Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Domenica 29 dicembre 2024

Signor Sindaco, illustri autorità, cari sacerdoti, diaconi, consacrate e consacrati, fratelli e sorelle nel Signore!

Come in tutte le Diocesi del mondo, anche noi, stasera, apriamo l’Anno Santo 2025. Il Giubileo, che per volontà del Papa ha come tema “Peregrinantes in spem”, “Pellegrini di speranza”, o meglio: “Pellegrini nella speranza”! Un tema che, in un contesto culturale come il nostro, pieno di guerre, calamità naturali, crisi sanitarie, vecchie e nuove povertà, crisi della famiglia, emergenza educativa, violenze di genere sempre più in aumento, crollo vertiginoso della natalità … occorre che i cristiani e tutti gli uomini e le donne di buona volontà facciano sempre più loro.

Innanzitutto ricordandosi come, insieme alla fede e alla carità, anche la speranza sia una virtù teologale, ossia abbia la propria sorgente in quel Dio che la depone come un seme e come un principio d’azione nel nostro cuore, e abbia come meta Dio stesso, approdo atteso della nostra volontà e del nostro desiderio che viene dall’infinito dal quale proveniamo e verso il quale tendiamo. Una virtù, la speranza, che come fu definita dal poeta francese Charles Peguy nel poema “Il portico del mistero della seconda virtù” (1911) è “la sorella più piccola” delle altre due virtù teologali – la fede e la carità – ma quella che con la sua forza e la sua tensione le tira in avanti nel cammino della vita.

La vita, infatti, come abbiamo detto non è mai facile. Per vivere occorre avere fede in un Dio che anche in questi giorni celebriamo come il “Dio con noi”, il Dio che in Gesù Cristo si è incarnato per noi per condividere la nostra vita fino a morire come noi per poi risorgere ed assicurare la vita eterna dopo la morte, ed il perdono dei peccati. E la fede siamo chiamati a viverla e testimoniarla non soltanto con le parole ma anche con i fatti, con la carità, con la misericordia ed il perdono verso chi ci ha fatto del male. Tuttavia sappiamo che vivere la fede e la carità non è facile. Occorre allora la speranza che ci fa credere che in Dio tutto è possibile, che Lui mai ci abbandona ed è per sempre con noi e per noi. Occorre la speranza che mi fa amare il prossimo sempre, anche quando umanamente parlando non meriterebbe il perdono, ma in nome di Cristo continuo ad amare, a fare la carità perché la speranza mi dice che tutto è possibile, che tutti possiamo cambiare, che anche il nostro mondo così triste, depresso e senza speranza, può cambiare.

Ebbene, noi, in questo Anno Santo siamo invitati a camminare nella speranza e a diffondere speranza mentre siamo pellegrini nel mondo.

Il pellegrinaggio alle Porte Sante delle Basiliche Maggiori che sono a Roma o alle chiese giubilari della nostra Diocesi di Tivoli come quelle di Palestrina, a partire dalle nostre due Cattedrali, desidera essere segno di questo cammino. Che esso non sia soltanto un camminare sulla strada ma un pellegrinaggio interiore che tutti, anche gli anziani, gli ammalati, i carcerati e quanti non potranno muoversi dai loro luoghi di dolore o di rieducazione, potranno vivere tornando alla scaturigine della speranza che è Dio stesso, al Cuore di Gesù, un Cuore ricco di amore e perdono, affinché il nostro cuore, spesso attratto da mille false speranze che poi si rivelano fallaci, si riunifichi in Lui, e diventi come il Cuore di Gesù, un Cuore che ama, che perdona, che usa per tutti misericordia. Che usa misericordia innanzitutto per me, per te, per ciascuno di noi chiamati ad essere pellegrini di speranza, ossia seminatori di speranza nel nostro mondo, sempre pronti a rendere ragione della speranza che c’è in noi!

Al termine di questo pellegrinaggio che compiremo durante l’Anno Santo alle chiese giubilari otterremo l’indulgenza plenaria per noi o per i nostri defunti alle cosiddette “condizioni proposte dalla Chiesa”: accostandoci cioè al sacramento della confessione, partecipando all’Eucaristia, pregando per le intenzioni del Papa, intrattenendoci per un certo periodo di tempo in Adorazione Eucaristica e nella meditazione, concludendo la nostra preghiera con il Padre Nostro, la Professione di fede e invocando Maria, la Madre di Dio. L’indulgenza, che come ha scritto il Papa nella Bolla di indizione del Giubileo, “permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio”. E pur essendo vero che il sacramento della Penitenza ci assicura che Dio cancella i nostri peccati, tuttavia – continua il Papa – “sappiamo per esperienza personale (che) il peccato ‘lascia il segno’, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenza del male commesso, ma anche interiori, in quanto ‘ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio”. Questa purificazione, che noi chiamiamo indulgenza, ci aiuti a rafforzare il nostro passo verso Cristo e con Cristo nel cammino della vita e ottenga ai nostri cari defunti di poter presto essere ammessi alla pienezza eterna della vita.

Pellegrini di speranza e nella speranza, dunque, iniziamo insieme l’Anno Santo che ci vedrà ancora pellegrini in varie occasioni a partire dal pellegrinaggio diocesano a Roma che vivremo insieme, secondo modalità che verranno presto comunicate, sabato 29 marzo 2025.

Venendo ora al Vangelo che la liturgia odierna, Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, ci ha proposto, mi piace pensare come anche loro – Maria e Giuseppe con il Bambino – abbiano fatto, proprio come siamo invitati a fare noi, un pellegrinaggio con meta Gerusalemme così come i buoni israeliti credenti dovevano compiere a Pasqua. Forse pensavano, come a volte pensiamo anche noi quando facciamo un pellegrinaggio, una esperienza spirituale, andiamo alla Messa, che quel pellegrinaggio sarebbe stato una esperienza come tante. Una bella esperienza religiosa dalla quale si torna poi a casa e tutto rimane più o meno come prima. E invece no. Durante il ritorno, la vita della Santa Famiglia, fu sconvolta. Maria e Giuseppe, durante il ritorno con gli altri pellegrini, dopo un giorno di cammino, si accorsero che Gesù dodicenne non era con loro, lo avevano perduto. Immaginate l’ansia. Fecero dunque il cammino a ritroso per andarlo a cercare. Fecero, oserei dire, un altro pellegrinaggio più autentico del primo, perché in cerca di Colui che tutti cerchiamo, perché Lui è la nostra autentica speranza, Lui è Colui con il quale o senza il quale c’è tutto il differente possibile per le nostre vite, Lui è il nucleo della nostra fede, Lui è la carità piena e perfetta. Tornati a Gerusalemme, Maria e Giuseppe, trovarono Gesù mentre rispondeva con sapienza alle questioni che i Maestri del Tempio gli proponevano. E che davanti alla domanda di Maria: perché ti sei allontanato? Perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io eravamo angosciati? Pensavamo di averti perduto … (come sarebbe bello se anche noi fossimo angosciati per il timore di aver perduto il rapporto con il Dio di Gesù Cristo …) Gesù gli rispose che doveva occuparsi delle cose del Padre Suo. Il Vangelo ci dice che Maria e Giuseppe non compresero tale risposta ma che ritrovarono Gesù intento a quella che sarebbe poi diventata la sua missione: rivelare l’Amore del Padre a quanti, pur essendo nel Tempio, non lo avevano ancora incontrato.

Cari amici, come vorrei che questo Anno Santo ci aiutasse a fare l’esperienza di Maria e Giuseppe. Come vorrei che soprattutto le famiglie e i giovani facessero la loro esperienza. Certamente, il Risorto cammina sempre con noi, mai ci abbandona anche quando siamo noi ad abbandonare Lui. Ma spesso non ce ne accorgiamo e così la mancanza di fede, di carità e di speranza prevalgono e ci pare di aver perso il rapporto con Lui.

Pensiamo per un attimo alle famiglie. Quante si arrendano davanti ai primi fallimenti, alle prime difficoltà, e così oggi assistiamo alla distruzione progressiva di molte di queste fondamentali e prime cellule della società e della Chiesa.

Pensiamo ancora ai ragazzi, ai giovani. Estremamente buoni spesso però cadono vittime delle loro fragilità, della loro solitudine, della loro mancanza di relazioni vere. Spesso si accontentano di fatue speranze, di felicità effimere come sono lo sballo, una sessualità praticata disordinatamente, il provare il brivido di qualche esperienza estrema ecc. Sono certo che molti di loro, come ci dicono anche belle esperienze fatte in Diocesi in questi ultimi tempi, desiderano dare un senso alla loro vita ma spesso mancano coloro che li vadano a cercare, vadano ad ascoltarli, a proporre loro un cammino per tornare verso Colui che dopo la celebrazione dei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana hanno come perduto, come lasciato che si riveli pure ad altri …

Cari fratelli e sorelle, diamoci da fare allora perché famiglie, ragazzi e giovani tornino a sperare!

Per le famiglie chiedo a tutti di non giudicarle se sono in crisi, di non emarginarle se sono in difficoltà, ma di aiutarle a fare un cammino a ritroso, a tornare ai loro inizi per scoprire che dietro le loro storie di amore c’era e c’è una chiamata. C’è la chiamata, il progetto che Dio ha avuto per sempre ed ha ancora su di loro. L’Anno Santo ci veda tutti impegnati a favorire un ritorno a Cristo delle nostre famiglie, a partire da quelle dei ragazzi che frequentano i cammini di Iniziazione Cristiana nelle nostre comunità, ma anche di quelle che vivono nel nostro territorio il dramma della separazione, della divisione … o semplicemente come se Dio non esistesse. Come cristiani, come comunità cristiane, stiamo loro vicini e progressivamente facciamo far loro l’esperienza della fraternità, della comunità di famiglie, dell’ascolto della Parola di Dio che è parola che invita sempre a ricominciare, a fare l’esperienza giubilare di un nuovo inizio alla luce dell’amore che ha come modello Dio, ed ancora l’esperienza della partecipazione all’Eucaristia ed educhiamo alla speranza ossia a comprendere che si può sognare, che con Cristo il sogno della comunione, del perdono, della vita di fede condivisa tra coniugi e tra i coniugi e i loro figli è possibile.

E ancora diventiamo organizzatori di speranza verso i ragazzi e i giovani. Accogliamoli innanzitutto così come sono, sapendo che hanno in sé ottime energie e tanta sensibilità per chi è povero, per gli anziani, i malati, per chi è in difficoltà. Partendo da tali attenzioni condividiamo con loro un cammino che dall’esperienza del dare un bicchiere d’acqua a chi ha sete, un vestito a chi è nudo, fare una visita a chi è malato o in carcere … si possa giungere a quel “L’avete fatto a me” che fa riconoscere Cristo nel fratello e nella sorella. Cristo che poi andrà maggiormente fatto conoscere attraverso l’ascolto della sua Parola, frequentandolo nell’Eucaristia e nella comunità cristiana che progressivamente diventerà la loro casa.

Non pretendiamo di incasellare famiglia, ragazzi e giovani in progetti, ambienti, impegni non più corrispondenti alla loro vita. Ma proponiamo loro la speranza, suscitiamo in tutti la speranza di sapere che Cristo attende tutti, anche loro, anche se pare essersi allontanato. In realtà Lui è vicinissimo a noi, basta che come Giuseppe e Maria ci incamminiamo per cercarlo e Lui si fa trovare e ci coinvolge nell’occuparci anche noi con Lui delle cose del Padre Suo chiamandoci a far conoscere a tutti il Suo amore e la sua misericordia.

Vorrei concludere questa mia riflessione con una esortazione da portare a casa: è possibile sperare, se si trova Cristo possiamo sperare anche tra le difficoltà e le prove della vita! Se si trova Cristo possiamo camminare liberi, nella speranza ed attirare tanti a vivere questa virtù!

Vi esorto indicandovi una Santa canonizzata da San Giovanni Paolo II e citata anche da Papa Benedetto XVI nell’Enciclica “Spe Salvi”. Si tratta di Giuseppina Bakita. Una giovane donna nata nel 1869 nel Darfur, in Sudan, che a soli 9 anni fu rapita da trafficanti di schiavi, picchiata a sangue – le rimasero addosso 144 cicatrici – e venduta per ben cinque volte. Infine fu venduta a un Console italiano che rientrato in Italia portò a Venezia, con la sua famiglia, anche Bakita che qui conobbe un “padrone” totalmente diverso da quelli che aveva conosciuto nella sua vita. Un “paron” – così lo chiamava – che amava tanto, che amava anche lei che non era mai stata amata veramente da nessuno, al quale sottoponendosi si trovava la vera libertà. Bakita aveva conosciuto Dio, il Dio di Gesù Cristo al quale, dopo aver chiesto i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana, donò la vita consacrandosi tra le Suore Canossiane e diffondendo l’amore che sentiva a tutti coloro che la incontravano in un’opera missionaria unica.

Cari amici, chi scopre Cristo, può sperare! Chi trova Cristo può sperimentare gioia e diffondere gioia e speranza! A tutti noi, all’inizio di questo Anno, auguro di scoprire o ri-scoprire Cristo camminando verso di Lui con speranza, rafforzando così la nostra fede in Lui e la nostra carità verso tutti.

Che Maria, stella della Speranza, esempio luminoso di quella luce di fede di cui abbiamo bisogno nella traversata del mare della vita, interceda per noi indicandoci Colui che è la stella, la speranza vera, Cristo nostro salvatore e redentore che ci ripete anche stasera: “Senza di me non potete far nulla!”. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina