire: “In certi casi, l’obiezione di coscienza è per voi la scelta necessaria per rimanere coerenti con questo sì” alla vita e alla persona cercando di curare con gesti e procedure che diano ristoro e sollievo al malato e soprattutto la vicinanza, l’empatia, l’ascolto senza sprecare frasi fatte che più che consolare umiliano il malato o l’anziano affinché tutti possano sentire l’amore di Dio e anche se nella sofferenza o in una età avanzata possano divenire discepoli-missionari di quel Dio che a Cana ha trasformato la noia in gioia, l’acqua in vino.

Cari ammalati, cari anziani, cari amici che siete al loro fianco non smettete mai di andare a Lui, lasciarvi ristorare da Lui dalle vostre fatiche e oppressioni e di essere riflesso attraente dentro alla Chiesa e fuori dalla Chiesa dell’amore immenso e rasserenante di Dio.

Infine permettete un appello ai giovani, ai sacerdoti, alle religiose. Andate nelle case a trovare i malati e gli anziani! I giovani troveranno in quello che si chiama volontariato la gioia del servizio e il significato da dare alla vita imparando dai malati. I sacerdoti, le religiose, i catechisti, non tralascino mai la visita ai malati. In particolare ai sacerdoti chiedo da qui che non si stanchino di andare nelle case degli ammalati e degli anziani per una visita, per il sacramento della confessione e per portare l’Eucaristia non delegando sempre la visita ai malati ai soli, se pur importanti, ministri straordinari dell’Eucaristia. Dai malati e dagli anziani: giovani, sacerdoti, religiose, catechisti … ponendoci a servizio gratuito e generoso di questi amici, mentre penseremo di dare un po’ di gioia e consolazione, soprattutto riceveremo quel vino buono che loro hanno ricevuto dall’incontro con Gesù che ha trasformato e trasforma continuamente la loro vita in vino che ha sapore e dà sapore. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina