Omelia alla Santa Messa per l’Ammissione tra i candidati all’ordine del Diaconato di Maurizio Baldi, Fernando Giosi, Salvatore Giunta e Antonio Pantoni

Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Lunedì 29 giugno 2020,
Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

Carissimi amici,

la comunità diaconale della Diocesi di Tivoli e di Palestrina si ritrova stasera per concludere con questa celebrazione l’anno formativo ma anche per ammettere ufficialmente tra i candidati all’ordine del diaconato permanente quattro sposi: Antonio (Tonino), Fernando, Maurizio e Salvatore che da alcuni anni si stanno preparando, accompagnati e sostenuti dalle loro spose e dalle loro comunità nonché dalla Comunità del diaconato di Tivoli e di Palestrina nel percorso che, a Dio piacendo, li condurrà al diaconato permanente.

La Chiesa stasera accoglie ufficialmente questo loro desiderio in vista di un ulteriore discernimento nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Una solennità che unisce insieme due colonne della Chiesa che anche se diversi, anche se nella vita hanno avuto visioni diverse nell’intendere il ministero apostolico, sono stati complementari. Pietro era un seguace di Gesù, era uno dei dodici. Riteneva che per diventare cristiani prima occorresse essere circoncisi come gli Ebrei. Era un rude pescatore con un carattere forte ma nello stesso tempo un pavido che tradì il suo Maestro nella notte del suo processo messo in crisi da una serva. Paolo non aveva conosciuto direttamente Gesù, anzi era un persecutore della Chiesa che incontrò in visione Gesù sulla via di Damasco e, convertito, divenne un fervente apostolo – cioè mandato, inviato – del Risorto ai pagani, ossia ai non circoncisi. Con Pietro, con grande parresia – ossia franchezza e lealtà, virtù di cui c’è sempre tanto bisogno nella Chiesa per non scadere nel clericalismo che è una delle peggiori malattie o nella falsità che davanti fa le moine e dietro pugnala alle spalle … – si scontrò per le visioni diverse della missione ma entrambi erano appassionati di Gesù, rimasero uniti, Paolo riconobbe sempre l’autorità di Pietro, autorità affidatagli da Cristo stesso che come abbiamo ascoltato nel Vangelo definì Pietro la “roccia” su cui fondare la sua Chiesa!

Più colto di Pietro camminò per il mondo ellenico per annunciare il Cristo a tutti in ogni occasione opportuna e inopportuna e che suggellò il suo ministero anch’egli a Roma con il martirio: la più alta forma di testimonianza che si possa rendere – anche oggi – al Risorto.

La tradizione vuole che pur se per vie diverse entrambi per testimoniare Cristo giunsero a Roma dove subirono il martirio nello stesso giorno e l’iconografia li ritrae abbracciati perché se pur diversi furono complementari per sostenere ed espandere la Chiesa.

Ebbene in questo giorno voi venite ammessi tra i candidati all’ordine del diaconato. A voi, ai diaconi, ai sacerdoti, ai fedeli laici qui presenti vorrei porre una prima domanda: siete tutti uguali? Siamo tutti uguali? Sicuramente no!

Eppure siamo tutti amati dal Signore e vorrei che stasera tutti sentissimo questo Suo grande Amore e se anche per strade diverse siamo tutti chiamati a servirlo annunciandolo con le nostre diversità, con i nostri doni e le nostre fragilità, la dove viviamo o siamo mandati dalla Chiesa che continua nell’oggi della storia la missione di Pietro e di Paolo. A una condizione, però, che ciascuno sia vero, sia se stesso, non per contrapporsi all’altro ma per vivere l’unità nella diversità, la comunione piena anche se ciascuno ha e avrà sempre la sua storia.

Che tristezza mi fanno i diaconi o i laici clericali che vogliono scimmiottare i preti e così i preti che vogliono scimmiottare i laici … Ognuno rimanga con le sue caratteristiche e serva il Signore nella gioia, fino all’effusione del sangue – se fosse necessario – là dove è e là dove il Vescovo – unico punto di riferimento nella Chiesa locale, in comunione con il collegio dei Successori degli Apostoli in comunione con il Papa, successore dell’Apostolo Pietro – lo manda.

Vorrei ora fermarmi su alcuni aspetti della ricchissima liturgia della Parola che questa Solennità ci propone.

Partirei dal Vangelo.

Come nella vita spirituale di ciascuno anche nel Vangelo ci sono descritte alcune tappe dei discepoli di Gesù. Al capitolo 16 del Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato essi sono già diversi dalla folla. Avevano già instaurato con Gesù un rapporto personale, una relazione personale! Tanto che Gesù li può chiamare per nome ed essi possono dare del “tu” a Gesù. Egli è entrato nella loro vita, l’ha modificata e determinata. E qui viene una seconda domanda: È così anche per noi?

Poi c’è un altro passo: il più importante. Gesù chiede di rispondere a una domanda alla quale stasera chiederei a tutti di rispondere ma in particolare ai nostri amici che si avviano per il diaconato. E la domanda è questa: “Chi sono io per voi?”.

Pietro ci suggerisce la risposta: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.

Il “Cristo”, il salvatore della nostra esistenza perché senza di Lui la nostra esistenza è monca, zoppa, non bastiamo a noi stessi. La vita, la gioia, la bellezza che desideriamo non potremo mai trovarla in noi: abbiamo bisogno di un Altro che compia quell’opera incompiuta che siamo noi.

E poi è “il Figlio” che ci salva perché ci inserisce nella sua relazione con il Padre. Ciò che ci manca, in fondo, è una relazione di amore, una famiglia che sia la nostra origine e il nostro fondamento e che Gesù ci rivela. Lui ci mette in relazione con il Padre che crea, ama sempre, perdona e ricrea.

E infine: “il Dio vivente!”. Dio non è una parola vuota, una serie di formule imparate al catechismo o perché diventando diaconi o preti si studia un po’ di teologia … e non è nemmeno la proiezione dei nostri bisogni. No! Dio è il Vivente: è il totalmente altro di cui posso trovare traccia in tutto l’universo. È presenza che dà luce e senso nuovi al creato. È chiave di interpretazione per la nostra esistenza. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” e a noi, come a Pietro, occorre tutta l’esistenza per imparare a vivere all’altezza e nella profondità di questa professione di fede che, come dice Gesù a Pietro, non viene dalla carne o dal sangue, ma dallo Spirito che lo ha fatto parlare così anche se poi, nel prosieguo della sua vita se ne dimenticherà tante volte.

Per voi, cari amici, la domanda si ripropone: “Chi sono Io per voi?”. E stasera vi auguro da una parte di saper fare la professione di fede di Pietro ma dall’altra di passare sempre più da una professione di fede ripetuta e una professione di fede incarnata, vissuta, consapevole. Che parta da una relazione sempre più intima con il Cristo pregato, amato, ascoltato, celebrato per dare una risposta sempre più motivata e motivante per la vostra vita cristiana ma anche per la missione che vi attende.

La Chiesa non ha bisogno di diaconi che sappiano la dottrina a memoria, che sappiano girare intorno all’altare – anche se occorre saperlo fare e fare bene … – ma ha bisogno di servi, di uomini che si mettano con tanta carità a servizio dei più poveri, dei più lontani da Dio, di coloro che non lo hanno conosciuto o lo hanno dimenticato perché come Pietro e come Paolo, in comunione sincera con Cristo e con la sua Chiesa, voi lo possiate portare a tutti non tanto con le parole ma con i fatti e soprattutto con l’impegno generoso nel servizio della carità. Come vorrei vedervi tutti impegnati su questo versante affinché tutti i cristiani siano invitati dal vostro esempio a professare la loro fede mettendo la loro vita a servizio di Dio mettendola a servizio dei fratelli! Sareste davvero roccia su cui altri potrebbero appoggiare i piedi e trovare sicurezza come quando in mezzo al mare, nuotando al largo, a un certo punto trovi sotto i tuoi piedi uno scoglio e ti puoi appoggiare, riposare, sentirti al sicuro …

Ci sono poi le altre due letture.

Nella prima ci è descritta la liberazione prodigiosa di Pietro dalla prigione in cui era trattenuto affinché non si diffondesse la sua testimonianza a Cristo. E nella seconda l’Apostolo Paolo – ormai giunto in prossimità del martirio – scrive al suo discepolo Timoteo facendo un bilancio della sua vita che mi piacerebbe poter fare un giorno anche a me come auguro a ciascuno di voi: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione”.

E poi Paolo aggiunge una considerazione che è stata valida anche per Pietro nonostante le sue fragilità pur essendo chiamato a una missione alta: essere la roccia sulla quale Cristo ha fondato la sua Chiesa: “Il Signore però – dice Paolo – mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone”.

Cari amici anche se testimoniare Cristo fuori dalla Chiesa, servendo chi incontrerete, con i fatti più che con le parole, ricordandovi sempre di essere sposi, non mezzi preti, non persone che vivono sotto il campanile ma nel mondo … vi comporterà incomprensione, difficoltà, il metterci la faccia e forse anche venire perseguitati o martirizzati in quei tanti modi di martirio incruento che sono più dei pur tanti martirii cruenti … non abbiate mai paura. Lui vi ama, vi chiama e vi sta vicino. Voi state vicini a Lui, ascoltatelo, pregatelo, partecipate alla Santa Messa quotidiana, nutritevi di Parola ed Eucaristia, ogni giorno ponetevi la domanda “Chi sei tu per me Gesù?” E rinnovate la risposta che stasera ci ha suggerito Pietro. Fatela diventare sempre più la vostra risposta e senza paura permettetegli di diventare non la roccia ma una piccola roccetta sulla quale qualcuno possa appoggiarsi mentre cammina per raggiungere la vera roccia, l’unica che mai delude e sempre ci è vicino: “Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina