Palestrina, Cimitero, Domenica 5 novembre 2023
Cari fratelli e sorelle,
in questa domenica che cade nell’Ottavario della Commemorazione dei fedeli defunti, siamo venuti qui, nel nostro cimitero per suffragare l’anima di tutti coloro che sono qui sepolti ma anche di tutti i nostri cari defunti i cui corpi riposano nei vari cimiteri delle nostre città o paesi di origine.
Siamo qui con la consapevolezza che tutti loro hanno bisogno dei nostri suffragi, delle nostre preghiere perché in quel mistero che chiamiamo “comunione dei santi” essi possano passare, anche per le nostre preghiere e le nostre opere buone, da una condizione che comunemente chiamiamo purgatorio al paradiso.
Ma siamo qui anche con la consapevolezza che tutti hanno peccato – chi più, chi meno – ma tutti hanno peccato e hanno necessità della nostra preghiera e delle nostre opere buone; così come anche noi che pure pecchiamo e siamo fragili, un giorno avremo bisogno della preghiera dei nostri defunti già arrivati davanti al volto del Signore e dei fratelli e delle sorelle che lasceremo su questa terra.
Il Vangelo di oggi ci mette in guardia da una condizione nella quale possiamo cadere, o forse già siamo caduti e viviamo con ogni probabilità. È un difetto dal quale dobbiamo guardarci e pregare perché il Signore perdoni i nostri defunti che probabilmente vi sono caduti.
Gesù accusa: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini”. Non molte ma tutte!
In fondo viviamo nell’epoca del like, dell’indice di ascolto, della necessità di piacere agli altri … Siamo tanti “fragilissimi” sempre in cerca di qualcuno che ci apprezzi … sempre in cerca di piacere a qualcuno. E questo può accadere a tutti, anche agli uomini o alle donne di Chiesa che hanno un bisogno così grande di nutrire il proprio ego che diventano schiavi del cercare e riceve gloria dagli altri.
È una condizione vecchia come è vecchio l’uomo ma pericolosissima!
È la condizione di quanti si illudono di essere qualcosa che non sono.
È la condizione di quanti dicono e non fanno ma in fondo credono di fare.
È la convinzione di quanti si illudono di possedere la realtà con le parole, le chiacchiere, quando il saper parlare delle cose diventa credere di averle sperimentate e magari autorizza pure ad insegnarle agli altri, un saper bene la teoria come approccio sufficiente alla realtà.
Noi dovremmo essere strumenti di Dio e della sua salvezza nel mondo e invece – vedete – spesso cadiamo nell’inganno di voler apparire ciò che non siamo.
Come fare per uscirne?
Il Signore ci mette sulle tracce per uscire da questa vita assurda, sempre in cerca di like, di piacere agli altri fintanto che giungiamo al termine della vita e scopriamo che abbiamo vissuto solo di apparenze e in fondo pensando di amare gli altri non facevamo altro che amare noi stessi, accarezzare il nostro ego smisurato.
Allora, come uscirne?
Gesù ci dice: “Ma voi …” vivete da discepoli, da fratelli e soprattutto da figli!
Tutti siamo toccati dal difetto del “dire e non fare”. È la patologia di ogni matrimonio il quale si fonda su parole meravigliose pronunciate nel giorno del matrimonio ma poi svilite, dimenticate, non più credute e praticate. Così come può essere la patologia di ogni consacrato o consacrata che ha pronunciato parole di umiltà e obbedienza, di impegno nella preghiera e nel servizio davanti alla Chiesa e al Vescovo e poi trascura molto presto tali parole giungendo a compromessi, vivendo di banalizzazioni, caso mai non consapevolmente ma di fatto accade così …
Per salvarci da questa trasandatezza occorre ritrovare la radice di quella integrità auspicata in questo Vangelo. E ciò che ci rende integri è il Padre, che ci rende figli e quindi fratelli tra noi. Chi ci rende integri è il vero Maestro che ci rende discepoli e quindi capaci di apprendere e crescere costantemente.
Fintanto che non ci connettiamo con il Padre, cercheremo lo spirito del mondo, di vincere nelle competizioni.
Se invece ci sentiremo visti e custoditi dal Padre non millanteremo come uniche e valide le nostre idee ma ci affideremo dell’unico che salva, dell’unico Maestro.
Cari amici chiediamo questo dono per noi e preghiamo per i nostri defunti che forse senza esserne consapevoli hanno vissuto senza coerenza tra ciò che erano e ciò che volevano dimostrare senza essere, che forse hanno vissuto compiendo opere per essere visti ed apprezzati dagli uomini ma senza connessione con Dio Padre. Che la nostra preghiera di suffragio e le nostre opere compiute non per la nostra gloria ma per dar gloria a Dio, ottengano anche per loro la salvezza eterna, quella salvezza che deve essere la nostra unica speranza e che deve essere l’unico motivo per vivere la nostra vita.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina