Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Sabato 28 dicembre 2024

Signor Sindaco, illustri autorità, cari sacerdoti, diaconi, consacrate e consacrati, fratelli e sorelle tutti nel Signore!

Con questa celebrazione apriamo a livello diocesano, così come tra stasera e domani avverrà in tutte le Diocesi del mondo, l’Anno Santo 2025 che come tema, voluto dal Papa, avrà “Peregrinantes in spem”, una espressione latina che possiamo tradurre come “Pellegrini di speranza” o ancor meglio: “Pellegrini nella speranza”! In realtà, se nel mondo, come cristiani, cammineremo nella speranza, diffonderemo anche speranza! Ed è questa speranza cristiana che siamo chiamati a riscoprire e vivere nell’Anno Santo che si concluderà, sempre a livello diocesano, il 27 e 28 dicembre 2025.

Una esperienza, l’anno giubilare, segnata dal pellegrinaggio, dall’entrare in un luogo santo – per noi saranno la Cattedrale di Sant’Agapito e le altre chiese giubilari della Diocesi di Tivoli e di Palestrina: Santa Maria Madre del Buon Consiglio a Genazzano, Santa Maria di Pugliano a Paliano, il Santuario della Mentorella, quello di Nostra Signora di Fatima a San Vittorino Romano, quello della Madonna di Quintiliolo a Tivoli e della Cattedrale di San Lorenzo sempre a Tivoli – e lì, come ci insegna la Chiesa, confessati, partecipando all’Eucaristia, pregando per le intenzioni del Santo Padre, potremo ricevere l’Indulgenza plenaria per noi e per i nostri defunti perché ottengano piena misericordia da Dio. L’indulgenza, infatti, come scrive il Papa nella Bolla di indizione di questo Giubileo, “permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio …” e se “il sacramento della Penitenza ci assicura che Dio cancella i nostri peccati … Tuttavia – continua il Papa – sappiamo per esperienza personale, il peccato ‘lascia il segno’, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenza del male commesso, ma anche interiori, in quanto ‘ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio”.

Questa esperienza piena di perdono non potrà far altro che aprire il nostro cuore e la nostra mente a perdonare, forse a non dimenticare il passato ma permettere di cambiare il futuro e di vivere in un modo diverso, senza rancore, livore e vendetta affinché tutti, graziati e perdonati da Dio, possiamo restituire al mondo la speranza.

Nel Vangelo di questa sera, festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, ci viene presentata anche la Santa Famiglia in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme. E ci viene presentato Gesù che ha appena compiuto 12 anni e sa già che cos’è che conta nella vita: conta essere concentrato nelle cose del Padre.

Cari amici, come vorrei che anche noi, in questo Anno che si apre, scoprissimo che ciò che conta nel cammino della vita è concentrarsi nelle cose del Padre! Gesù possiede la sapienza del cuore, conosce il numero dei suoi giorni limitato; sa di andare incontro alla morte, a Gerusalemme; ma questo non è motivo di angoscia per Lui, non è motivo di disperazione (la di-sperazione è la mancanza di speranza, il contrario della speranza). Lui sa che deve tornare al Padre e che deve tornarvi compiendo la Sua volontà. Anche per questo possiede la sapienza del cuore: non solo perché conta il numero dei propri giorni e attende serenamente la sua Ora, ma anche perché sa come vivere il tempo presente, pensando al regno dei cieli e alla sua giustizia.

Gesù non si preoccupa di raggiungere un prestigio sociale, una sicurezza economica, non insegue piaceri né persegue la soddisfazione dei propri bisogni. In altre parole: non va in cerca di speranze fatue, che cessano appena raggiunte … Ma è piuttosto intento a spezzare la propria vita per i poveri e i miseri, ad essere come chicco di frumento che muore per dare molto frutto: per dare la vera speranza al mondo, la speranza di poter ricevere la Sua grazia e il Suo perdono che scaturiscono dalla sua passione, morte e risurrezione. La speranza di poter essere un giorno con Lui per sempre. La speranza nella vita eterna che ci fa camminare in questa vita nella gioia nonostante le difficoltà e i pericoli, ci fa camminare quali pellegrini di speranza mentre camminiamo nella speranza, cioè con Lui, Gesù, che è la nostra unica e vera speranza!

Cari amici, Gesù, abbiamo sentito nel Vangelo, cresce in spessore, in consistenza, in ciò che conta ed è di valore, in quel che dura e che non passa. E noi?

Cresciamo in sapienza o in insipienza? In consistenza o in vuoto?

Gesù cresceva anche negli anni. Il tempo passa, gli anni passano ma non sempre è detto che cresciamo in sapienza e in grazia come cresceva Gesù.

Perché?

Perché spesso noi, come molti altri, rifiutiamo la fede semplicemente perché la vita eterna ci pare una cosa non desiderabile. Non vogliamo la vita eterna ma quella presente. Continuare a vivere in eterno appare più una condanna che un dono. La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile. Già Sant’Ambrogio diceva: “L’immortalità è un peso piuttosto che un vantaggio, se non la illumina la grazia”.

La parola “Eterno” – lo spiegava bene Papa Benedetto XVI nell’Enciclica “Spe Salvi” che in questo Anno giubilare vi invito tutti a leggere personalmente e nelle vostre comunità insieme alla Bolla di indizione del Giubileo di Papa Francesco: “Spes non confundit” – la parola “Eterno”, dicevo, suscita in noi l’idea dell’interminabile e questo ci fa paura; “vita” ci fa pensare alla vita che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento. Possiamo soltanto in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, mentre siamo sopraffatti dalla gioia. “Vi vedrò di nuovo – dice Gesù ai suoi mentre sta per compiersi la sua Ora – e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16,22). Ma il nostro modo di pensare e di agire spesso piuttosto che aprirsi alla redenzione che si deve attendere nella fede si ritiene che si possa aprire con la fede nel progresso, nella scienza, nelle capacità dell’uomo senza Dio, dell’uomo che prescinde da Dio dimenticandosi, però, che l’uomo non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solo dall’esterno creando condizioni economiche a lui favorevoli. E così il progresso, la speranza nel progresso – progresso che è sicuramente una cosa buona – ma che se cade in mani sbagliate può diventare e di fatto sperimentiamo come spesso lo sia già diventato, un progresso terribile nel male.

Certamente anche noi cristiani siamo immersi in questo mondo e pensiamo e agiamo così, pensiamo e agiamo spesso come gli altri. Dobbiamo dunque imparare nuovamente – e l’Anno Santo è una occasione favorevole – in che cosa consista la nostra speranza, che cosa noi cristiani abbiamo da offrire al mondo e che cosa invece non possiamo e dobbiamo offrire.

E cosa possiamo e dobbiamo offrire?

La risposta è una e una sola: Dio!

L’uomo ha bisogno di Dio, il Dio di Gesù Cristo, altrimenti resta privo di speranza. Un “regno di Dio” realizzato senza Dio si risolve inevitabilmente nella “fine perversa” di tutte le cose. In altre parole: non è la ricchezza che redime l’uomo, non è il progresso, non è nemmeno la scienza – che certamente può contribuire molto all’umanizzazione del mondo e dell’umanità – ma può anche distruggere l’uomo e il mondo se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa. No, nemmeno la scienza redime l’uomo. L’uomo viene redento soltanto mediante l’amore!

Ma anche l’amore potrebbe essere fragile se fosse soltanto umano. O quanto meno verrebbe distrutto con la morte mentre l’uomo ha bisogno di amore incondizionato, ha bisogno dell’amore di Dio! Di un amore eterno! Quell’amore di Dio che è certezza per noi perché il suo Figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Se siamo in relazione, dunque, con Colui che non muore, che è la Vita stessa, che è amore, allora siamo nella vita. Allora “viviamo”. E pur continuando a sbagliare possiamo vivere nella speranza, nella speranza che ci è data dalla vicinanza di Colui che è morto e risorto per amore nostro, e che è la meta della nostra vita.

Tutto ciò, la certezza dell’Amore di Dio, ci fa crescere come Gesù “in grazia” ossia con la luce negli occhi e la pace nel cuore, nella gioia di chi percepisce di essere amato e sa che tutto è dono.

Se non fosse così, nelle sofferenze ed ingiustizie che sperimentiamo, nelle difficoltà della vita che sperimentiamo, crescerebbe solo rabbia, aggressività, voglia di dominare, oppure si potrebbe cadere in depressione e disperazione.

Quando cominceremo come Gesù ad iniziare ad occuparci non delle cose del mondo ma delle cose del Padre, quando cominceremo a fissare il nostro pensiero e il nostro sguardo su Dio, allora si rafforzerà la nostra fede e la nostra speranza e saremo portatori di speranza al mondo.

Certamente dovremo anche noi, come Gesù, andare contro corrente. Lui infatti per essere fedele alla volontà del Padre e portare la salvezza che dà speranza al mondo, rimase a Gerusalemme e anziché fuggire dalla croce o provare a darla ad altri la prese su di sé, visse sottomesso a Nazaret invece di evadere in altri luoghi e relazioni.

Se vivremo così probabilmente anche noi saremo incompresi così come furono tanti santi e sante, ma inizieremo a brillare quale luce del mondo: non secondo la logica del successo ma secondo la logica del seme che messo nella terra, con i suoi tempi, produce frutti e vita in abbondanza e riempie di speranza il contadino che attende la sua crescita per poi mieterlo e godere dei suoi frutti. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina