Palestrina, Piazza Regina Margherita, Lunedì 17 agosto 2020
Signor Sindaco, illustri autorità, cari sacerdoti, diaconi, fedeli qui presenti anche se in numero limitato a causa delle restrizioni che ci sono date e giustamente desideriamo rispettare per evitare il diffondersi del Covid-19!
Anche quest’anno è il giovane Martire Agapito che ci raduna insieme intorno all’altare dopo 1746 anni dal suo martirio così descritto da uno dei più antichi martirologi conosciuti – il Romano – dove alla data del 18 agosto si legge: “In Praeneste, dies natalis (nascita al cielo) di Sant’Agapito Martire, che essendo di 15 anni e ardendo di amore per Cristo, per ordine di Aureliano, fu steso sull’éculeo e battuto a lungo con crudi flagelli; poi sotto Antioco prefetto, soffrì supplizi ancora più crudeli, e in ultimo, essendo esposto ai leoni e non riportando alcun danno, con il taglio della testa ricevette la corona”.
È bello che le radici cristiane di questo nostro popolo prenestino siano fondate sulla testimonianza di un giovane. Spesso parliamo male dei giovani, diamo loro poca fiducia … eppure sono sempre i più generosi, se vedono che vale la pena spendersi per una causa giusta e bella non indietreggiano come ci hanno dimostrato in tempo di Covid dandosi da fare per gli altri con molta generosità, come sempre dimostrano quando c’è da soccorrere chi è in difficoltà – pensate a quanti sono andati ad Amatrice nel tempo del terremoto e ancora vanno per dare una mano, pensate a quanti in questi giorni hanno soccorso i più colpiti dall’esplosione di Beirut … –.
Tuttavia noi spesso ci lamentiamo perché di giovani ne vediamo pochi a Messa, alle nostre feste religiose, alle nostre processioni … Cari amici, domandiamoci il perché?
Non è che forse non siamo riusciti a trasmettere – noi, più adulti – la passione per Cristo che sola può permettere di seguirlo, di perdere la vita per Lui sicuri di guadagnarla?
Sant’Agapito non fu tanto martirizzato perché era cristiano ma perché preferiva aderire a una religione che probabilmente aveva sentito annunciare da San Pietro e che per Aureliano costituiva, insieme alle altre religioni di pochi adepti che via via si diffondevano, un pericolo per l’economia dell’Impero che trovava giovamento anche grazie alla religione, grazie al culto degli dèi. Tant’è che Agapito da Roma – dove era brillante studente – fu reinviato nella sua Palestrina con la speranza che ammirando il culto fiorente della dea Fortuna primigenia, il suo fastoso tempio e le ricchezze che esso portava, si lasciasse attrarre e si piegasse al culto degli dei del pantheon romano.
Ma Agapito aveva incontrato Gesù il Cristo! E questo gli bastò per perseverare nel seguirlo, nel porre i suoi passi sulle sue orme, ben sapendo che tali orme avrebbero potuto portarlo alla croce ma senza tentennamenti e dietrofront di comodo come spesso facciamo noi perdendo di quell’autenticità cristiana che i giovani cercano e che se non trovano, pur continuando a credere a modo loro … – diciamo così … – se ne vanno altrove, facilmente attratti da un mondo e una cultura che li attrae e che impone a loro delle regole di vita che spesso li rendono meno uomini e meno donne, li imprigionano in gabbie economicamente utili per pochi e assai distruttive. Penso allo spaccio della droga, alla vendita di alcoolici e superalcoolici, al sesso sfrenato e ad ogni costo, ai loschi intrecci nei quali inciampano poiché forse noi più adulti abbiamo proposto loro una fede fatta da tanti “si è sempre fatto così”, non li abbiamo ascoltati nelle loro domande di senso da dare alla vita, non abbiamo dato loro responsabilità e fiducia, li abbiamo sempre posti ai margini della vita ecclesiale, sociale, politica, ecc. per timore di perdere qualcosa di nostro.
Il Vangelo stasera ricorda a tutti – giovani e meno giovani, fedeli laici o preti … – “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” e prosegue: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?”.
Queste parole Gesù le rivolse a tutti mentre andava incontro alla morte. E sono parole, in fondo, che pongono una domanda che riguarda tutti. Tutti siamo destinati a perdere la nostra vita che volenti o nolenti si svolge tra due grandi notti: la prima, dalla quale è emerso quando è nato e la seconda, nella quale si troverà immerso dopo la morte. E la domanda che dovremmo porci tutti uscendo dalla generale ubriacatura in cui viviamo e che ci fa dimenticare troppo spesso la domanda essenziale che dobbiamo porci e che dobbiamo permettere anche ai più giovani di porsi attraverso la nostra testimonianza di coerenza con il Vangelo in cui diciamo di credere, è: che senso devo dare a questo tratto di strada che è la mia vita?
Se non mi apro a qualcuno che mi tiri fuori da questa domanda che mi attanaglia come le sabbie mobili non riuscirò ad uscirne fuori, non riuscirò a riscattarmi, ad uscire fuori dal nulla da cui provengo e verso cui vado.
Certamente, la via più istintiva sarebbe come spesso di fatto è: affermare noi stessi. Ma se siamo onesti con noi stessi è un tentativo effimero, il cui guadagno, nella misura in cui riesca, è una vita superficiale o una tremenda solitudine. Infatti – e noi adulti dovremmo insegnarlo ai più giovani – se siamo onesti con noi stessi scopriamo che nessuna ricchezza accumulata, nessun potere conquistato, nessun successo riscosso è in grado di sfamarci; nessun godimento di salute o di piaceri può soddisfarci … Perché?
Perché, vedete, la vita di cui siamo in cerca ha il carattere dell’eccedenza.
Non ci basta il seme, se siamo onesti con noi stessi vogliamo la pianta che cresce …
Non ci basta l’acqua contenuta in una cisterna, anche se grande, ma desideriamo lo sgorgare dell’acqua dalla fonte.
San Giovanni Paolo II nel poema autobiografico Trittico Romano lo diceva bene quando descriveva l’esistenza dell’uomo e quindi anche la sua come un camminare in salita, risalendo il corso del fiume che scende dalle montagne per andare a cercare la sorgente …
Noi siamo in realtà assetati non di una vita che è possesso, un tesoro che si possa stringere in mano ma siamo assetati di un flusso che sia generazione, che sia amore perfetto e generante. E per trovarlo, cari amici, occorre che ci si getti, che ci si perda. Perdersi è la legge di una vita che è eccedenza, sovrappiù: superamento di sé, per ritrovare sé in qualcosa o – ancor meglio – in Qualcuno! Qualcuno che è altro da sé e nel quale pure solo, paradossalmente, troviamo noi stessi.
Possiamo farcela? Noi che pur dicendoci cristiani da sempre ma che forse non ci siamo mai buttati completamente in Dio, possiamo farcela a compiere questo passo che è il passo della fede che ci libera da ogni condizionamento, anche dalla paura della morte, di darci agli altri perché abbiamo trovato in nostro Tutto?
Sì, cari fratelli e sorelle! Possiamo farcela perché quel seme di Amore purissimo che cerchiamo è venuto a seminarlo come un mendicante che ci ha lasciato nel cuore qualcosa Dio. E Dio come un mendicante che passa e poi ripassa, e poi torna a passare e poi però accade che non lo vedi più … è passato nella nostra vita, anche grazie alla fede di Agapito ha messo nel nostro cuore il seme dell’eternità ma poi desidera che questo seme cresca … probabilmente non con costanza, a volte anche incontrando la fatica di crescere tra zizzania ed erbacce … ma deve crescere e può crescere soltanto se lasciamo, se permettiamo che il mendicante del nostro amore che lo ha seminato in noi per amore – Dio – trovi in noi una risposta di amore. Piccola o grande non importa ma che sia in vista di quell’amore generante che cerchiamo: l’amore di Dio che per sua natura è diffusivo.
Se mettete una pianta in un luogo buio con soltanto una piccola finestra di luce vedrete come la pianta cresce tutta orientata verso quella modesta fonte luminosa. Così noi, figli spirituali di Agapito, permettiamo che la sua fede in Cristo sia per noi come una piccola luce che ci indirizza verso Colui per il quale come Agapito dobbiamo perderci, lasciare le nostre prese umane per lasciarci prendere, conquistare, incontrare interamente da Lui, il Figlio dell’uomo che ci cerca e ci chiama da sempre e ci rivela una Luce – Lui stesso – che non siamo noi ma che è per noi. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina