San Vittorino Romano, Santuario di Nostra Signora di Fatima, Martedì 11 febbraio 2025
Carissimi fratelli e sorelle,
siamo qui riuniti, in questa chiesa Giubilare, nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della Beata Vergine di Lourdes, per celebrare insieme la XXXIII Giornata Mondiale del Malato.
Siamo riuniti come comunità diocesana di Tivoli e di Palestrina con i nostri cari ammalati, con quanti ogni giorno si pongono al loro servizio ascoltandoli, assistendoli e curandoli nelle case, nelle strutture sanitarie, negli ospedali. Con famigliari, medici, infermieri, volontari delle associazioni che curano e accompagnano i nostri fratelli e sorelle infermi nei pellegrinaggi a Lourdes, Loreto e Fatima, con quanti in altre associazioni si pongono a servizio dei malati. Siamo qui: sacerdoti, diaconi e il Vescovo desiderosi di essere una comunità che si incontra con la Parola di Dio e i sacramenti per lasciarci rigenerare dalla presenza di Dio tra noi e, ognuno con le proprie capacità o fragilità, con la salute o senza salute, accogliere insieme il mandato che ci dà il Papa in questa Giornata ossia quello di sperare nel Signore sapendo che la speranza in Lui non delude, anzi ci rende forti nella tribolazione.
In questa liturgia ci è stato proclamato il Vangelo della Visitazione: Maria si reca dall’anziana cugina Elisabetta rimasta incinta, un incontro che fa sgorgare dal cuore di Maria il Magnificat.
Vorrei lasciarmi aiutare dal Messaggio del Papa per questa Giornata nel commentarvi il Vangelo e lasciarvi alcune idee sulle quali riflettere.
Nel messaggio del Papa siamo invitati a riflettere sulla presenza di Dio vicino a chi soffre. Essere certi di questa vicinanza rende più forti e pieni di speranza chi soffre, quanti soffrono con e per i loro ammalati, quanti li curano ed anche quanti pur volendo fare qualcosa per chi è ammalato, davanti alla malattia, caso mai giunta al suo ultimo stadio, si sente impotente e non può più far nulla da un punto di vista umano.
La presenza di Dio non dobbiamo mai dimenticarla per avere speranza nella malattia e nel dolore. Una presenza che possiamo avvertire nell’ascolto della Parola, nei sacramenti ed in particolare nell’Eucaristia, nella confessione e nel sacramento dell’Unzione degli infermi dove attraverso la grazia santificante Dio si fa vicino all’uomo piagato nel corpo e nello spirito. Una presenza che possiamo avvertire tramite tre atteggiamenti che furono di Maria ma che devono essere anche di ciascuno di noi e tramite i quali possiamo percepire la presenza di Dio vicino a chi soffre. Sono gli atteggiamenti dell’incontro, del dono e della condivisione.
L’incontro. Nel Vangelo Maria ha appena incontrato l’angelo Gabriele, ha incontrato il Signore che Le ha annunciato che diverrà Madre di Dio e che Elisabetta sua parente anziana sta anche lei per partorire un figlio. Maria va verso Elisabetta e giunta nella sua casa avviene in incontro. Un incontro che Dio vuole avere con chi è nella sofferenza come era l’anziana Elisabetta ma che prende le mosse dall’incontro con colui, in questo caso Colei, Maria, che Lui manda per incontrare Elisabetta.
Dio è sempre vicino a chi soffre. Maria portando in sé il Figlio di Dio – Gesù – va incontro a Elisabetta come a dirci che Gesù desidera sempre essere vicino a chi soffre. E vuole essere portato affinché sia incontrato per far sentire forte la sua presenza che mai ci abbandona e mai ci abbandonerà.
Cari amici, questo incontro con Gesù è probabilmente avvenuto in tutti noi e se siamo qui oggi è per suscitare, ancora una volta, questo incontro nel cuore di chi è solo, stanco, malato. Ma attenzione, questo portare di Gesù al fratello può avvenire e avviene anche da parte del malato verso chi si sente sano.
Da Maria, ci insegna il Vangelo, impariamo a portare Gesù a quanti hanno necessità di incontrarlo. Elisabetta si sentì confortata dalla presenza di Maria che comprese essere stata mossa da Colui che portava in sé e che Elisabetta riconobbe come il Messia perché il bambino le sussultò nel grembo. E impariamo anche, per i momenti in cui siamo nel dolore, a sperimentare che Dio ci è sempre vicino, vuole incontrarci per perseverare nel momento della sofferenza.
Quando per Elisabetta arriverà il mese del parto, quello più difficile, Maria se ne sarà già andata. Se avessimo scritto noi il Vangelo avremmo forse preferito che fosse rimasta fino al parto e invece no. Come a dirci: ho portato Cristo a Elisabetta, lo ha riconosciuto, lo ha accolto, con la sua vicinanza ora può sostenere la fatica del parto.
Sì, e qui giungiamo al secondo atteggiamento, Elisabetta riconosce che Maria con la sua visita gli ha fatto dono, il dono di Gesù che porta nel grembo e l’ha riempita di forza e di speranza. Ora, nei mesi che le mancheranno al parto, nei mesi di sofferenza, dovrà solo essere fedele a questa luce che Maria ha portato a lei e che Elisabetta ha riconosciuto.
Una luce nel buio della notte, potremmo dire, quella che Maria porta in dono e che rimanda a una luce più grande, quella della Pasqua che per tutti noi, ammalati e sani, deve divenire la nostra “grande speranza” da cui deriva ogni altro spiraglio di luce con cui superare le prove e gli ostacoli della vita.
Cari amici con il dono della presenza di Gesù che è venuto a noi nella Parola, che tra poco verrà a noi nel sacramento dell’Unzione degli infermi, che verrà a noi nell’Eucaristia dobbiamo essere sicuri che Lui cammina accanto a noi anche se a volte siamo impauriti, smarriti, come erano i due discepoli di Emmaus. Ed è giusto che se siamo così ci apriamo con Gesù, condividiamo con Lui le nostre paure, i nostri smarrimenti nella malattia e davanti alla malattia, caso mai la malattia di una persona a cui vogliamo bene, di un innocente, ecc. Dobbiamo aprire il cassetto del nostro sconforto e della nostra paura affinché Lui la riempia della Sua presenza e ci dia coraggio per affrontare e vivere la malattia in attesa del giorno senza tramonto.
Nel Vangelo e nel Messaggio del Papa c’è infine un terzo atteggiamento: la condivisione.
Elisabetta e Maria condividono le loro situazioni di prossime madri e Maria esplode nel grande inno del Magnificat perché dalla condivisione con Elisabetta comprende di essere stata chiamata a divenire la Madre del Signore, di Colui che è la salvezza attesa da Israele.
Ma quando c’è condivisione nella sofferenza credo che il Magnificat possa nascere anche nei nostri cuori.
Quante volte stando vicino a un malato si impara a sperare, si impara a credere. Quante volte stando vicino a chi soffre si impara ad amare. Scrive il Papa: “Ci si rende conto, cioè, di essere ‘angeli’ di speranza, messaggeri di Dio, gli uni per gli altri, tutti insieme: malati, medici, infermieri, familiari, amici, sacerdoti, religiosi e religiose; là dove siamo: nelle famiglie, negli ambulatori, nelle case di cura, negli ospedali e nelle cliniche. – E aggiunge – Ed è importante saper cogliere la bellezza e la portata di questi incontri di grazia e imparare ad annotarseli nell’anima per non dimenticarli: conservare nel cuore il sorriso gentile di un operatore sanitario, lo sguardo grato e fiducioso di un paziente, il volto comprensivo di un dottore o di un volontario, quello pieno di attesa e di trepidazione di un coniuge, di un figlio, di un nipote, o di un amico caro. Sono tutte luci – scrive il Papa – di cui fare tesoro che, pur nel buio della prova, non solo danno forza, ma insegnano il gusto vero della vita, nell’amore e nella prossimità” e permette così di cantare il Magnificat perché scopriamo che Dio anche nella nostra sofferenza è vicino, opera, è presente e ci ama!
Cari fratelli e sorelle, quest’anno ho desiderato che in questa Messa i nostri fratelli infermi, quelli più gravi, ricevano il sacramento dell’Unzione dei Malati. È un sacramento che conferisce al malato la grazia dello Spirito Santo; tutto l’uomo ne riceve aiuto per la sua salvezza, si sente rinfrancato nella sua fiducia in Dio e ottiene forze nuove contro le tentazioni del maligno e l’ansietà della morte; egli così può sopportare non solo validamente il male, ma combatterlo, e conseguire anche la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale.
È, anche questo sacramento, segno dell’incontro di Dio con l’uomo, dono di salvezza e di consolazione che rinfrancano la speranza di quanti lo ricevono, chiamata a condividere l’amore che Dio riversa nel cuore tramite questo canale della Grazia.
Mentre invito a ricevere più spesso, anche nelle comunità parrocchiali, questo sacramento senza paura che sia il sacramento dei moribondi, chiedo a tutti: ammalati e apparentemente sani di camminare insieme a Cristo e ai fratelli e alle sorelle affinché da voi nasca un nuovo Magnificat quello che il Papa nella Bolla di indizione del Giubileo Spes non confundit definisce come “un inno alla dignità umana, un canto di speranza” la cui voce vada ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura, stimolando e incoraggiando nella carità “la coralità della società intera”, in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina